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Paolo Berdini
Fermare la colata di cemento, un impegno per i candidati a Roma
1 Dicembre 2012
Roma
«La causa principale del debito romano sta piuttosto nel dissennato modello di crescita che ha causato una espansione urbana incontrollata

«La causa principale del debito romano sta piuttosto nel dissennato modello di crescita che ha causato una espansione urbana incontrollata». Il manifesto, 1 dicembre 2012

Ha fatto rumore la notizia del rischio del fallimento della regione Sicilia a causa di un debito consolidato di 17 miliardi. L'isola ho poco più di 5 milioni di abitanti: ogni siciliano - neonati compresi - ha un debito di 3.400 euro ciascuno. Roma, per esplicita ammissione del sindaco Alemanno, ha 11 miliardi di debito consolidato. A questa cifra spaventosa va aggiunto il debito di alcune municipalizzate (Atac e Ama in primis dove sono stati assunti senza concorso un numero imprecisato di amici e camerati della prima ora) e quello dovuto agli espropri per opere pubbliche non perfezionati: si arriva a 15 miliardi. La popolazione di Roma è di circa 2 milioni e 600 mila abitanti: ogni romano - neonati compresi - ha un debito di 5.800 euro ciascuno. Se la Sicilia rischia di fallire, la capitale non ha neppure il beneficio del dubbio: è alla bancarotta.

Il debito della regione Sicilia è frutto della irresponsabile politica clientelare di rigonfiamento degli organici nelle istituzioni pubbliche e della spesa per opere spesso inutili e controllate dalle organizzazioni criminali. La cura per il rientro dal debito è chiara, anche se non immediata: dimagrire l'elefantiaca pubblica amministrazione. Il presidente Lombardo, formalmente dimissionario, aveva invece continuato ancora in questi ultimi giorni ad assunzioni a spese della collettività.
Il debito della capitale è solo in parte riconducibile al rigonfiamento della pubblica amministrazione, che pure esiste, come dicevamo. La causa principale del debito romano sta piuttosto nel dissennato modello di crescita che ha causato una espansione urbana incontrollata: periferie che generano altre periferie sempre più lontane e costringono l'amministrazione comunale ad indebitarsi per portare servizi, trasporti, strade e per la quotidiana gestione.
La cura per il rientro del debito è dunque chiara anche in questo caso: bloccare qualsiasi ulteriore espansione urbana e razionalizzare la città esistente. Il sindaco Alemanno sta invece cercando in questi giorni di far approvare dal Consiglio comunale una ulteriore gigantesca crescita urbana: nuovi quartieri residenziali per un totale di 66 mila alloggi; venti milioni di metri cubi di cemento che cancelleranno per sempre oltre 2 mila ettari di territorio agricolo.
Nuove aree edificabili, dunque, in deroga alle già irresponsabili dimensioni delle espansioni previste dal piano regolatore approvato dalla precedente giunta Veltroni (prevedeva 400 mila nuovi abitanti in una città che non cresce da venti anni). Il pretesto è quello dell'emergenza abitativa: mancano le case per le famiglie più povere e la generosa rendita fondiaria risolverà il problema dei senza tetto a patto di regalargli una plusvalenza di centinaia di milioni di euro. Poi, inevitabilmente, il comune che ha già 15 miliardi di debito dovrà accollarsi le spese per i servizi. E' evidente che l'approvazione del pacchetto urbanistico di Alemanno sarebbe il colpo finale la città. Il presidente del consiglio ha intimato al governatore Lombardo di dimettersi poiché sta attuando politiche che aggravano ulteriormente il debito siciliano: perché non usa lo stesso metro con il sindaco di Roma così da impedirgli di portare alla definitiva bancarotta la capitale?

In attesa di una convincente risposta resta da formulare una proposta. Alemanno è costretto a portare fino in fondo lo scellerato progetto: tra pochi mesi inizia la campagna elettorale amministrativa e dopo l'evidente fallimento della sua amministrazione non può permettersi di scontentare i suoi migliori alleati, i costruttori e gli immobiliaristi romani. L'opposizione - fatta eccezione per Andrea Alzetta e Gemma Azuni - non batte un colpo, prigioniera della mancata riflessione critica sull'approvazione del piano regolatore 2008 che ha provocato il nuovo sacco edilizio.

Non resta allora che venga sottoscritto da chiunque si candiderà alle prossime elezioni un solenne impegno: revocare la delibera che verrà approvata nei prossimi giorni. La città ha bisogno di segnali di discontinuità: non si può continuare a fondare il futuro di Roma sull'espansione urbana mentre ci sono almeno 100 mila alloggi nuovi invenduti che da soli risolverebbero la questione. C'è bisogno di un chiaro ed inequivocabile cambio di rotta e di una nuova idea di città: il modello fin qui dominante ha portato al fallimento economico

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