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Silvia D'Onghia
Campi di concentramento e lavoro obbligatorio. Per il governo il futuro ha un odore antico
16 Gennaio 2017
2017-Accoglienza Italia
I voltafaccia dei governanti e (molto peggio) la disumana realtà delle loro decisioni. Articoli di Silvia d'Onghia e Fiorenza Sarzanini.
I voltafaccia dei governanti e (molto peggio) la disumana realtà delle loro decisioni. Articoli di Silvia d'Onghia e Fiorenza Sarzanini.

Corriere della Sera il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2017, con postilla


Il Fatto Quotidiano
QUELLI CHE…
I CIE ERANO CAMPI DI CONCENTRAMENTO
di Silvia d'Onghia

«Il ministro dell’Interno, Minniti, ha annunciato nuovi Centri di identificazione ed espulsione. Fu lui stesso, da responsabile Sicurezza del Pd nel 2009, a chiederne la chiusura. E non era il solo»

I centri di identificazione degli immigrati assomigliano «a dei campi di concentramento, tanto è vero che il Parlamento ha negato che la permanenza possa essere aumentata a sei mesi». Peccato che il governo, ponendo la fiducia, abbia prolungato la permanenza nei Cie fino a sei mesi”. Parola di Marco Minniti, quando ancora non era ministro dell’Interno. Era il Marco Minniti responsabile sicurezza del Pd, il 19 maggio 2009: al governo c’era Silvio Berlusconi. Forse è la stessa persona? Chissà. Certo di acqua ne è passata sotto i ponti in quasi otto anni: si è andati a votare nell’ormai lontano 2013, i governi sono cambiati, l’immigrazione è tornata a essere un’emergenza dopo la fine dell’operazione Mare Nostrum e, soprattutto, dopo le stragi terroristiche che hanno colpito l’Europa.

E allora si vede che il remoto ricordo dei Cie come “campi di concentramento”, in cui i migranti si cucivano le bocche o davano fuoco alle strutture per protesta, è svanito nel nulla (il nostro è un Paese dalla memoria corta) o è stato ammorbidito dalle rassicuranti parole del nuovo Minniti: “Non avranno nulla a che fare con quelli del passato. Punto. Non c’entrano nulla perché hanno un’altra finalità, non c’entrano con l’accoglienza ma con coloro che devono essere espulsi”, ha detto il neo ministro dell’Interno lo scorso 5 gennaio, poco dopo aver tirato fuori il coniglio dal cilindro.

Memoria corta, dicevamo. Del resto non tutti ricordano che i Centri di identificazione ed espulsione furono istituiti dalla legge 40 del 6 marzo 1998, passata alla storia come Turco-Napolitano. L’allora ministra per la Solidarietà sociale e l’allora collega agli Interni previdero per la prima volta di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in appositi Centri definiti “di permanenza temporanea e assistenza”, poi trasformati nel 2011 in Centri di identificazione ed espulsione. Il Testo Unico sull’immigrazione ha subìto negli anni alcune modifiche: prima con la Bossi-Fini (2002) e poi con il cosiddetto “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi, che nel 2008 ha introdotto il reato di immigrazione clandestina. Nel 2014 il Parlamento ha delegato al governo la riforma del sistema sanzionatorio dei reati (l’irregolarità del soggiorno non dovrebbe avere più rilievo penale), ma ad oggi, nonostante vi siano almeno sei proposte di legge ferme, nonostante la Corte Europea abbia stabilito che gli ingressi irregolari di migranti non possano essere sanzionati con il carcere e nonostante il richiamo – lo scorso anno – del presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio (“un reato inutile e dannoso”), nessuno ha fatto nulla.

L’articolo 14 del Testo Unico del ’98 prevede che “quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera” (e su questo giornale abbiamo visto le difficoltà della polizia a farlo), il questore “disponga che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario” presso un Cie. Il “tempo necessario”, inizialmente di 30 giorni (Turco-Napolitano), è diventato di 60 con la Bossi-Fini, di 180 con il “pacchetto sicurezza” del 2008 e addirittura di 18 mesi nel 2011; è tornato di 90 giorni nel 2014, ma un decreto legislativo del 2015, in attuazione di una direttiva europea, ha previsto in alcune circostanze il trattenimento fino a un anno per il richiedente asilo che “costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza” e per il quale sussiste “rischio di fuga”. Attualmente sono sei i Cie funzionanti (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma e Torino), anche se il sito del Viminale, fermo a luglio 2015, ne elenca soltanto cinque. Diventeranno molti di più, piccoli e in ogni Regione, se il nuovo Minniti andrà avanti per la sua strada. Giovedì prossimo il ministro incontrerà i governatori per illustrare le proprie intenzioni: “Proporrò strutture piccole, che non c’entrano nulla con quelle del passato, con governance trasparente e un potere esterno rispetto alle condizioni di vita all’interno”.

E dire che, all’epoca, Minniti non era il solo del suo schieramento a pensare che i Centri dovessero essere chiusi. Nel giugno 2011, mentre Roberto Maroni faceva approvare – tre giorni dopo Pontida – il decreto legge che innalzava a 18 mesi la permanenza nei Cie, l’attuale sottosegretario piddino Sandro Gozi solennemente commentava: “Il ministro Maroni ha voluto solo mostrare il pugno duro, ma è propaganda con le gambe corte, buona solo per Pontida e conferma che il governo affronta il fenomeno dell’immigrazione solo con politiche repressive”. Si vede che adesso che è al governo anche lui, le politiche repressive hanno le gambe più lunghe. Nel 2012, il Forum Immigrazione del Partito Democratico affrontava le “linee programmatiche a breve e media scadenza: dalla abrogazione del reato di clandestinità al superamento dei Cie. Occorre superare il diritto speciale dello straniero e tornare a un sistema di espulsione che sia coerente con la nostra Costituzione”.

