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Ferruccio Sansa e Lorenzo Tosa
Monte di Portofino: l’attacco del cemento Moli e centinaia di box
2 Marzo 2015
Liguria
Una rete di poteri forti, con recapiti nei paradisi fiscali, protetti e incoraggiati dai cacicchi locali, rilanciano nel XX secolo la rapallizzazione degli anni ruggenti della speculazione.

Il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2015

Santa Margherita (Genova). Non è sufficiente il no di Renzo Piano. Non conta il parere di migliaia di cittadini, la battaglia di comitati e associazioni ambientaliste. Non importa neppure se milanesi e torinesi sono pronti ad abbandonare in massa le seconde case in Riviera. Insomma, non basta che questa politica folle si sia dimostrata un fallimento, per l’ambiente, ma anche per l’economia, per le tasche della gente.

Una nuova colata di cemento è pronta a scendere sul Monte di Portofino: nuovi moli e costruzioni a Santa Margherita. Mentre a Camogli si annunciano altri box per le auto. Se ti fermi a guardare questa terra dal mare – come fece Truman Capote e, prima di lui, Guy de Maupassant – vedrai ancora mulini e frantoi. Muretti a secco che sfidano le leggi di gravità. Sentieri che tagliano ulivi e orti terrazzati. Sì, li vedrai, ma sempre meno.

Per scoprire la Liguria di oggi e domani devi osservare i rendering (si chiamano così le simulazioni al computer degli architetti). Allora troverai cemento, posti auto, terreni da sbancare. Certo, nelle immagini taroccate dei progettisti sembrano sempre belli, poi nella realtà è tutto diverso. Nemmeno questo paradiso naturale noto in tutto il mondo è risparmiato. Con la complicità delle istituzioni, come accade da decenni in Liguria. E dietro ai progetti si ritrovano nomi di imprenditori cari alla politica e perfino alla Curia.

A Santa Margherita se ne sono accorti nel febbraio 2011, quando viene presentato il progetto del nuovo porticciolo. Un investimento da 70 milioni che prevede moli, bagni extralusso, centri benessere, oltre a 250 posti auto interrati. La firma è dello studio Gnudi di Milano, a commissionarlo la Santa Benessere & Social Srl e il suo presidente Andrea Corradino, fedelissimo del senatore Luigi Grillo (Pdl), in seguito arrestato per lo scandalo Expo 2015. E dietro c’è un po’ di tutto. Persino una società anonima lussemburghese (a sua volta controllata da società delle isole Vergini e di Panama), la Rochester Holding, che fa capo a Gabriele Volpi. Un self-made man che dalla tuta blu da metalmeccanico è passato ai pozzi petroliferi nigeriani. È qui che costruirà il suo impero, forse grazie anche all’amicizia con l’ex vicepresidente Atiku Abubakar, escluso nel 2007 dalla corsa alla presidenza perché accusato di corruzione. A dirlo non è qualche fanatico oppositore, ma il Comitato Permanente per le Investigazioni del Senato americano.

Volpi è un Berlusconi in salsa ligure: jet privato, patrimonio forse a nove zeri. Consenso guadagnato grazie allo sport: la stellare Pro Recco di pallanuoto come il Milan di Sacchi. Poi lo Spezia calcio. E, si sussurra, anche la Sampdoria: è lui il finanziatore dietro a Er Viperetta? Volpi smentisce.

Di fronte a un simile quadro - e a un progetto che promette di gettare migliaia di metri cubi di cemento sulla riva del mare – i sammargheritesi alzano la voce. Si costituiscono nel comitato “Difendi Santa”. E, alla fine, convincono il Comune a tornare sui suoi passi, forti anche di uno sponsor d’eccezione come Renzo Piano. “Qualsiasi nuovo intervento potrebbe compromettere l’intera marina” tuona l’archistar genovese. Tutto rientrato? Nient’affatto. Perché sei mesi dopo spunta un secondo progetto, presentato dall’A.T.I. Porto Cavour, un consorzio che raduna un pool di operatori portuali decisi a proseguire sul solco tracciato dalla Santa Benessere. “Parliamo di un piano meno invasivo rispetto al precedente, ma che andrebbe ad alterare in modo sensibile e permanente l’intero complesso, toccando sia il porticciolo che il retroporto” denuncia Marco Delpino del Comitato “Difendi Santa”.

