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Maria Cristina Fabrizio; Gibelli Bottini
Ghe Pensi Mì: sviluppo in salsa lombarda
19 Ottobre 2011
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Una breve rassegna della più recente produzione legislativa lombarda, e della cultura che la sottende, con qualche riscontro empirico

Premessa (*)

La Lombardia, a quanto pare nel bene e nel male avanguardia per altre regioni italiane, ha sviluppato recentemente un processo di riforma – culturale, legislativa, di pratiche – legato a doppio filo alle aspettative dell’operatore privato, che in sostanza ha messo ai margini o comunque subordinato l’interesse collettivo. Tema naturalmente già affrontato da molti punti di vista, che le note seguenti vogliono però in qualche modo riassumere e sistematizzare brevemente.

I pilastri del modello sono:

- la possibilità per l’iniziativa privata di prefigurare anche strategicamente l’organizzazione del territorio;

- la delega della difesa degli interessi collettivi alla negoziazione fra pubblico e privato;

- sfiducia per la pianificazione in quanto tale e auspicio di un ritorno al puro mercato.

Le tappe della riforma

Mentre altre Regioni iniziano a lavorare sulle leggi urbanistiche di seconda generazione, la Lombardia procrastina la riforma, procedendo invece a deregolamentazioni parziali successive; parole d’ordine: semplificare, velocizzare, flessibilizzare. Drastica semplificazione concettuale, confusamente mescolata a vaghi obiettivi di sostenibilità, contenimento del consumo di suolo, solidarietà, sussidiarietà, partecipazione. Gli scopi reali sembrano però lontanissimi da quelli delle pratiche internazionali, che apparentemente evocano.

Tra queste tappe progressive di avvicinamento:

-L. R. n. 15/1996, Recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti, che compromette molti skyline urbani ed equilibri urbanistici senza alcuna vera contropartita collettiva;

- L. R. n. 23/1997, Nuove norme regionali per lo snellimento e la sburocratizzazione dei piani urbanistici e dei regolamenti edilizi, che introduce le varianti semplificate ad approvazione comunale;

- L.R. n. 9/1999, Disciplina dei Programmi Integrati di Intervento, che semplifica l’accoglimento dei progetti di trasformazione proposti dal privato. Introduce il Documento di Inquadramento dei piani che espropria di fatto il piano regolatore dei suoi compiti, ed è continuamente e radicalmente modificabile a seconda di quanto il “mercato” dovesse proporre;

-L.R. 1/2001 che agevola cambi di destinazioni d’uso, liberalizza gli interventi in aree agricole, scardina le norme dei centri storici e riduce gli standard.

Frutti maturi

Alla fine del percorso, il testo della legge generale accoglie tutte le deroghe precedenti, a partire da quella fondante dei Programmi Integrati. Al PRG subentra il Piano di Governo del Territorio articolato in tre atti, Documento di Piano, Piano dei Servizi, Piano delle Regole, a durata differenziata e comunque sempre modificabili. La loro elaborazione promette di ampliare il mercato delle consulenze, rendendo però assai gravoso il compito dei Comuni.

Parallelo e sostanzialmente sganciato il percorso degli strumenti attuativi, attraverso la programmazione negoziata e la valutazione caso per caso. Significativamente: ai Consigli l’approvazione degli strumenti generali, alle Giunte gli attuativi (ma con la LR 12/2006 questa competenza è stata opportunamente restituita ai Consigli, riconoscendone il ruolo di indirizzo).

La DIA è equiparata al permesso di costruire, eridimensionato il ruolo della Provincia e della pianificazione di coordinamento cui vengono conferite modestissime competenze prescrittive (nella regione dove si localizza l’area più metropolitana del paese).

Emblematici appunto di questo approccio a doppio binario i programmi integrati di iniziativa privata: sia nei casi più discussi, sia (e forsemolto di più) in quelli innumerevoli delle trasformazioni locali. Tra i primi spicca il progetto City Life per il dismesso recinto della Fiera di Milano, balzato anche alle cronache nazionali forse più per questioni di forma (i grattacieli a cavatappi) che per le sostanziali trasformazioni che questo genere di interventi fa calare nell’evoluzione metropolitana, delegata ufficialmente dal Documento di Inquadramento ai «progetti di investimento di cui si ha notizia».In definitiva, le pur aspre polemiche sugli aspetti urbani e architettonici dell’insediamento di grattacieli e alte densità oscurano la questione della regione urbana di fatto lasciata in balia degli operatori vincenti sul mercato.

Ancora più evidente la frattura rispetto al modello di pianificazione territoriale nei casi “minori”, la cui pura somma aritmetica manifesterà in futuro effetti molto più radicali dei vistosi grandi progetti metropolitani. Sono le trasformazioni, urbane e non, spalmate su tutto il territorio regionale, dove letteralmente il Documento di Inquadramento si compone di qualche estratto della legge a cui si affiancano gli obiettivi del “progetto di riferimento” che l’ha determinato. E dove appare onestamente quasi impossibile, nei casi “virtuosi” in cui almeno i procedimenti di VAS rendono facilmente disponibile la documentazione, distinguere fra gli obiettivi particolari del privato e quelli dell’amministrazione. È così che dalle fasce urbane sino al più estremo esurbio regionale e fin nelle zone rurali si “sviluppa il territorio”.

