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Oscar Mancini
Ragionamenti sulla città metropolitana di Venezia
5 Gennaio 2013
Veneto
Qualche considerazione saggia e memore del passato, in un dibattito insensato che si è sviluppato nel Veneto a proposito di Pa-Tre-Ve, un mostro riemerso nelle nebbie della Padania più opaca. Si deformano le istituzioni per nascondere le conseguenze dell'abbandono della pianificazione e agevolare l'ascesa dei nuovi poteri

Il testo che pubblichiamo di seguito è stato scritto in occasione di un interessante dossier costruito dal sito Ecopolis Newsletter, di Legambiente - Padova, e ivi pubblicato in sintesi.


Dopo più di vent’anni d’ improduttivi dibattiti, leggi e delibere, Venezia - con il territorio della sua provincia contestualmente soppressa - si ritrova finalmente “Città Metropolitana” in attuazione della Costituzione. Ma nel modo peggiore. Non come progetto condiviso e partecipato ma come esito residuale di un decreto sulla spending review, ora congelato, che prende di mira l’istituzione Provincia con accorpamenti forzati che non rispettano le identità storiche e culturali, le vocazioni socio economiche dei territori e con norme che cancellano livelli democratici elettivi. Un primo passo, forse, per abolire definitivamente un ente previsto dalla costituzione sull’onda di una campagna contro i costi della politica che finisce per colpire i costi della democrazia. Mai era accaduto nella storia repubblicana che le istituzioni fossero trattate con tanta disinvoltura!

E’ accaduto così che vi siano comuni contermini, strettamente legati a Venezia, che rifiutano di aderire ad una città metropolitana dai poteri indefiniti e comuni capoluogo di altre province, come Padova, che chiedono improvvisamente di aderirvi forse per sfuggire a province indebolite e dai confini disegnati da ragionieri privi di cultura.

C’è chi scappa in una direzione, chi nell’altra, chi non sa che strada prendere come se si trattasse di sfuggire a un pericolo. In questo caos proviamo, dal mio punto di vista, a riprendere il bandolo della matassa. Solo all’ultimo momento Venezia è stata inclusa tra le “città metropolitane” previste dalla legge 142 del 1990. Tra le motivazioni che avevano indotto un gruppo di parlamentari veneziani a sostenerne l’inclusione, prevalevano problemi molto specifici interni al comune di Venezia. Si trattava della mal sopportata convivenza tra la Venezia storica e Mestre in un unico comune e dell’aspirazione della porzione orientale della provincia attuale a costituirsi in Provincia del Veneto Orientale. La previsione della costituzione della “città metropolitana” costituì infatti un argomento forte per sconfiggere le crescenti spinte separatiste che si manifestarono in ripetuti referendum in quanto prefiguravano un comune veneziano articolato in sei municipalità, ma non sufficiente ad impedire la secessione del Cavallino.

Nel 93 l’area metropolitana di Venezia viene delimitata dalla Regione prevedendo l’inclusione di soli quattro comuni contermini (Marcon, Mira, Spinea, Quarto d’Altino) in spregio del “Piano Comprensoriale” che, fin dal 1979 individuava due criteri cardine: l’unitarietà della laguna e il ripristino della continuità laguna-terraferma comprendendo in tale ambito l’area centrale della provincia, più Mogliano Veneto e Codevigo. Questa delimitazione era coerente con l’ ordinamento legislativo varato successivamente.

Nel testo unico sull’ordinamento degli Enti Locali, infatti, si stabilisce che nelle aree indicate e tra queste Venezia, “il comune capoluogo e gli altri comuni ad esso uniti da contiguità territoriale e da rapporti di stretta integrazione in ordine all'attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali, alle relazioni sociali e culturali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato”. Il comune capoluogo per l’appunto, non due o tre comuni capoluogo! Non sembra dunque corrispondere a questo criterio l’idea di assorbire ben tre province nella città metropolitana di Venezia. Stretta integrazione dei servizi essenziali è scritto: vi rientrano certamente i servizi pubblici locali che gestiscono l’acqua, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e l’energia come fanno Venezia e i comuni dell’area vasta con Veritas ma non certo Padova con Hera e neppure Treviso co AIM Vicenza.

