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Raúl Zibechi
Due continenti, una stessa lotta
6 Maggio 2016
Dalla stampa
«In Europa e in America Latina le persone iniziano a percorrere strade comuni: la territorializzazione delle resistenze, la formazione dei partecipanti e la creazione di mondi altri negli spazi riconquistati».

"Desinformemonos", tradotto e rilanciato da Comune-info, 6 maggio 2016 (p.d.)

La scorsa estate e durante l’autunno ho potuto conoscere diversi processi di lotta in Italia, nei Paesi Baschi e in altre parti dello Stato spagnolo, che dimostrano sintonia con i processi di resistenza in molti luoghi dell’America Latina. La crisi europea degli ultimi anni ha portato una parte della popolazione (disoccupata, precaria e povera) a considerare progetti di vita diversi mentre continua a resistere al neoliberalismo.

Non è che i movimenti europei seguano le orme di quelli dell’America Latina: sarebbe come pensare che il nostro continente gioca un ruolo centrale o di “guida” nelle lotte sociali. La cosa nuova è che iniziano a percorrere strade comuni, per lo meno sotto tre aspetti: la territorializzazione delle resistenze, la formazione dei loro partecipanti e la creazione di mondi altri negli spazi riconquistati.

A Vitoria/Gasteiz (Álava) un vasto collettivo di giovani sta recuperando un quartiere operaio contro le mire speculative dell’iniziativa privata. Errekaleor si trova alla periferia della città ed è stato costruito negli anni ‘50 per ospitare i lavoratori dell’industria che provenivano dalle aree rurali. È costituito da 192 abitazioni circondate da campi e da una zona industriale dove vivevano 1200 persone.

Il quartiere sembra semi-abbandonato ma è abitato da circa 120 giovani, in buona parte studenti, che hanno iniziato ad occupare le case e a dipingere grandi murales. Hanno riaperto il cinema e il frontón [parete per il gioco della pelota], hanno creato un orto e un pollaio, cuociono il pane e portano avanti un progetto che comprende un centro giovanile in quella che era la chiesa cattolica. Dispongono, inoltre, di locali per le registrazioni, di una sala per concerti, una biblioteca, un bar e un asilo.

Alla periferia della città di Salamanca, nel quartiere Buenos Aires, l’associazione di quartiere e l’associazione delle donne e Asdecoba (Asociación de Desarollo Comunitario Associazione di Sviluppo Comunitario), hanno messo in piedi diverse iniziative degne di nota: cinque orti e una serra dove producono decine di tonnellate di cibo per il quartiere, un catering dove lavorano 20 persone, l’asilo del quartiere e una mensa dove si recano decine di immigrati, poveri ed ex detenuti.

Le iniziative contano sul supporto di padre Emiliano Tapia che da 22 anni gestisce la parrocchia Santa María Nazaret e si dedica con notevole spirito militante a “sostenere il processo per dare dignità alla vita in questo quartiere”. [Il quartiere] Buenos Aires, come tante periferie, è un ghetto di povertà ed emarginazione, popolato da una maggioranza di gitani, afflitto dal traffico di droga, dalla disoccupazione e da un elevato grado di dispersione scolastica. Gli abitanti hanno bloccato l’autostrada chiedendo soluzioni che non arrivano, ma ripongono le loro energie nelle attività volte a trovare soluzioni per la vita degli abitanti del quartiere.

Appena fuori Madrid si è tenuta, dal 22 al 24 aprile, la seconda edizione della Escuela de Movimientos Sociales Ramón Fernández Durán (in omaggio a uno dei militanti sociali più carismatici) durante la quale quasi cento attivisti hanno progettato “analisi e riflessioni per costruire strategie di lotta e proposte per superare il sistema capitalista”. La scuola di formazione è stata organizzata da tre collettivi: il sindacato CGT, Ecologistas en Acción e Balandre che si definisce come “coordinamento delle lotte contro la disoccupazione, l’impoverimento e l’esclusione sociale”.

Hanno partecipato persone venute da tutto lo Stato per discutere delle strategie di fronte alla crisi ambientale, al collasso della civiltà, alla crescente disuguaglianza, al taglio dei diritti, alla privatizzazione dei servizi pubblici, alla repressione e al controllo sociale. Buona parte delle discussioni ruotavano attorno ai rapporti dei movimenti con le istituzioni statali.

Rimarchevole la partecipazione della Asamblea de Parad@s y Precari@s (Assemblea di disoccupat* e precari/e) della CGT di Valencia, che gestisce un ufficio dove vengono dati consigli ai disoccupati sui loro diritti, un aiuto solidale per quanto riguarda prodotti alimentari che hanno battezzato CAOS (Cesta Obrera Autogestionada y Solidaria, Cesta Operaia Autogestita e Solidale) e che distribuisce alimenti donati da membri con impiego fisso: un modo per forgiare legami tra entrambi i settori. Un Guardaroba Solidale fornisce abbigliamento a coloro che ne hanno bisogno e nel laboratorio tessile lavorano tre persone che fanno parte della Asamblea e che possono contare su un macchinario industriale. Non percepiscono neanche un euro dal governo ed esibiscono con orgoglio lo slogan “Di fronte alla dipendenza dallo Stato, autonomia sociale”.

In Italia, possiamo aggiungere la lunga resistenza comunitaria al treno ad alta velocità (No TAV) al nord, l’Azienda Agricola Mondeggi alla periferia di Firenze e la resistenza contro la speculazione immobiliare nel quartiere Pigneto di Roma. Nei 200 ettari recuperati a Mondeggi, una ventina di giovani coltivano la terra cercando di reintrodurre la cultura contadina e, allo stesso tempo, cercano di “trasformare la proprietà pubblica in bene comune”.

Sono solo una manciata delle molte iniziative di resistenza che, in mezzo alla crisi, percorrono “sentieri altri”. Mentre resistono, creano il nuovo; dal basso, in forma autonoma e autogestita. La crisi ha aperto la possibilità di trasformare gli spazi in territori in resistenza. Siamo in grado di iniziare un dialogo orizzontale tra i soggetti, nei territori sia dell’uno che dell’altro continente. La vita ci ha condotti in un posto meraviglioso che, solo pochi anni fa, non avremmo immaginato.

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