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Luisa Calimani
Città amica: Una lettera degli architetti sul DDL Lupi
9 Novembre 2014
La legge Lupi
Articolata e rigorosa valutazione critica di tutti i punti essenziali, pienamente condivisibile. Qualche riconoscimento positivo che consideriamo rischioso, poiché il progetto Lupi è a nostro avviso inemendabile. In calce i firmatari, appartenenti alla mailing list "Citta' amica"





Il giorno 24 luglio il Ministro Lupi ha presentato alle Amministrazioni e ai principali stakeholders il testo del disegno di legge dal titolo: "principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana".

La prima considerazione, propedeutica ad ogni altra, riguarda la mancata corrispondenza del ddl in esame, alla riforma al titolo V già approvata al Senato. Essendo presumibile che le competenze attribuite a Stato e Regioni non si discosteranno molto da quelle contenute nel testo costituzionale in itinere e tenuto conto che vi è un nuovo assetto nella struttura istituzionale riguardante sopratutto le Province, è lungimirante la costruzione di un testo che ne tenga conto, considerato che il “Governo del Territorio”, di cui tratta la proposta di ddl non è, o meglio non sarà, più materia concorrente, ma materia esclusiva dello Stato. Così pure appare incongruo mantenere dei riferimenti e dei compiti (articoli 5 e 8) alla Conferenza Stato Regioni del tutto inutile dopo l'istituzione del nuovo Senato delle Autonomie

La seconda considerazione di carattere generale riguarda la “filosofia” che attraversa tutto l'articolato, molto sbilanciata verso la promozione e la difesa delle prerogative dei soggetti privati, intesi non tanto come cittadini detentori di interessi diffusi, quanto soggetti miranti ad ottenere dall'uso del territorio, Bene Comune, un proprio personale vantaggio economico. L'aspetto non condivisibile riguarda l'equidistanza, se non addirittura la subalternità dell'Ente pubblico, cui spetta per Legge il governo del territorio, agli interessi privati, che si evidenzia in particolare in due clamorosi “riconoscimenti”.

Il primo risiede agli art.1 e 7 che sanciscono il diritto del privato a partecipare alla elaborazione degli strumenti di pianificazione urbanistica sia generali che operativi.

Il secondo sta scritto all'articolo 8 relativo all'obbligatoria compensazione di limiti posti alla proprietà privata, ma sopratutto all'articolo 12 che impone il risarcimento al privato, in caso di variante al Piano, dei mancati guadagni dei cosidetti “diritti edificatori” che il Comune stesso ha gratuitamente elargito attraverso una destinazione urbanistica (con premialità, compensazioni, perequazioni) e che deve pagare risarcendo un presunto mancato guadagno. Una qualche responsabilità spetta anche a chi ha inventato questo lessico deviato del diritto edificatorio, inesistente, in quanto diritto non è, ma solo previsione di un assetto urbanistico che offre delle possibilità a costruire. Diventerebbero diritti, comunque subordinati al pubblico interesse, qualora fosse raggiunta attraverso le procedure di rito e gli eventuali nulla osta, tale facoltà sancita dal rilascio di un permesso a costruire dato dall'organo competente e/o attraverso un atto convenzionale.

Il terzo rilievo riguarda l'assenza di qualsiasi preoccupazione di carattere ambientale che, non solo scienziati, esperti, ambientalisti rilevano, ma i cittadini comuni, portatori di esigenze collettive dotati ormai di sensibilità verso i problemi che investono il territorio naturale e antropizzato che provocano gravi danni a persone e a cose, nonché alla profonda evoluzione della partecipazione in forme che raggiungono livelli qualitativi idonei al loro formale riconoscimento di attori a pieno titolo. Una Legge moderna sul governo del territorio, non può prescindere dagli aspetti di tutela del territorio, di difesa delle sue fragilità dovute allo squilibrato consumo di suolo e uso improprio delle risorse non riproducibili, nonché alla profonda evoluzione della partecipazione. Questa è la principale ragione per cui è necessario por mano alla revisione della Legge Urbanistica del 1942, quando questi aspetti non si presentavano nella forma devastante in cui si pongono oggi. Persino l'attuale cancelliera Angela Merkel quando era Ministro dell'Ambiente, ravvisò nel consumo di suolo il più pericoloso attacco al sistema ambientale, causa non secondaria di allagamenti e mutamenti climatici, a cui pose parziale rimedio con una Legge che disponeva limiti inderogabili.