La successiva riforma costituzionale rafforza tale previsione. Possiamo accettare che a guidare un riassetto istituzionale siano solo ragioni di risparmio economico? Con la dilatazione territoriale a ben tre province non solo si smarrisce l’identità sociale e culturale (non saprei dare un nome agli abitanti della PaTreVe dice giustamente Eddy Salzano) ma, oltre una certa soglia, s’interrompe il rapporto democratico tra i cittadini e le istituzioni. Undici anni fa, di fronte alla stessa proposta, osservava giustamente Flavio Zanonato: “vorrà pur dire qualcosa l’esistenza di tre amministrazioni comunali, di tre diverse diocesi (almeno quattro N.d.R), di associazioni sindacali ed economiche divise per provincia e se gli stessi quotidiani informano.. con edizioni provinciali distinte..” Cos’è cambiato? Basta un pasticciato e improvvisato decreto taglia province per rispondere a queste obiezioni? Potrà il prossimo governo porvi rimedio? Oppure dobbiamo per forza acconciarci alla logica della riduzione del danno di fronte alla logica autoritaria tipica della tecnocrazia?

Ciò non significa negare la negare la necessità di una specifica pianificazione dell’area centrale del Veneto, quanto mai necessaria. Compito questo che spetterebbe alla Regione d’intesa con i Comuni e le Province. E’ forse l’assenza di una enorme città metropolitana che ha impedito la realizzazione del SFMR e l’auspicato collegamento di Padova, Treviso e Mestre con l’aeroporto Marco Polo? Di considerare l’interporto di Padova come il naturale retroterra del porto senza così prevedere il saccheggio di altre aree lagunari? Di realizzare l’idrovia? Di considerare il territorio della Riviera del Brenta con le sue ville un’area da tutelare?

Quello di cui soffre quest’area e l’intero Veneto è l’assenza di una buona pianificazione urbanistica e di una razionale programmazione economica da parte di una Regione impegnata invece a saccheggiare il territorio per favorire la rendita, a volte se non spesso, d’intesa con i Comuni come nel caso del cosiddetto “bilancere veneto”.

Credo allora che sia necessario distinguere tra il bisogno di programmazione dell’area centro-veneta e il governo della città metropolitana. Nel primo caso si tratta di realizzare “integrazioni funzionali” mentre nel secondo si tratta di costruire “un’istituzione forte” dotata di un Sindaco e di un Consiglio della città metropolitana eletto direttamente dai cittadini se non vogliamo svilire ulteriormente la democrazia. Venezia resta fedele alla propria unicità: una città estremamente complessa, segnata da una crisi profonda al cui interno coesistono realtà disparate, e spesso in conflitto, come il centro lagunare e il declinante polo industriale di Porto Marghera, la città vasta di terraferma, la laguna, le isole, i litorali. Città dalla molte identità, tenuta insieme con gran difficoltà. Città bipolare d’acqua e di terra, arcipelago urbano: ecco, qui sta la specificità di Venezia. Basti questa caratteristica per indicare Venezia come la città che, forse più di altre, ha bisogno di un governo metropolitano. Il Comune di Venezia è, infatti, sovradimensionato per l'esercizio delle funzioni ordinarie e di converso è sottodimensionato per governare le dinamiche economiche. E' troppo grande per rispondere efficacemente alla richiesta dei cittadini di partecipare ad una migliore gestione e fruizione dei servizi alla persona. E' troppo piccolo per risolvere gli angosciosi problemi dei trasporti, della mobilità delle merci e delle persone, per una programmazione razionale delle zone industriali, commerciali e della logistica, per una gestione efficace dei servizi pubblici locali che già oggi sono gestiti a livello di area vasta. E' troppo piccolo per governare in modo unitario il sistema lagunare, disinquinare le sue acque che provengono da un ampio bacino scolante fortemente urbanizzato, per riconvertire Porto Marghera e sviluppare la sua portualità: in sostanza per un uso sostenibile del territorio. Di converso molti Comuni della Riviera e del Miranese hanno spesso la dimensione ottimale per gestire i servizi alla persona ma sono anch'essi troppo piccoli per governare un nuovo modello di sviluppo. Per queste ragioni va ripensato anche l'assetto del capoluogo potenziando le municipalità per giungere in un secondo tempo - quando la città metropolitana sarà a tutti gli effetti costituita come istituzione forte perché dotata di poteri e democratica perché eletta a suffragio universale- ad elevare le stesse a veri e propri Comuni metropolitani. In tal modo si rassicurerebbero anche i Comuni minori che temono di essere fagocitati dal Comune capoluogo. Gli stessi potrebbero fin d’ora costituire “unioni comunali” aderendo così all’idea di realizzare la “Città Metropolitana” in modo flessibile, cioè a “ordinamento differenziato” che favorirebbe un percorso processuale. Niente di nuovo se non fosse che dopo il “piccolo è bello” ora va di moda il “grande è bello” che però mal si concilia con l’esigenza di avvicinare i cittadini ai luoghi della decisione politica.

