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Maurizio Landini
«Ripartiamo dalla democrazia»
23 Dicembre 2011
Articoli del 2011
Loris Campetti intervista ll Segretario Fiom; un’argomentata critica il governo e l’invito alla Cgil per una battaglia comune. Il manifesto, 23 dicembre 2011

Misure ingiuste. Serve un progetto per l'occupazione con una nuova idea di sviluppo per Fiat e Fincantieri, «ci batteremo contro gli accordi separati». L'11 febbraio tutti a Roma

Un giovedì nero, «non per la Fiom ma per la democrazia italiana». Ieri è capitato di tutto, a partire dall'approvazione di una manovra che «aumenta le diseguaglianza e non fa nulla per l'occupazione e per un nuovo modello di sviluppo». Contemporaneamente Fim e Uilm, organizzazioni minoritarie nei cantieri navali, firmavano un accordo con Fincantieri che «accetta lo stesso piano di esuberi che a giugno l'azienda era stata costretta a ritirare grazie alle lotte dei lavoratori». Dulcis in fundo, gli stessi sindacati «complici» firmavano un nuovo accordo separato che estende il modello Pomigliano - massimo sfruttamento e diritti al minimo - a tutte le aziende del settore auto: «Ti rendi conto che stiamo parlando di centinaia di migliaia di lavoratori?». Ecco Maurizio Landini, battagliero segretario della Fiom impegnato su tanti fronti, non escluso quello interno con la Cgil. Con lui tentiamo un'analisi delle ultime performances del governo e della Confindustria.



Partiamo dall'accordo firmato da Fim e Uilm con Fincantieri.


Semplice, Fim e Uilm hanno accettato quel che i lavoratori hanno rifiutato e contro cui si sono battuti. Hanno accettato la logica delle chiusure di cantieri e degli esuberi senza alcun mandato, e pretendono di imporne le conseguenze a tutti i dipendenti.



E il governo Monti? Fincantieri è un'azienda pubblica.


Il ministero dell'industria non chiede alla sua azienda un piano e addirittura consente che venga firmato un accordo separato senza il sindacato più rappresentativo. Ma come pensano di uscire dalla crisi? Quale modello di sviluppo compatibile, di occupazione, di mobilità hanno in testa, se lasciano deperire la produzione di navi, di treni, di autobus, di automobili? 



Pomigliano è un caso unico, irripetibile dicevano i vostri critici di maggioranza e opposizione, Cisl, Uil, persino la Cgil. Poi è arrivata Mirafiori seguita dalla Bertone e infine tutti gli stabilimenti Fiat, 86 mila dipendenti a cui è stato cancellato il contratto nazionale e i diritti conquistati nel secolo scorso. Ora Fim, Uilm e Federmeccanica hanno siglato l'ennesimo accordo separato per l'intero settore auto.

Così, rapidamente, si cancella il contratto nazionale per tutti. La Costituzione è espulsa dalla fabbrica con l'esproprio del diritto di voto e di elezione dei rappresentanti. Prima che un'ingiustizia contro la Fiom è la messa in mora della democrazia dei lavoratori. E se la democrazia esce dal lavoro esce dalla società. Capisci perché insistiamo sulla necessità di ridefinire le regole sulla rappresentanza? Prima la politica prende atto di questo vulnus e meglio è. Chiediamo la certificazione della rappresentanza sindacale attraverso il voto di tutti i dipendenti, in ogni posto di lavoro. Dev'essere chiaro chi rappresenta chi, e insieme, ogni accordo dev'essere sottoposto al giudizio degli interessati e approvato, per essere valido. Abbiamo iniziato la raccolta di firme per un referendum abrogativo dell'estensione del contratto Pomigliano a tutta la Fiat. Alla Ferrari e poi alla Cnh di Jesi persino le Rsu l'anno bocciato. Se passa questo accordo separato e se non ci si libera dell'articolo 8 della manovra berlusconiana arriveremo a una balcanizzazione delle relazioni sindacali. La Fiom ha indetto quattro ore di sciopero a gennaio e una grande manifestazione nazionale a Roma l'11 febbraio, non assisteremo passivamente a questo scempio della democrazia.



Intanto Federmeccanica dice ai suoi affiliati che la Fiom non esiste perché non ha firmato il contratto separato del 2009 che cancella quello unitario di un anno prima.


Mi dispiace per loro, ma la Fiom ha 363 mila iscritti, è il sindacato più forte anche tra le Rsu e nel voto dei lavoratori. Gli imprenditori dovranno fare i conti con noi.



La manovra è stata varata ed è diventata legge. Il tuo giudizio?


Invece di ridurre le diseguaglianze le ha accentuate e l'attacco alle pensioni cancella un elemento di solidarietà generale. Neanche per chi ha fatto lavori faticosi fin da ragazzo c'è un minimo di rispetto. Non c'è patrimoniale né lotta a evasione e corruzione, non ci sono investimenti finalizzati a un nuovo modello sviluppo che rispetti i diritti di chi lavora e dell'ambiente. Devo continuare, sui privilegi, sulle spese per gli armamenti? Aggiungo che un paese democratico dovrebbe potersi scegliere il governo esercitando il diritto di voto.



Sull'ennesimo attacco all'art. 18 la ministra Fornero e il governo sono stati costretti a un passo indietro.


Fornero dice di essere stata fraintesa. Bene, non se ne parli più. Il problema non è togliere le sanzioni esistenti ma costruire un sistema universale dei diritti sul lavoro e al tempo stesso ridurre a 4 o 5 le forme atipiche. In testa bisogna avere il binomio occupazione-diritti. A parità di prestazione si devono avere pari retribuzioni e diritti. Il lavoro precario deve costare di più e ancora, va introdotto un reddito di cittadinanza per chi il lavoro non ce l'ha o ce l'ha precario e intermittente. Serve una semplificazione: si deve andare a un contratto unico di tutta l'industria.



La critica comune alla manovra, la difesa dell'art. 18, il giudizio sugli accordi separati, possono avviare una stagione nuova nei rapporti, oggi difficili, tra Fiom e Cgil?


È evididente che siamo entrati in una nuova fase, ed è ormai palese che neanche l'accordo sottoscritto dalla Cgil il 28 giugno ferma la pratica degli accordi separati. Si può ripartire insieme dalla democrazia, dalla certificazione della rappresentanza che presuppone, e mi rivolgo anche alla politica e al governo, un intervento sull'art. 19. Dal diritto di voto dei lavoratori. E da una battaglia per un nuovo modello di sviluppo dove non ci sia più posto per le troppe ingiustizie che affliggono questo paese. A partire dalla vergogna per il trattamento riservato a 4-5 milioni di precari.

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