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Daniela Preziosi
Arancioni, parte la campagna
6 Novembre 2012
Articoli del 2012
Magari tentare si deve, ma tra i "nuovi" c'è qualche "vecchio" che sarebbe meglio lasciar fuori

. il manifesto, 6 novembre 2012. In calce un'intervista a Giraudo

Un'operazione «complicata ma necessaria, che deve essere messa in campo subito», prima che l'elettore progressivo, sfinito o imbufalito, si rassegni a scegliere tra «Monti e Monti, cioè tra i tecnocratici puri e i partiti che vorrebbero sostituire i tecnici senza segnare una netta discontinuità con la loro agenda, come propone la carta d'intenti della coalizione Pd-Sel-Psi; o votare il Movimento 5 stelle; o ritirarsi nell'astensione».

Di liste arancioni si parla da mesi. Ma, stavolta - giurano gli organizzatori - si parte sul serio. Ieri è stato presentato l'appello «Cambiare si può! Noi ci stiamo», promotori e primi firmatari i sociologi Luciano Gallino e Marco Revelli, e l'ex magistrato Livio Pepino (ora a capo delle Edizioni Abele di don Ciotti). Seguiti da una distesa di nomi dell'associazionismo (come don Marcello Cozzi, vicepresidente di Libera), intellettuali e giuristi (Paul Ginsborg, Tonino Perna, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei), amministratori (anche della Val Susa), artisti e scrittori (Moni Ovadia, Massimo Carlotto, Sabina Guzzanti, Gianmaria Testa), delegati sindacali (come Antonio Di Luca, uno dei lavoratori di Pomigliano discriminati da Marchionne), giornalisti (Oliviero Beha, Gabriele Polo), e don Gallo, Haidi Giuliani, Riccardo Petrella, Guido Viale.

Stavolta, giurano, non è solo di un appello: è una concretissima «campagna» che porterà, un passo alla volta ma ormai di corsa, ad un'iniziativa il primo dicembre, dopo le primarie ma - non a caso - prima del ballottaggio: come per dire che ci sarà una «presenza arancione» nel 2013 chiunque vinca ai gazebo, qualunque legge elettorale venga apparecchiata. Che pure non è variabile irrilevante ai fini dell'organizzazione e quindi del rapporto - lista o coalizione - con i partiti come Prc e Idv. Intanto «i fatti richiedono un'iniziativa politica nuova e intransigente», dice l'appello (lo pubblichiamo per esteso a pag.14), «per non restare muti» e «rompere con la logica paralizzante delle compatibilità», «non la raccolta dei cocci di esperienze fallite, dei vecchi ceti politici, delle sigle di partito, della protesta populista» e che porti «alla costituzione di un polo alternativo agli attuali schieramenti, con uno sbocco immediato anche a livello elettorale» che convochi le migliaia di persone mobilitate «dalla pace ai referendum, movimenti, associazioni, singoli, amministratori di piccole e grandi città, lavoratrici e lavoratori, precari, disoccupati, studenti, insegnanti, intellettuali, pensionati, migranti in un progetto di rinnovamento». Parte delle firme provengono da Alba (alleanza lavoro benicomuni ambiente), ma stavolta «siamo ancora più ambiziosi», spiega Pepino: c'è un mondo che si sgretola e noi vogliamo far partire una palla di neve». Per far partire la valanga, sottinteso. Arriveranno nuove «pesanti» adesioni. Si guarda naturalmente anche a De Magistris, che intanto ieri ha battuto non uno ma molti colpi, intervistato un po' ovunque. Ha annunciato per dicembre il lancio di un «movimento arancione» che a tutta l'aria di convergere con l'appello dei 70 - sull'Huffington Post ha ipotizzato il nome «Partigiani» - per «mettere insieme quello che i partiti contro il sistema e quello che coloro che stanno fuori dai partiti hanno fatto di buono in questi anni». Forse ci sarà anche Di Pietro, a cui ha espresso solidarietà umana. E se ci fossero anche Landini e Ingroia «sarebbe da stappare una bottiglia di champagne». d.d.

«Ma per farcela servono i numeri»