Proviamo a ragionare. Da oltre trent'anni è in corso nell'area veneziana un massiccio processo di redistribuzione della popolazione dal capoluogo ai comuni limitrofi. Se, da una parte, Venezia perde popolazione, resta comunque la sede delle principali strutture di servizio, oltre che il luogo in cui si localizza una parte rilevante dei posti di lavoro. Aeroporto, porto, centri decisionali istituzionali e amministrativi, le università e le altre istituzioni culturali fanno della città lagunare un luogo in cui si concentrano servizi rari al servizio di una più ampia area metropolitana. Allo stesso tempo molti comuni minori, sempre più connessi all'economia regionale, aumentano la popolazione e le attività manifatturiere ricorrendo ad un sempre più ampio bacino del mercato del lavoro. Questo processo va governato con un'istituzione forte onde evitare il rischio che l'urbanizzazione generata dalla logica della rendita e dall'impresa postfordista, determini un ambiente urbano a marmellata sempre più privo di forma e memoria dei luoghi . Per invertire le tendenze in atto alla sprawl urbano occorre progettare la metropoli policentrica, cioè con una qualità urbana diffusa, vivibile e bella in ogni sua parte.

Da qui nasce l'esigenza di un governo unitario dell'area metropolitana di Venezia. L'attuale Provincia va quindi sostituita da una Città metropolitana che riassuma in sé funzioni e caratteri oggi variamente distribuiti tra Regione, Provincia, Comune capoluogo, altre amministrazioni. Non, dunque, una Provincia ritoccata, ma un soggetto davvero nuovo. Il suo ambito, a mio parere, deve comprendere i territori del "sistema lagunare" - sotto il profilo geomorfologico – e quelli del "sistema giornaliero", sotto il profilo dell'integrazione socioeconomica. Sbaglieremmo a considerarla riduttiva, una sorta di ripiegamento rispetto alla Patreve, la grande "città centro-veneta", un'area che richiede una specifica pianificazione ed un esercizio coordinato di funzioni, a partire dal trasporto pubblico, obiettivi che possono essere però conseguiti con altri strumenti. D'altra parte l'importanza di una città non è data solamente dal numero dei suoi abitanti. Zurigo, ha 350 mila abitanti, 100 mila persone vivono a Oxford e Cambridge. I punti di eccellenza europei sono rappresentati da città come Strasburgo, Lione, Lille e Francoforte che non superano il milione di abitanti. Secondo tutti gli indicatori internazionali le città sono realmente "grandi" per la maggiore importanza del loro ruolo, per la varietà e complementarietà delle loro funzioni, per l'ampiezza della loro influenza sul territorio. Venezia ha tutte le potenzialità per essere una "grande" città metropolitana.

Perché appassionarsi a questo tema? Il territorio - spiega Focault - prima ancora di essere una nozione geografica, è una nozione giuridico politica e precisamente quel che è controllato da un certo tipo di potere; e se i poteri pubblici sono deboli e frammentati, il territorio è soggetto alle sole regole del mercato e dei poteri forti. Non è quello che noi auspichiamo.

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