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Daniela Preziosi
Secolo Ingrao, ma Renzi non c'era
1 Aprile 2015
Pietro Ingrao
«Camera. Aula affollatissima per il festeggiamento, il governo non manda nessuno. D'Alema scherza: governo chi?» C'è ancora chi si meraviglia della radicale scelta di campo dell'erede di Silvio (il quale forse era un po' beneducato.

Il manifesto, 1º aprile 2015

L’appello è pre­sto fatto: ci sono tutti ma pro­prio tutti a festeg­giare i cent’anni di Pie­tro Ingrao. Come una riu­nione di fami­glia, certo. Ma la fami­glia è grande, allar­gata, cent’anni di sto­ria d’Italia. «Lui non ha potuto por­tare il carico dei suoi anni qui con noi», spiega Mario Tronti.

Ma gli Ingrao sono tanti, com­po­sti ed emo­zio­nati, quat­tro gene­ra­zioni, dalla sorella Giu­lia, ai figli Cele­ste, Bruna, Renata, Chiara e Guido fino ai loro nipoti. Non basta la Sala della Regina della Camera, così l’incontro inti­to­lato ’Per­ché la poli­tica’ «senza punto inter­ro­ga­tivo», spiega la pre­si­dente Laura Bol­drini, si spo­sta nella ster­mi­nata aula dei gruppi par­la­men­tari. Le prime file sono per gli Ingrao, gli amici e i pre­si­denti della Repub­blica Mat­ta­rella e Napolitano.
Die­tro di loro le sini­stre diverse che però tutte (o quasi) non pos­sono non dirsi ingra­iane, almeno per gra­ti­tu­dine, per aver impa­rato da lui la pra­tica del dis­senso e quella del dubbio.

Nei ban­chi, Sua Mae­stà il Caso scom­pone e ricom­pone la sto­ria del Pci-Pds-Ds-Pd in nuove curiose sequenze: Occhetto l’uomo della Svolta accanto a Luciana Castel­lina fon­da­trice del mani­fe­sto, Aldo Tor­to­rella il comu­ni­sta demo­cra­tico padre dell’associazione per il Rin­no­va­mento della sini­stra accanto all’ex pre­mier Mas­simo D’Alema che due set­ti­mane fa ha pro­po­sto una nuova omo­nima asso­cia­zione. L’ex pre­si­dente del senato Man­cino accanto ai col­le­ghi ex della camera Vio­lante e Ber­ti­notti, a seguire Gen­naro Migliore, l’ultimo (per ora) a gui­dare un fram­mento di sini­stra in una simil scis­sione, onore alle vec­chie abi­tu­dini; l’ex gover­na­tore Bas­so­lino con la pasio­na­ria anti­ren­ziana Pol­la­strini, a sua volta accanto al pacato capo­gruppo Pd Spe­ranza; il migliore dei miglio­ri­sti Maca­luso con l’ingraiano Tocci, l’asorrosiano Asor Rosa e il civa­tiano Cor­ra­dino Mineo. La ditta Bersani&Epifani con la pro­diana Zampa. Il lea­der della Fiom Lan­dini, inse­guito dalle tele­ca­mere, accanto a Mussi, alla gio­vane euro­rin­fon­da­rola Eleo­nora Forenza e al dc Gerardo Bianco. Sparsi per la sala il sin­daco di Roma Marino, Anna Finoc­chiaro, Ugo Spo­setti, par­la­men­tari di Sel, Valen­tino Par­lato, tanti gior­na­li­sti anche di gior­nali chiusi (come l’Unità che Ingrao diresse dal ’47 al ’57, ria­prirà il 25 aprile). Men­zione spe­ciale per tutte le mino­ranze Pd, Fas­sina, Cuperlo, D’Attorre, Damiano, Civati, reduci dal ring della dire­zione, la sera prima: ini­ziata con un com­mosso applauso a Ingrao, l’uomo del dis­senso, finita con porte sbat­tute e un voto bulgaro.

Tutti pre­senti, indo­vina chi non c’è? Non c’è il pre­mier, né il governo, nean­che un gio­vane mini­stro inviato per buona creanza. C’è, sì, la sot­to­se­gre­ta­ria Amici, ma non vale, è dale­miana. E c’è di meglio, anzi non c’è: non c’è un ren­ziano, ecce­zion fatta per il neo­fita Migliore, che però viene dal giro del Prc, il par­tito dove alla fine Ingrao approdò. Né un gio­vane turco, quelli della maglietta di Togliatti, un tempo guar­diani non di un’ortodossia mai cono­sciuta ma almeno di una qual­che idea di par­tito. Il pre­si­dente Mat­teo Orfini spiega l’assenza con la con­sueta pole­mica verso ’gli anar­chici’ della sini­stra interna: «Ci hanno detto che dove­vamo restare in aula a votare il decreto anti­ter­ro­ri­smo. Io sono tenuto a seguire le indi­ca­zione del gruppo. Come dovreb­bero fare tutti».

Ci fosse stato, Renzi avrebbe ascol­tato Alfredo Rei­chlin, pro­prio il Rei­chlin che ha coniato la ren­zia­nissma for­mula «par­tito della nazione» rac­con­tare di come Ingrao all’XIesimo con­gresso (del ’66) abbia pro­cla­mato «il diritto a mani­fe­stare pub­bli­ca­mente il dis­senso» e nel Pci di sessant’anni fa come «abbia rotto quel vin­colo quasi sacrale in base al quale il ver­tice del par­tito si pre­senta unito all’esterno».

E la lezione del ’pro­fes­so­rone’ Gustavo Zagre­bel­sky sul car­teg­gio Ingrao-Bobbio, divisi su tutto ma uniti sul timore di una demo­cra­zia che non par­te­cipa e si tra­sforma «in un elenco di elettori». Fino allo scritto di Ros­sana Ros­sanda letto da Maria Luisa Boc­cia (fem­mi­ni­sta, ingra­iana e cura­trice con Alberto Oli­vetti del nuovo Coniu­gare al pre­sente), che torna sulla scena dell’intervento dell’XIesimo con­gresso, «accolto con un’ovazione fin­ché però la pla­tea non si accorse dell’accoglienza gla­ciale da parte della presidenza».

Per tre ore si parla di Ingrao, appunto, ’coniu­gato al pre­sente’. Fino all’ultimo «non ci sto», dopo l’89 che invita, spiega lo sto­rico Leo­nardo Paggi, «alla rico­sti­tu­zione di una sini­stra cri­tica», a «tor­nare nel gorgo con la forza ragio­nata di un pro­gramma, senza l’attesa di un mitico quanto impro­ba­bile lea­der», oggi che siamo in pre­senza «di un attacco fron­tale ai diritti del lavoro e alla demo­cra­zia par­la­men­tare». A que­sto pro­gramma «dovreb­bero atten­dere quanto prima le forze che sen­tono un legame con la vita di Ingrao».
Ecco, appunto: Renzi non c’è per­ché il Pd di Renzi ha reciso quel legame. «Un finale impe­tuoso, un appello infuo­cato», scherza ma anche no D’Alema, avvian­dosi all’uscita. Pre­si­dente, ha visto?, Renzi non c’era. D’Alema non resi­ste alla bat­tuta: «Chi?
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