INTERVISTA A GIORGIO AIRAUDO, FIOM
«Io in lista? Non farò mai una scelta personale. Primarie? Si parla poco di lavoro, ma forse voterò. Anche lì si fa battaglia, voteranno molti lavoratori». Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom, è la tuta blu più corteggiata dai partiti e dai movimenti della sinistra. m«Nell'appello dei 70 c'è un'analisi che condivido. Dovessi dettagliarla io direi che si stanno determinando tre grandi comportamenti: da una parte la ritirata dalla partecipazione, l'astensione o il rifiuto del voto; dall'altra, fra chi va alle urne, un voto su una proposta che raccoglie una protesta, quella delle 5 stelle, non liquidabile come populismo, e il tentativo, attraverso le primarie, di riattivare un percorso di partecipazione più tradizionale».
Ma lei non crede che ci sia bisogno di una proposta elettorale fra Grillo e il centrosinistra?
Condivido tutte le domande di quel documento, ed è un bene che ci sia chi continua a porle. Ma si continua a sfuggire dalla capacità di realizzare un rapporto di forza capace di essere credibile nel cambiamento.
È un problema di concretezza?
Il movimento 5 stelle in questa fase dilaga anche perché i numeri rendono possibile quell'idea. Tant'è che ancora in questi giorni tutti si esercitano sull' improbabile alleanza fra loro e noi. Veniamo tirati per la giacca da una parte e dall'altra: perché siamo parte di quelli che hanno provato a produrre movimento in una fase difficile. Chi ci vuole dentro il campo delle primarie, chi ci vuole radicali fino a improbabili rapporti con Grillo. Inutile, non siamo un partito politico.
La tiro anch'io per la tuta. Quest'area dei 70 guarda anche a voi. Che farete?
La Fiom non può essere soggetto di nessuna iniziativa politica. Altra cosa sarebbe stata mettere dagli scorsi mesi il lavoro al centro del discorso politico, con qualcuno dei suoi protagonisti, e costruire un'alleanza. Ma questo non c'è stato. Abbiamo perso l'occasione di avere un Lula italiano. Certo comportava dei rischi. Ci accusano di fare politica, ed è il contrario: siamo noi ad aver bisogno che la politica faccia delle scelte, per esempio quella di non lasciare soli i lavoratori.
Landini, che poteva essere il 'Lula italiano' ha scelto diversamente. E attualmente non vede da nessuna parte uno schieramento costruito intorno al lavoro?
No, c'è un lungo cammino. Anche perché siamo in una fase storica in cui è possibile sostenere che se si reintegra per discriminazione 19 lavoratori se ne possono licenziare altri 19. C'è indignazione, ma non produce cambiamento. Negli ultimi due anni è stato spiegato che i lavoratori potevano difendersi il lavoro solo se rinunciavano ai diritti.
Anche Bonanni, della Cisl, chiede il ritiro di quei licenziamenti.
C'è un limite, una linea della morte, i licenziamenti per rappresaglia. Se un sindacalista lo supera non è più un sindacalista. Non sono stupito che abbia chiesto il ritiro, ma che si sia fatto portare su questa linea.
Diceva che non c'è un'ipotesi politica costruita intorno al lavoro.
Un'ipotesi che avrei caldeggiato, e che indirettamente gli uomini e le donne della Fiom potevano proporre.
In Sicilia c'era una candidata Fiom. Non è andata bene.
L'ex segretaria regionale Fiom ha generosamente supplito a un errore clamoroso di gestione di una candidatura. E non si può governare una regione, e neanche una pro loco, se non si è in grado di presentare una candidatura. Giovanna Marano va solo e sempre ringraziata: ha ha riparato un guaio, con generosità, tappato un buco.
L'appello dei 70 si rivolge a un campo di sinistra in trasformazione. L'Idv poteva essere una parte di un'area arancione, o di una Syriza all'italiana, ma ora naviga in cattive acque. Lei è stato tentato dall'Idv?
Andiamo con ordine. Quando si fa l'esempio della greca Syriza bisogna sapere che è solo una suggestione: è tutt'altro che un movimento spontaneo. Qua in Italia criticheremmo la loro forma partito pesante, e da noi il parallelo non esiste. Quanto all'Idv, la nostra storia, quella dei metalmeccanici, è una storia collettiva, non individuale. Nessuno di noi da solo può risolvere il tema della rappresentanza politica del lavoro. E chiunque pensasse di farlo mettendo il «barboncino» della Fiom in salotto, se lo scordi. Rappresentare il lavoro richiede coerenza, reinsediamento sociale e rappresentatività diretta dei soggetti, ovvero più lavoratori e meno sindacalisti in politica. La storia di uno è sempre possibile, ma non è la nostra storia. La nostra è una storia collettiva: a me, Giorgio Aiuraudo, interesserebbe solo così. E faccio fatica anche a immaginare che la Fiom sia da una parte sola. Abbiamo militanti e delelgati iscritti al Pd, alla Federazione, alle 5 stelle, a Sel.
De Magistris propone liste arancioni con 'magistrati, operai e studenti'. Interessa?
È un quarto stato curioso. Pellizza da Volpedo i magistrati non li avrebbe mai messi.
Forse perché all'epoca non c'era Ingroia.
De Magistris è un sindaco di una città importantissima, che ha cercato di non lasciare soli i lavratori. E' giusto che chi è nel campo della politica proponga forme di coalizione. Ma resta a il tema della possibilità di incidere.
Per finire il giro, lei è stato da poco a Mirafiori con Vendola. Un avvicinamento?
Noi metalmeccanici abbiamo una pratica solidale e la manteniamo nei rapporti politici. Sentiamo un debito con tutti quelli che non ci hanno lasciati soli davanti ai cancelli di Pomigliano, Melfi e Mirafiori. Noi non dimentichiamo: Vendola, Di Pietro, Ferrero, c'erano. Per quanto le primarie mi sembrino simili a un congresso del Pd, possono essere utilizzate per cambiare l'agenda sui temi del lavoro. Vanno utilizzate, con laicità . Riguarderanno qualche milione di cittadini, tra cui tanti lavoratori. E so già che a Renzi andava bene Marchionne 'senza se e senza ma'.
La questione operaia è dentro le primarie?

Per ora non molto. La proposta di Vendola di riaccompagnare i lavoratori reintegrati a Pomigliano, è caduta nel vuoto, tranne il sì di Puppato. Se le primarie non si misurano sul lavoro non c'è nessuna possibilità di cambiare né l'agenda di Monti né quella europea.

Voterà alle primarie?

Penso di sì.
Se Vendola le chiedesse di stare nella sua lista?

Non mi piacciono le ipocrisie: un'ipotesi così ad oggi non c'è. Quel che è certo è che ne discuterei con i miei compagni della Fiom.
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