Ma chi c’è dietro questa cordata nata all’improvviso che s’ispira al conte di Cavour (“il primo a voler realizzare il porto a Santa Margherita” spiegano i promotori) e ripropone, con qualche lieve modifica, un restyling già bocciato in giunta? Cambiano i nomi, si sprecano i paragoni illustri, ma le facce - e i portafogli - potrebbero essere sempre gli stessi, in una sorta di Gattopardo in salsa ligure. Il giudizio definitivo su entrambi i progetti è atteso per il prossimo 11 marzo dalla Conferenza dei Servizi. Ma la partita potrebbe proseguire ad oltranza con il ricorso al Tar e, infine, al Consiglio di Stato. “Il porto qui ha una funzione strategica cruciale - spiega Delpino - Se dovesse finire nelle mani di pochi privati, potrebbe diventare il trampolino di lancio per impadronirsi, un domani, dell’intera città”. Mentre Bruxelles impone l’azzeramento del consumo di suolo entro il 2050, la Liguria consuma fino all’8,4% di suolo (contro il 7,3% nazionale, dati Ispra). Senza contare il record di case non occupate (332mila su un milione).

Un quarto d’ora di auto al di là del promontorio ed ecco Camogli, su cui incombe un maxi-progetto per la realizzazione di due autosilos da quasi 500 posti totali, tra box e posti auto pubblici e privati, oltre a una sessantina di posteggi in superficie. Approvati dal Comune e ora al vaglio della Conferenza dei servizi, i due parking dovrebbero sorgere sull’area dell’ex scalo ferroviario, la cui riqualificazione è affidata allo Scalo Srl, una società partecipata al 51% dal Comune e al 49% dalla Novim Srl di Lecco, a sua volta controllata dalla Colombo Costruzioni.

In principio si era parlato anche di alcune palazzine residenziali, poi scongiurate dalla precedente giunta. Restano i parcheggi. Con numeri da far tremare i polsi: 4 piani interrati, 70mila metri cubi di terra e roccia movimentati, per cui saranno necessari non meno di 3 anni di lavori. “Una follia urbanistica – la definisce Stefano Massone del Comitato Scalo ferroviario Camogli – che avrebbe gravi ripercussioni non solo sul piano ambientale, ma costerebbe a Camogli anche anni di blocco della circolazione, una preoccupante riduzione dei parcheggi e un drastico impatto sul turismo, oltre a tutte le incognite idrogeologiche e di assetto territoriale”. E, infine, l’affondo. “Concediamo al privato un’area pubblica per realizzare una speculazione da oltre 6 milioni di euro stimati, senza alcun vantaggio concreto per il paese”.

Il 7 marzo centinaia di cittadini scenderanno in piazza contro il progetto più pesante degli ultimi 150 anni. Ma per centinaia di liguri che manifestano, molti altri tacciono. E magari si preparano a votare per la stessa maggioranza di centrosinistra - prima guidata da Claudio Burlando, ora da Raffaella Paita - che ha puntato sulla politica del cemento. Con i risultati noti a tutti: la Liguria è la regione del Nord con i più alti tassi di disoccupazione.

La nuova “rapallizzazione“

C’è perfino una parola apposta: rapallizzazione. Fu coniata nel secondo Dopoguerra per indicare uno sviluppo urbanistico selvaggio. Un vocabolo che nacque proprio dalla cittadina ligure di Rapallo. Oggi sono passati più di cinquant’anni, ma la Liguria si trova di nuovo minacciata dal cemento. La breccia è stata aperta dalla legge sui porticcioli voluta dall’allora ministro Claudio Burlando. Poi arrivarono i piani regionali. Memorabile una frase di Burlando pronunciata nel 2005: “Un mio amico di Bologna (Prodi, contrario alla cementificazione, ndr) si è augurato di vedere sulle nostre spiagge più ombrelloni e meno porticcioli. Io invece dico: più ombrelloni e più porticcioli”.

E così è stato, grazie anche all’appoggio del centrodestra, soprattutto di Claudio Scajola, padrino del nuovo porto di Imperia. Operazione finita con costi lievitati e moli mezzi vuoti. Così in pochi anni i posti barca sono passati da 14mila a quasi 24mila. E dovevano arrivare a 30mila. Intorno immancabili operazioni immobiliari, magari firmate da architetti amici della sinistra. Un altro porto da mille posti doveva nascere a Marinella, alle foci del fiume Magra, noto per le alluvioni. Progetto lanciato da un’impresa della banca rossa Mps. Nella società sedeva il tesoriere della campagna elettorale di Burlando. La crisi della banca ha fatto arenare il porto.

Ma la scommessa sul cemento continua. La Regione di Burlando ha varato un piano casa che gli ambientalisti Angelo Bonelli e Roberto Della Seta hanno definito “il più devastante d’Italia”. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: l’economia ligure è al collasso. Anzi, rischia di essersi mangiata la sua più grande ricchezza: l’ambiente che garantisce il 20% del pil con il turismo.

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