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Carlo Di Foggia
Olivetti, ad Aosta finisce davvero l’utopia industriale italiana
20 Settembre 2014
Capitalismo oggi
«Chiude l'ultimo baluardo di un glorioso passato industriale. Si chiude un’epoca, un declino spaventoso figlio di scelte industriali scellerate e lotte di potere sulle spalle di un colosso sano».

«Chiude l'ultimo baluardo di un glorioso passato industriale. Si chiude un’epoca, un declino spaventoso figlio di scelte industriali scellerate e lotte di potere sulle spalle di un colosso sano».

Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2014 (m.p.r.)

Come i trattati che pongono fine alle guerre, anche quello che chiude il triste declino industriale della Olivetti porta il nome di una città: Arnad. Questo paesino valdostano, famoso per il lardo dop, segna il passaggio ufficiale di quella che fu la creatura di Camillo Olivetti - resa dal figlio Adriano protagonista assoluta dello sviluppo informatico mondiale - a una “manifattura virtuale”, senza produzioni italiane, ormai delocalizzate in Cina e nell'est Europa.

Arnad è l'ultima tappa di un percorso trentennale. Martedì scorso lo stabilimento della controllata Olivetti I-Jet, l’unico rimasto in Italia, ha annunciato che entro fine mese chiuderà l’ultima delle sue produzioni ancora operative: le testine a impatto utilizzate per le stampanti ad aghi, una tecnologia brevettata dallo storico marchio di Ivrea. Tutto finito. La produzione verrà “esternalizzata”, con la promessa di ricollocare i 38 operai rimasti nelle aziende del canavese che hanno ereditato i brandelli del Gruppo, e da dove Olivetti è fuggita a metà degli anni 2000. Fino a giugno del 2012 – quando è stata messa in liquidazione – la società impiegava 162 lavoratori, in gran parte ricercatori e “solo” 50 operai. I bilanci sempre in perdita hanno costretto la controllante Telecom (comprata proprio da Olivetti ai tempi di Roberto Colaninno né è poi diventata il contenitore) a ripianare le perdite per quasi 100 milioni dal 2005. Due anni fa, la crisi definitiva. Telecom avvia la vendita dei pezzi pregiati, l’ultima a luglio scorso: cede agli svizzeri della Sicpa i settori Manufacturing e Silicon Production( 36 addetti). L’anno prima era toccato a “Ricerca e sviluppo” (43 dipendenti). Al culmine della produzione, Arnad sfornava 10 milioni di accessori (stampanti e fax) e impiegava 300 lavoratori. «Chiude l'ultimo baluardo di un glorioso passato industriale - spiega Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom a Torino e per anni responsabile della sezione di Ivrea - Si chiude un’epoca, un declino spaventoso figlio di scelte industriali scellerate e lotte di potere sulle spalle di un colosso sano».

Il deserto è nei numeri: negli anni ‘70 l'azienda di Ivrea impiegava quasi 70 mila lavoratori (40 mila in Italia), oggi ridotti a 682. La decisione di uscire dal mercato dell'elettronica (un “male da estirpare” secondo lo storico dirigente Fiat Vittorio Valletta) con la vendita nel 1964 di tutta la divisione alla General Electric e da quello dei personal computer (deciso nel 1997 dall'allora ad Carlo De Benedetti) ha azzoppato un’azienda che aveva sfornato oggetti di culto per il design e la tecnologia studiata nei suoi laboratori (quello Ricerche Elettroniche, per dire, nel 1965 partorì il primo Pc della storia, il P101, 12 anni prima di Steve Jobs): nel 1948 la macchina da scrivere Lexikon 80; nel 1950 la gloriosa Lettera 22; nel 1956 la calcolatrice Divisumma, disegnata da Marcello Nizzoli.

Pezzo dopo pezzo, però, i presidi industriali nati dalla vertiginosa crescita di fatturato della gestione di Adriano sono scomparsi. Gli storici stabilimenti di Pozzuoli (30 mila metri quadrati e 1.300 addetti) e Crema hanno chiuso i battenti oltre vent'anni fa. Nel Canavese, la ferita è più recente ma il segno lasciato profondo: degli impianti che davano lavoro a 25 mila addetti non è rimasto più nulla. Scarmagno, che ospitava la divisione computer (Opc) è stata abbandonata e non produce niente (ripara componenti per cellulari) mentre un incendio ha piegato la Telis, e le aziende che si erano accaparrate i resti della gigantesca struttura. A Ivrea le officine sono diventate un museo. L’ultimo a cadere è stato lo stabilimento di Agliè (400 dipendenti), chiuso nel 2004. Ad altri è toccata una sorte diversa, fatta di riconversione forzata, come lo stabilimento di Carsoli (Abruzzo), trasformato in un call center (sulla scia di quanto già sperimentato a Ivrea).

Per evitare il dissesto, negli ultimi anni Olivetti ha completamente cambiato pelle, specializzandosi in applicazioni mobili, dematerializzazione di documenti e servizi cloud. I registratori di cassa - l’ultimo settore dove è ancora leader - li produce in Cina. Nel 1999, Colaninno usò la cassa Olivetti per scalare Telecom, costringendo il gruppo a disfarsi dell’ultimo pezzo pregiato: la Omnitel-Infostrada (creata da De Benedetti), finita a Vodafone. Due anni prima fu proprio Omnitel ad aver avuto l’occasione di comprare il gruppo inglese. Ma l’opposizione di Colannino privò l’Italia della possibilità di avere il primo operatore di telefonia mobile del mondo. E di salvare la Olivetti.

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