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Fabrizio Bottini
L’agricoltura sostenibile è a portata di mano
1 Maggio 2012
Clima e risorse
Il periodico scientifico Nature pubblica uno studio dove si calcola come già oggi le varie pratiche biologiche abbiano una resa paragonabile a quelle convenzionali

Onestamente, la cosa che lascia più perplessi davanti a certi studi scientifici è la reazione della stampa cosiddetta di informazione. In questo caso, una analisi comparata su un periodico dalla serietà indiscutibile propone un confronto tra quanto producono le pratiche agricole correnti e quelle biologiche, e qualcuno come il Daily Emerald non trova di meglio che titolare su presunte “difficoltà dell’agricoltura urbana”. Mentre nella ricerca a cui ci si riferisce la parola “urbano” si può leggere solo nelle note finali, nel titolo di un saggio in bibliografia che evoca un generico “urban myth”, ovvero una leggenda metropolitana.

Piccola perplessità a parte, è invece gradevole scoprire certe belle notizie dentro a “Comparing the yields of organic and conventional agricolture” (Nature, aprile 2012) di Verena Seufert, Navin Ramankutty e Jonathan A. Foley. Ad esempio che la comunità scientifica dà per scontato come “le rese sono solo una parte di quanto produce complessivamente il sistema agricolo in termini ecologici, sociali, economici”, e soprattutto che, dati sperimentali e studi internazionali alla mano, la differenza di produttività tra le cosiddette tecniche tradizionali a base di petrolio (fertilizzanti, trasporti ecc.) e quelle biologiche più sostenibili sono tutto sommato contenute, oggi al massimo e solo per certi prodotti attorno al 20%.

Ovvero basterebbe davvero fare una ragionevole comparazione costi/benefici per porsi seriamente una domanda: col picco petrolifero incombente, col fenomeno ormai riconosciuto e devastante del land grabbing globale, con le possibilità universalmente riconosciute delle tecniche urbane e di prossimità, ha ancora senso sostenere le pratiche in gran voga fra multinazionali e grandi investitori? Anche l’Expo milanese del 2015 sarà auspicabilmente un nodo centrale di dibattito e sperimentazione pratica su questi temi. Per ora si può più modestamente leggere la confortante (per chi la legge senza le classicissime fette di salame) serie di osservazioni e grafici proposta dagli studiosi della McGill University/University of Minnesota, scaricabile qui di seguito.

Di particolare interesse il metodo cosiddetto della "meta-analisi" particolarmente diffuso quando come in questo caso si vuole formulare un giudizio che abbia valore globale, ovvero leggere sistematicamente la letteratura scientifica (e le verifiche sperimentali) che ha già esaminato la questione. Da un lato senza discutere necessariamente serietà e fondamento degli studi già disponibili, dall'altro per uniformarne indiscutibilmente i criteri al proprio obiettivo di analisi e giudizio. Che letto in senso letterale suona: l'agricoltura praticata coi sistemi attualmente più diffusi rende un po' di più per unità di superficie di quella biologica. Quanto, come, perché, si possono invece riassumere in quell'iniziale “le rese sono solo una parte di quanto produce complessivamente il sistema agricolo in termini ecologici, sociali, economici”. Ovvero, ci tocca scegliere un equilibrio fra le varie componenti.

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