E solo tre anni e pochi giorni fa, il 18 dicembre 2013, il vice ministro dell’Interno, Filippo Bubbico (incarico del premier Letta, poi confermato da Renzi e Gentiloni), a proposito del Centro di Lampedusa tuonava: “Bisogna riformare il prima possibile quelle norme, bisogna chiudere il Cie”. La notte dei governi, evidentemente, porta consiglio.

Corriere della Sera

«CHI CHIEDE ASILO DOVRÀ LAVORARE»
di Fiorenza Sarzanini

«Nuove regole per gli immigrati: chi arriva in Italia e chiede asilo dovrà svolgere lavori socialmente utili in attesa di ottenere risposta all’istanza. È una delle norme che sarà illustrata mercoledì al Parlamento dal ministro dell’Interno, Marco Minniti. Per quanto riguarda i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) saranno strutture da massimo cento posti. Record di sbarchi dall’inizio dell’anno»

ROMA Chi arriva in Italia e chiede asilo dovrà svolgere lavori socialmente utili in attesa di ottenere risposta all’istanza. È una delle novità più importanti del pacchetto di nuove misure in materia di immigrazione che sarà illustrato mercoledì al Parlamento dal ministro dell’Interno Marco Minniti, al ritorno dalla sua missione in Germania proprio per discutere di una linea comune in sede europea.

Si tratta di un insieme di regole che hanno l’obiettivo di marcare il «doppio binario» tra profughi e irregolari e si affiancheranno a due proposte legislative sulle quali spetterà alle Camere pronunciarsi. In attesa di chiudere nuovi accordi bilaterali con gli Stati africani che in cambio di aiuti sono disposti ad accettare i rimpatri, ritenuti una delle priorità dal governo.

60 sbarchi al giorno

L’appuntamento è fissato davanti alla commissione Affari costituzionali nell’ambito di un progetto che coinvolge anche le Regioni e i Comuni. Un percorso condiviso che — come ha sottolineato il titolare del Viminale — «servirà a garantire accoglienza a chi ha titolo, essendo inflessibili con chi non ha i requisiti per rimanere nel nostro Paese».

Anche tenendo conto dei numeri: nei primi dodici giorni del 2017 sono sbarcate 729 persone, il triplo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con una media di 60 al giorno. A ciò si aggiunge l’emergenza per i minori non accompagnati. Secondo Telefono azzurro lo scorso anno sono scomparsi in Italia oltre 5.000 ragazzi e bambini.

I venti Cie

I nuovi Cie saranno strutture da massimo cento posti, stabili demaniali lontani dai centri delle città, preferibilmente vicini agli aeroporti.

All’interno lavoreranno i poliziotti per effettuare la procedura di identificazione ed espulsione in modo da poter poi pianificare i rimpatri. La vigilanza esterna potrebbe essere affidata ai soldati che finora hanno svolto compiti di sorveglianza per il dispositivo antiterrorismo.

All’interno sarà sempre presente un «garante» che possa verificare il rispetto dei diritti degli stranieri. A Roma, Torino, Crotone e Caltanissetta si è deciso di utilizzare i centri già operativi, altrove si stanno individuando gli edifici adeguati. Dovrebbero rimanere escluse la Valle d’Aosta e il Molise, anche tenendo conto delle difficoltà per effettuare i trasferimenti.

Il lavoro

Due mesi dopo la presentazione della richiesta di asilo, ai migranti viene rilasciato un documento in cui vengono indicati come «sedicenti» rispetto alle generalità che hanno fornito al momento dell’arrivo.

Basterà quel foglio per inserirli nel circuito dei lavori socialmente utili che diventerà uno dei requisiti di privilegio per ottenere lo status di rifugiato. Proprio come già accade per il corso di italiano obbligatorio per chi vuole ottenere la cittadinanza.

Si faranno convenzioni anche con le aziende per stage che potranno essere frequentati da chi ha diplomi o specializzazioni, proprio come avviene in Germania, nell’ottica di inserire gli stranieri nel sistema di accoglienza avendo la loro disponibilità a volersi davvero integrare.

Le nuove norme

Sono due le norme per le quali si chiederà al Parlamento di valutare modifiche sostanziali. La prima riguarda la possibilità di presentare appello contro il provvedimento che nega l’asilo, sia pur prevedendo alcune eccezioni. Si tratta di una misura che mira a snellire le procedure, evitando inutili lungaggini che impediscono di far tornare nel proprio Paese chi non ha titolo per rimanere.

Una linea che riguarda anche il reato di immigrazione clandestina, di cui da tempo i magistrati chiedono l’abolizione proprio perché impedisce di rendere effettive la maggior parte delle espulsioni. Chi viene denunciato e poi processato per questo illecito può infatti chiedere e ottenere di rimanere in Italia fino alla sentenza definitiva. Con il risultato di non poter effettuare il rimpatrio, anche se lo Stato di nascita concede il nulla osta.

postilla

Non scandalizzano i voltafaccia dei governanti. Scandalizza invece che si persista a non considerare persone umane i soggetti della cui vita si dispone. Le norme "innovative" del governo renziano servono a: (1) utilizzare quelli che riescono a varcare i cancelli della Fortezza Italia come forza lavoro, obbligandoli di fatto ad accettare qualsiasi lavoro purchessia; (2) a rendere più semplici le procedure da utilizzare per rispedirli negli inferni da cui sono fuggiti. Non meraviglia che come strumento intermedio si adoperi quello dei CIE, cioè dei campi di concentramento. Popolo di santi, poeti, eroi e ...aguzzini.

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