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Nadia Urbinati
Perché serve una riforma su misura
12 Dicembre 2013
Articoli del 2013
Le condizioni virtuose per una buona legge elettorale

Le condizioni virtuose per una buona legge elettorale. La Repubblica, 12 dicembre2013

È responsabilità della politica ridare fiducia nelle istituzioni. Mettendo fine a comportamenti che calpestano la moralità pubblica (il misuso e l’abuso delle risorse pubbliche) e all’impotenza a decidere. Quest’ultimo è il caso della mancata riforma elettorale. Non c’è più spazio per i tentennamenti; la crisi sociale che attanaglia il paese da Nord a Sud è di tale gravità da non consentire tempi supplementari. Superare l’impotenza è un dovere e una necessità. Un’impotenza della politica che è il residuo dell’erosione della fiducia che si è accumulata nel ventennio berlusconiano e che ha minato la capacità cooperativa tra avversari e perfino tra i membri di uno stesso partito. Uno stato di discordia sulle regole e quindi di impotenza a prendere decisioni che non ha precedenti nella storia repubblicana. Sembra che ci sia una resistenza programmata a non voler trovare il bandolo della matassa dal quale ripartire per ricostruire il tessuto politico della nostra democrazia. Questa mancanza di virtù politica decisionale non è ulteriormente tollerabile. La politica deve rompere questo incantesimo negativo e dare ai cittadini uno strumento elettorale che consenta loro di andare a votare con la certezza di poter usare un metodo equo e funzionale.

Certo, la cancellazione del Porcellum da parte della Consulta crea problemi di legittimità decisionale di questo Parlamento come ha messo in luce Gustavo Zagrebelsky nella sua recente intervista a Repubblica. Ma una classe politica che voglia acquistare autorevolezza presso i cittadini lo fa anche dimostrando di essere in grado di uscire dall’impasse con gli strumenti che la Costituzione le dà.
Una buona legge elettorale deve conciliare le tre promesse che il sistema rappresentativo fa: che la maggioranza abbia il diritto di governare; che l’opposizione non si senta ingiustamente trattata; e che i cittadini si percepiscano come parte del gioco, coinvolti nella scelta dei candidati cosicché il loro suffragio non sia un plebiscito ma una scelta elettorale di chi dovrà far parte dell’organo (il Parlamento) che ha il potere di legiferare.
Tra le virtù di un buon sistema elettorale ce n’è una particolarmente importante: far sentire a chi perde le elezioni di non avere subito ingiustizia e di continuare a fidarsi di chi ha vinto. Neutralizzare le passioni negative. Il sistema elettorale ha tra le altre cose il compito di alimentare quelle emozioni di cui la competizione politica ha bisogno, come la delusione per una sconfitta e la determinazione a rimontare la china. Lo scopo della democrazia elettorale è di minimizzare la diffidenza. L’aritmetica applicata alla politica ha la capacità di sedare la passione del risentimento e di tonificare le energie per la lotta di domani. Tenendo a mente queste condizioni virtuose si dovrebbe riflettere sul sistema elettorale migliore.
Nel presente dibattito il maggioritario sembra godere di più ampio consenso. I suoi sostenitori si suddividono in due gruppi: coloro che vogliono ancora ricorrere al premio di maggioranza (bocciato dalla Consulta nella forma abnorme in cui il Porcellum l’aveva concepito) e coloro che vogliono il doppio turno, conosciuto anche come modello francese. Indubbiamente il primo dei due ha controindicazioni evidenti in quanto lavora contro la ricostruzione della fiducia contenendo un elemento di arbitrarietà (il premio).
L’altro metodo, quello del doppio turno, ha il merito di creare solide maggioranze. Dall’altro canto, però siccome esso riduce il peso dell’opposizione, se non è incastonato in un sistema politico retto su un forte senso di sovranità del corpo nazionale può non essere in grado di cementare la fiducia. Si cita la Francia come modello ma si trascura di dire che la Francia è per tutti i francesi “La France”, il popolo- re-uno-indiviso al quale presidenti e maggioranze eletti si inchinano, prima che al loro partito.
Dove c’è, come in Francia, una sovranità forte e indiscussa le maggioranze sono comunque una parte rispetto alla quale il tutto ha preminenza indiscussa di riferimento e di limite, per chi vince come per chi perde. Questo non pare sia il nostro caso. Certo, noi abbiamo già una forma di maggioritario nel modo di eleggere i sindaci. Ma i sindaci operano nella sfera amministrativa nella quale la debolezza del consiglio comunale che questo sistema comporta non è un serissimo problema. Ma lo sarebbe se applicato a livello nazionale poiché il parlamento fa leggi e non è desiderabile un sistema che rende il collettivo deliberante più debole dell’esecutivo.
Un’ultima osservazione, dovuta, riguarda l’uso dei “modelli”. Noi siamo spesso troppo attratti dal seguire modelli che altri hanno creato sulla propria esperienza. Anche noi dovremmo fare altrettanto. L’Italia è plurale, spesso divisa, con un forte senso della complessità di appartenenza nazionale e quindi ha bisogno di rappresentare il pluralismo e cercare strategie per la cooperazione invece che imporre semplificazioni procustee nel tentativo di dar vita a un bipolarismo perfetto. Si deve poter trovare una mediazione tra garantire la pluralità e formare maggioranze non aleatorie. Un sistema elettorale che sia ragionevolmente rappresentativo della diversità senza consentire che la pluralità diventi frammentazione.

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