loader
menu
© 2024 Eddyburg
Livio Pepino
Cavallerizza e via Asti, la vera questione aperta a Torino
10 Maggio 2015
Torino
«L’establishment invoca "tolleranza zero" contro gli occupanti. Ma il bene pubblico si tutela salvando edifici così importanti dalla speculazione
«L’establishment invoca "tolleranza zero" contro gli occupanti. Ma il bene pubblico si tutela salvando edifici così importanti dalla speculazione». Il manifesto, 10 maggio 2015

Una dimen­ti­cata norma della Costi­tu­zione, l’articolo 9, pre­vede che la Repub­blica «tutela il patri­mo­nio sto­rico e artistico».
Per dare effet­ti­vità a que­sta norma alcuni gio­vani hanno occu­pato due sto­rici monu­menti tori­nesi (il com­plesso della Caval­le­rizza, dichia­rato patri­mo­nio dell’umanità dall’Unesco, e la caserma di via Asti, luogo di tor­tura di anti­fa­sci­sti e par­ti­giani) per i quali si pro­fila un futuro di spe­cu­la­zione e, nell’attesa, un cre­scente degrado. In via Asti la tutela si coniuga con la sua resti­tu­zione alla città anche attra­verso una desti­na­zione sociale (aper­tura di aule stu­dio e di una mensa popo­lare e riqua­li­fi­ca­zione per far fronte a un disa­gio abi­ta­tivo sem­pre più pesante).
Le due ini­zia­tive tro­vano con­senso e soste­gno tra i cit­ta­dini, nel mondo asso­cia­tivo e sin­da­cale, negli ambienti cul­tu­rali. Gli occu­panti chie­dono alle isti­tu­zioni l’apertura di un con­fronto pub­blico sul futuro degli edi­fici.

Nel suo blog sul Cor­riere della Sera Tomaso Mon­ta­nari sot­to­li­nea come la cir­co­stanza che, nell’inerzia (o peg­gio) delle isti­tu­zioni, siano i cit­ta­dini a «pren­dersi a cuore il loro ter­ri­to­rio e i loro monu­menti» risponde esat­ta­mente al pro­getto costi­tu­zio­nale che ha voluto respon­sa­bi­liz­zare non un astratto «Stato» ma la «Repub­blica» in tutte le sue com­po­nenti e articolazioni.

Un gruppo di intel­let­tuali (primo fir­ma­ta­rio Gustavo Zagre­bel­sky) fa appello al Comune per­ché sopras­sieda dal pro­getto di alie­na­zione e smem­bra­mento della Caval­le­rizza e apra una sta­gione di «pro­get­ta­zione par­te­ci­pata» sul suo futuro utilizzo.

Un vec­chio par­ti­giano, l’avvocato Bruno Segre (già dete­nuto in via Asti), nel corso della ceri­mo­nia con cui gli viene con­se­gnato il «sigillo civico» dichiara che gli occu­panti della caserma meri­tano l’appoggio della città. Per l’establishment tori­nese è dav­vero troppo. Così ieri inter­viene la sco­mu­nica di Repub­blica che, con un arti­colo dell’avvocato Vit­to­rio Baro­sio, pub­bli­cato in prima pagina nella cro­naca cit­ta­dina, non si limita a espri­mere il pro­prio (legit­timo) dis­senso rispetto alle occu­pa­zioni ma invoca al riguardo «tol­le­ranza zero» e chiede espres­sa­mente una «azione esem­plare» della magi­stra­tura per­ché la vio­la­zione della lega­lità in atto «non può essere tollerata».

Gli inte­ressi in gioco sono evi­den­te­mente assai forti! Ma c’è, oltre agli inte­ressi, una cul­tura che va con­tra­stata in radice. Nel sistema dise­gnato dalla nostra Carta fon­da­men­tale, infatti, la lega­lità – come ha inse­gnato Piero Cala­man­drei nella indi­men­ti­ca­bile arringa in difesa di Danilo Dolci del lon­tano 1956 – è esat­ta­mente l’opposto del lega­li­smo con­for­mi­sta, che tende alla pura con­ser­va­zione dell’esistente, ed è fatta anche di «strappi» e di disob­be­dienza civile (di cui ci si assume, ovvia­mente, la respon­sa­bi­lità) per rea­liz­zare il dise­gno costi­tu­zio­nale. Del resto Anti­gone – mito della tra­ge­dia greca e sim­bolo, nei secoli, di libertà e di lotta con­tro il sopruso – per dare sepol­tura al fra­tello, disob­be­dendo alla legge di Creonte, non disco­no­sce il signi­fi­cato della legge e non pre­dica l’illegalità ma si fa por­ta­trice di una legge supe­riore (il «diritto degli dei») e accusa il sovrano di illegalità.

E, poi, è inu­tile occul­tare che l’invocazione della «tol­le­ranza zero» è una opzione solo e tutta poli­tica. Viviamo in un Paese in cui le leggi sono tanto nume­rose quanto vio­late. Per­se­guire la lega­lità signi­fica dun­que, ine­vi­ta­bil­mente, defi­nire gerar­chie di valori e prio­rità di inter­venti. Non tutto si può fare con­tem­po­ra­nea­mente e con lo stesso impe­gno di risorse e intelligenza.

Occorre sce­gliere.

Si può comin­ciare lot­tando con­tro le mafie o libe­rando le città dalla pre­senza «fasti­diosa» di accat­toni e lava­ve­tri, con­tra­stando la spe­cu­la­zione edi­li­zia e l’inquinamento ambien­tale o per­se­guendo chi pro­te­sta (magari con qual­che eccesso) a tutela della salute pro­pria e dei pro­pri figli, impe­gnan­dosi per eli­mi­nare (o con­te­nere) l’evasione fiscale oppure sgom­brando edi­fici abban­do­nati occu­pati da «con­te­sta­tori» e via elen­cando. Inu­tile dire che la defi­ni­zione del calen­da­rio degli impe­gni (e la con­nessa mobi­li­ta­zione dell’opinione pub­blica) è scelta poli­tica e non un vin­colo giuridico.

Ma c’è di più. Anche le moda­lità dell’intervento teso a ripri­sti­nare una lega­lità che si assume vio­lata non sono auto­ma­ti­che. La corsa di ciclo­mo­tori in una strada urbana si può con­tra­stare con multe pesan­tis­sime, con un con­trollo del traf­fico da parte di vigili in divisa, con la pre­di­spo­si­zione sulla car­reg­giata di appo­site bande tese a impe­dire una velo­cità ecces­siva; lo sgom­bero di barac­che abu­sive e peri­co­lose si può effet­tuare con le ruspe o con i ser­vizi sociali, con la poli­zia in assetto di guerra o pre­di­spo­nendo solu­zione abi­ta­tive alter­na­tive; la lega­lità può essere impo­sta con la forza o per­se­guita con il con­fronto e la trattativa…

Ancora una volta non si tratta di auto­ma­ti­smi giu­ri­dici ma di scelte poli­ti­che. Ed è que­sta – non altra – la que­stione aperta, oggi, a Torino

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg