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Pierluigi Panza
L'architettura, un'utopia per l'uomo
11 Aprile 2013
Padri e fratelli
Un ricordo dello scomparso Paolo Soleri che evoca molto chiaramente la distinzione, nel caso di Soleri non netta, fra utopia pura e semplice e città ideale.

Corriere della Sera, 11 aprile 2013 (f.b.)

Molti di coloro che l'hanno visitata, decidendo di svoltare la macchina da Phoenix sulla route 17 in direzione Sedona — perché lì c'è la città dell'architetto visionario, la Blade Runner hippy — sono rimasti un po' delusi di quanto fosse indietro la costruzione del luogo utopico di Arcosanti. «Ci manteniamo vendendo campane di ceramica», si giustificavano con i 50 mila visitatori all'anno i tanti studenti - stagisti o stanziali (7 mila in tutto) — che spiegavano cosa stesse nascendo lì, tra i cactus del deserto dell'Arizona. «La ricchezza di questo luogo — spiegavano — consiste non nell'avere di più, ma nell'aver bisogno di meno».

Beata gioventù, beat, spirituale, on the road! L'idea che la frontiera americana fosse anche la frontiera ideale per costruire una nuova «città del Sole» venne all'architetto torinese Paolo Soleri, scomparso novantatreenne il 9 aprile (come il suo maestro Frank Lloyd Wright), alla metà degli anni Sessanta. Di città utopiche l'architettura si è sempre nutrita: Tommaso Moro, Giovanni Botero, Tommaso Campanella… e, poi, i grandi architetti rivoluzionari francesi del Settecento come Boullée, Ledoux, Durand, padri ideali del Movimento Moderno secondo lo storico Emil Kaufmann. Solo che quasi tutte queste gigantesche città ideali sono rimaste sulla carta: disegni o parole. Soleri, invece, era partito dal Parco del Valentino (sede del Politecnico di Torino dove si era laureato nel '46) animato dallo spirito del socialismo utopistico ottocentesco di William Morris e di John Ruskin, per fondarne una. Era partito come i pioneri che avevano fondato l'America per declinare questo utopismo «Art and Craft» ai suoi giorni, facendolo incontrare con la beat generation e un po' di New Age, che aveva in Sedona la sua capitale. È vero: erano i tempi di Bob Dylan, Joan Baez, e Arcosanti, la città ispirata a una nuova disciplina ecologica chiamata «arcologia», poteva nascere persino non lontano dalla downtown di Los Angeles con vista sui vizi dello show-biz di Hollywood.

Arcologia, ovvero un misto di angelico, di romano (l'arco) e di utopistico che aveva in sé le stimmate del non-finito: non poteva concludersi quel luogo, solo rimanere un on the road dell'architettura, città nata in «rovina» e, pertanto, come diceva il filosofo Georg Simmel, essenza stessa dell'architettura in quanto rappresentazione dello sforzo spirituale dell'uomo d'innalzare e della Natura di distruggere.

Soleri, nato a Torino il 21 giugno 1919, iniziò a costruire Arcosanti nel 1970, prototipo di città per 5 mila persone i cui primi abitanti furono lui e sua moglie Colly, trasferitisi in Usa nel '47. Lui era andato a lavorare nello studio di Taliesin di Frank Lloyd Wright, il grande maestro di quell'architettura organica che gli servì come approccio per costruire luoghi che sfruttassero il meno possibile risorse e ambiente. Nel '65 annunciò su «L'Architecture d'Aujourd'hui» l'intenzione di realizzare una grande struttura per la Nuova Cosanti su un terreno a 60 miglia a nord di Phoenix. La fondazione messa su da lui riuscì ad acquistare 60 acri di terreno e a ottenere la concessione per lo sfruttamento di altri 800 acri confinanti. Il luogo scelto fu la parte terminale di una gola che si affaccia sulla valle del fiume Agua Fria. Iniziò un rito, una performance: arrivarono gli studenti peace-love-freedom dell'Arizona e si cominciò a costruire, con mattoni realizzati a mano, archi, case e stazioni di osservazione delle costellazione, quasi sul modello dell'osservatorio astronomico di Jaipur. L'idea urbanistica è quella dell'implosione, cioè dell'accorpamento delle varie finalità in un corpo organico collettivo (vedi anche il progetto per Mesa City del '59). Le aeree liberate dai mega accorpamenti dovevano servire per l'agricoltura o il godimento naturale. «Questo forma un ecosistema», diceva Soleri.

A parte i laboratori urbani di Cosanti e Arcosanti, in Arizona, Soleri progettò nel '96 un Hyper Building, una città-satellite autonoma da costruire in pieno deserto Mojavé composta da un edificio-torre alto un chilometro, che doveva ospitare 100 mila abitanti: un mammuth che ricorda Metropolis di Fritz Lang o lo scenario di Il condominio di James Ballard. Riuscì a costruire un ponte a Scottsdale e una fabbrica di Vietri sul Mare. Ascetico e visionario, non si stancò mai di sognare mentre l'architettura era diventava speculazione, esibizione... Venne premiato tardi: nel 2000 Leone d'oro alla Biennale (che ieri lo ha ricordato) e nel 2006 Cooper Hewitt Award. Nel 2005 il Maxxi gli dedicò una mostra, nel 2003 Jaca Book ha pubblicato un suo Itinerario di architettura. Lascia due figlie, Kristine e Daniela, che svolgono ricerche urbane presso la Cosanti Foundation. Il funerale sarà privato ad Arcosanti e il corpo tumulato a fianco di quello della moglie Colly, morta 31 anni fa. Un public memorial sarà celebrato ad Arcosanti.

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