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Gianni Biondillo
Se la ricerca della felicità impugna una pistola
16 Dicembre 2012
Articoli del 2012
Lo diceva già Sergio Leone: quando chi ha un’arma più piccola (o nessuna) ne incontra uno che ce l’ha più grossa, è morto. Non capirlo è solo malafede.

L’Unità, 16 dicembre 2012 (f.b.)

Seguo il telegiornale con gli occhi sbarrati. Mia figlia Sara, otto anni, mi chiede cosa sia successo. Le parlo, con tutti il tatto possibile, di una scuola in America, di bambini più piccoli di lei uccisi da un ragazzo di vent’anni. «Non ho capito - mi ripete - Cos’è successo?» Ed è giusto che non capisca, perché questa strage non significa nulla, non ha senso, è un paesaggio assurdo che sovverte le leggi del quotidiano. È qualcosa che mina la ragionevolezza, che frustra la mia capacità di spiegarle il mondo, di renderglielo domestico, assennato, socievole.

Dovrei parlarle dell’ossessione tutta statunitense per la ricerca della felicità, vero e proprio diritto costituzionale. Costi quel che costi. E del suo naturale corollario, quello all’autodifesa, al diritto (il più inviolabile di quelli della carta costituzionale) a girare armato. Cercare la felicità restando vivi, difendendosi. Ma anche cercare la felicità a costo della vita degli altri. Già nelle ore successive alla strage la soluzione della lobby delle armi era chiara: la colpa è di una legislazione che proibisce agli insegnanti di essere armati. Ci vogliono più armi, non meno armi. Per difendersi. Per essere felici. Psicologi d’accatto, che tempesteranno gli show televisivi nei mesi a venire - in America come qui da noi - già giustificano l’assurdo: il killer era autistico, malato, psicopatico.

Certamente il rapporto con la madre era irrisolto. E poi, diciamocelo, che ci faceva la madre con quelle armi in casa? Cercare un senso a questa strage, con malcelate giustificazioni misogine che nauseano, è parte della cortina di fumo che nasconde l’evidenza: di ragazzi fragili, di psicopatici, di repressi o di chi diavolo volete voi, ne è pieno il mondo. Ma fingere di dimenticare che la psicologia di un uomo armato di un coltello è assai differente da quella di un uomo armato di un fucile mitragliatore è connivenza. Gli oggetti non sono innocenti, un’arma meno che mai. Se c’è una pistola, prima o poi sparerà. È stata creata per quello, non ha altre funzioni. Quei bambini morti stanno sulla coscienza di una nazione che non vuole superare il suo mito fondativo, che non vuole riconoscere quanto sia necessario perdere qualche diritto individuale per difendere quello collettivo.

Fa specie che queste stragi - esaltazioni della individualità - vengano perpetrate proprio in luoghi che celebrano la collettività: scuole, asili, centri commerciali, cinema. Queste vittime, questi inespressi postini, barbieri, operai, parrucchieri, premi nobel, sportivi, questi talenti che non conosceranno mai la felicità, sono un tributo all’egoismo e, peggio, la più cinica campagna pubblicitaria per l’acquisto di nuove armi. Per difendersi, ovviamente. Per essere felici, nel nome della paura. Da noi questo non succederà mai, mi viene detto. Se non è ancora accaduto, però, è perché esiste un sistema sanitario nazionale che cerca di aiutare i ragazzi fragili, quello che molti vorrebbero smantellare.

Se non è accaduto ancora è perché Cesare Beccaria ci ha spiegato l’insensatezza della pena di morte, quella che molti vorrebbero ripristinare. Se ancora non accade è perché resiste ancora una cultura della solidarietà che è sempre più compressa sotto i colpi di un individualismo egoista e becero. E su tutto, inutile girarci attorno, perché resiste una legislazione che difende prima di tutto la collettività dal singolo. Ma, sia ben chiaro, i nostri figli sappiamo ucciderli lo stesso. Tagliando gli investimenti sulla manutenzione ordinaria delle nostre scuole elementari o costruendo licei e studentati universitari irrispettosi delle norme antisismiche. Poi, al primo terremoto, alla prima strage di innocenti, possiamo sempre prendercela col destino. Felici di non essere americani.

Nota: per chi magari se lo fosse chiesto leggendo l'anomalo occhiello che ho scelto, trattasi di parafrasi della celebre battuta, pronunciata mi pare da Lee Van Cleef ne Il Buono, il Brutto, il Cattivo, e che in originale suona: "when a man with a gun meets a man with a winchester, the man with the gun is a dead man walking". Qualunque considerazione è liberamente lasciata al lettore (f.b.)

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