L'esasperata privatizzazione della città, che il proposto ddl favorisce, si evince anche dal ruolo affidato agli standard urbanistici chiamati anche dotazioni territoriali. Questi non sono più espressi in termini di superfici o volumi, anche attraverso un aggiornamento delle funzioni che sono destinati a svolgere, bensì vengono considerati dotazioni da garantire, non attraverso lo strumento della pianificazione urbanistica che individua le aree da destinare a pubblici servizi, bensì invece attraverso forme proprie dei servizi sociali e delle strutture sanitarie a cui spettano specifici compiti di programmazione e gestione, ma che non possono assolutamente sostituirsi nella definizione, localizzazione, dimensionamento di spazi destinati ai servizi pubblici di quartiere, urbani, territoriali, compito che spetta unicamente allo strumento della pianificazione urbanistica. E a questo riguardo lascia assai perplessi che i minimi standard vengano azzerati con la soppressione del dpr che li ha originariamente istituiti. Segno questo di una controriforma della pianificazione e del governo del territorio, di un'arretratezza politico-sociale rispetto alle conquiste civili raggiunte nel passato.

Lasciare alle Regioni la possibilità di incrementare la dotazione di servizi, come oggi avviene, è un giusto tributo al federalismo, ma garantire ad ogni cittadino della penisola una dotazione minima di spazi destinati alla cura, al gioco, al verde, all'istruzione, al culto, ai parcheggi... è un atto dovuto dal governo centrale, una sua imprescindibile responsabilità nei confronti dei diritti individuali e collettivi, di socialità e di benessere di cui lo Stato nazionale deve farsi garante, come previsto dalla stessa Costituzione che il ddl Lupi non può modificare. Come pure garante deve esserlo nei confronti della conservazione dei beni storici, della prevenzione dei dissesti idrogeologici, delle inondazioni, delle frane, che non sempre sono opera solo di calamità naturali, ma sono determinate o favorite dall'azione deleteria dell'uomo a cui questa proposta di legge non pone alcun riparo.

La prevalenza del privato sul pubblico, si estende anche alla questione dell'edilizia residenziale pubblica, che come è giusto sia, entra a far parte dei nuovi standard urbanistici, ma non solo per quanto riguarda l'edilizia pubblica o in locazione convenzionata, ma anche in proprietà. Ovvero l'articolo 19 inserisce nel conteggio delle dotazioni territoriali, ovvero nei nuovi standard, la casa in proprietà !!

La proposta di ddl contiene due aspetti positivi. I tributi dovuti per effetto delle previsioni urbanistiche ritiene non debbano essere previsti fintanto che le medesime non siano contemplate nel piano operativo e non solo come accade ora in quello generale non conformativo (art. 9). Altro elemento innovativo riguarda il contributo dovuto all'aumento di valore degli immobili derivante dalla variazione di destinazione d'uso attribuita dai Piano e calcolata al 66% dell'incremento di valore determinatosi a causa della nuova destinazione rispetto alla precedente.

E' positivo l'auspicio di privilegiare gli interventi nel tessuto già edificato. Ma senza che, oltre a discutibili e discrezionali premi volumetrici, sia previsto un reale effettivo meccanismo di contenimento dell'uso del suolo e l'indicazione di un procedimento che favorisca questo processo, l'auspicio rimane del tutto aleatorio e privo di alcuna efficacia. Ma forse il legislatore fa affidamento al ricorso alla “deregulation”di cui all'articolo 17 che consente che tali interventi siano realizzati con accordi urbanistici, anche in assenza o in difformità al Piano Operativo

Il “razionale” uso del suolo ribadito più volte nel ddl è privo di senso, perchè gli amministratori che hanno finora predisposto e approvato i Piani, non hanno mai ritenuto che l'uso del suolo in essi contenuto, fosse irrazionale. Quindi questa affermazione non è destinata ad ottenere alcun buon risultato perchè non esplicita nulla, non intercetta quell'esigenza, quasi unanimemente condivisa, di contenimento dello spreco di suolo fin'ora perpetrato a danno dell'ambiente e della stessa economia dei territori.

Vi è poi all'articolo 3 una certa imprecisione riguardo alle competenze relative ai beni paesaggistici, quasi il legislatore volesse attribuire in forma concorrente, attraverso legge ordinaria, competenze che la Costituzione affida esclusivamente allo Stato, quali appunto il Paesaggio. Inoltre vi è la pretesa (art.5 terzo comma) che sia la pianificazione paesaggistica ad assumere (“contemplare”) le trasformazioni territoriali e non queste ultime a doversi adeguare alle esigenze di tutela del Paesaggio.

Pare anche alquanto discutibile il riferimento alle Forze armate fatto sempre al IV comma dell'art. 3 del ddl in oggetto.

Con il DQT (Direttiva Quadro Territoriale) lo Stato si sostituisce ai territori interessati nella pianificazione, non solo con programmi di interesse nazionale, ma adottando programmi speciali anche a valenza territoriale e questo a molteplici fini fra i quali la promozione di politiche di sviluppo economico locale e altre fattispecie che rendono praticamente onnicomprensiva la facoltà di ingerenza dello Stato nella pianificazione dei governi locali.

E' inoltre improprio e non pertinente, in una legge che si presume di lunga durata, stabilire quelle norme sulla fiscalità immobiliare che il governo modula costantemente per adeguarsi alle condizioni economiche del Paese e degli enti locali.

La possibilità di costruzione in deroga ai Piani, di modificare le destinazioni d'uso, di trasferire immobili in altra area senza specificare che essa debba avere destinazione “conforme”, oltre alla discrezionalità data a premialità e compensazioni, renderebbe la pianificazione un atto quasi superfluo, ma utile alla commercializzazione dei metri cubi individuati nei Piani.

Con la commerciabilità dei “diritti edificatori” previsti all'art. 12 e l'istituzione di registri comunali che li codificano la città si manifesta sempre più, secondo questo ddl, non come un organismo complesso (oggi in condizioni già abbastanza gravi di malessere sociale e ambientale), ma come una grande agenzia immobiliare e il pianificatore come un agente di commercio della città trattata come una merce.

“Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento”. Tutto il ddl si conforma a questo principio inserito al primo comma dell'art.8, non quindi a garantire i diritti collettivi, alla salute, al benessere, alla bellezza, all'efficienza, alla mobilità alternativa, all'accessibilità ai servizi, alla dotazione di verde, alla tutela dell'ambiente e del paesaggio, diritti urbani che, secondo questo discutibile principio, possono essere sacrificati al supremo diritto della proprietà privata a cui invece la stessa Costituzione pone dei limiti in quanto afferma che “deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

Luisa Calimani
Giulio Tamburini
Antonio Perrotti
Manlio Marchetta
Loredana Mozzilli
Sergio Lironi
Piergiorgio Bellagamba
Teresa Cannarozzo
Laura Mancuso
Laura Fregolent
Giancarlo Storto
Maurizio Rossetto
Luca Fanton
Francesco Indovina
Valeriano Pastor
Anna Braioni
Michelina Michelotto
Vezio De Lucia
Barbara Pastor
Arianna Rossi
Franco Mancuso
Serena Jaff
Francesco Lo Piccolo
Paolo Pavan
Maurizio Garano
Vittorio Caporioni
Marino Folin
Ettore Janulardo
Giacomo Massarotto
Fernanda Faillace
Melania Cavelli
Guido Mase’
Cristiano Toraldo di Francia

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