La riforma riformata

Il processo non si esaurisce ovviamente con la legge di governo del territorio, ma prosegue. Con la LR12/2006 si introduce un premio volumetrico a PRU e PII per ‘ edilizia residenziale pubblica’; la LR 1/2007, Strumenti di competitività per le imprese e il territorio della Lombardia che, all’art. 7 apre la strada al recupero delle superfici dismesse tramite Programma Integrato di Intervento, con qualsivoglia progetto, in genere lontanissimo dagli obiettivi di “posizionamento competitivo della Lombardia in Europa” della legge; c’è poi la vicenda del cosiddetto e famigerato “emendamento ammazzaparchi”.

Preceduto dal caso, particolare ma indicativo di una cultura diffusa, della variante introdotta per il Parco Agricolo Sud Milano allo scopo di trovar posto ai 600.000 metri quadrati del Centro Ricerche Biomediche Avanzate, fortemente voluto dall’oncologo Umberto Veronesi esattamente sui terreni, di proprietà di Salvatore Ligresti nella fascia meridionale del comune di Milano. Alla faccia della greenbelt e di qualunque strategia metropolitana, vince la combinazione di interessi particolari: “quel” progetto in “quel” posto. Intenzione della Regione è appunto di trasformare l’eccezione in norma, consentendo correntemente varianti rapide per le indifferibili esigenze di “sviluppo del territorio” in zone a parco. Solo una diffusa e trasversale opposizione sociale riuscirà ad evitare (ma per quanto?) questo ennesimo obbrobrio nel nome di una concezione arcaica di modernità. Nel respingere il tentativo di ridimensionare il ruolo dei parchi nell’organizzazione del territorio, si recuperano anche, e in forme onestamente bi-partisan, le medesime sensibilità che sono alla base dell’urbanistica novecentesca.

Accantonata per il momento anche la cosiddetta “ Legge Obiettivo” regionale che intendeva tra l’altro legare esplicitamente la realizzazione delle infrastrutture all’urbanizzazione diffusa che direttamente alimentano. Ovvero riprodurre con un paio di generazioni di ritardo le esperienze internazionali di colonizzazione automobilistica dei territori e di proliferazione dello sprawl di villette, capannoni, centri commerciali e simulazioni urbane sparse, e di farlo per zone franche anche rispetto ai piani comunali. Facile immaginare certe forme di questa ubiqua strip, già oggi piuttostoinvadenti estendersi all’intera rete della grande comunicazione regionale: dall’asse autostradale centropadano Stroppiana-Broni-Casteldario, alla Bre.Be.Mi, alla gigantesca e inquietante T.O.M., Traiettoria Orbitale Metropolitana.

Conclusioni: la città è finita (anche la campagna non scherza)

Qualche anno fa si è subdolamente imposta con gran successo di pubblico e di (a)critica la cosiddetta città infinita, dopo una serie di iniziative che vedevano in primo piano operatori della comunicazione, ma non delle discipline del territorio. Nuovo paradigma, buono per tutte le occasioni e perfetto plafond ad una legislazione deregolativa per “lo sviluppo” inteso come quasi unico obiettivo del governo del territorio. Questo modello, ormai consolidato con poche eccezioni in Lombardia, rischia di “far morire” sia la città che la campagna? Ci sono parecchi indizi in questo senso:

● negoziazione senza rete, senza regole, poco trasparente;

● potere discrezionale dei comuni altissimo, con prospettive locali quindi anche per temi squisitamente sopracomunali;

● potere discrezionale dei privati elevatissimo, con attribuzione impropria di funzioni, mezzi e valori;

● il mercato (immobiliare) detta le priorità, gli ambiti di intervento e le regole, e la “frenesia autodistruttiva” segnala un drammatico vuoto culturale;

● trascurati promozione e sostegno all’associazionismo volontario intercomunale, proprio quando in tutta Europa è qui il punto di equilibrio fra sviluppo, sostenibilità, qualità della vita e identità locale.

La qualità della vita, nella prospettiva di sviluppo proposta da queste note, appare al massimo orientata ad una sola espansione dei consumi, o al massimo alla sommatoria aritmetica di interessi puntuali. Città sempre più congestionate e invivibili, speculare consumo di risorse territoriali imposto dalla ricerca di ambienti di vita un po' migliori. Ciò che avviene nella più classica tendenza alla suburbanizzazione, sino alle fasce più esterne dell’ esurbio, con tempi di pendolarismo quasi sempre automobilistico che si avvicinano e a volte superano le due ore. Oppure con la proliferazione di altri locally unwanted land use (LULU) come inceneritori, impianti variamente ingombranti ecc. nelle zone a più bassa conflittualità, che spesso si identificano anche con le più pregiate dal punto di vista ambientale, agricolo, paesistico.

Nella debolezza dell’iniziativa politica attuale nella formulazione di proposte alternative, sono forse le comunità locali a rappresentare almeno in potenza un contraltare importante al decisionismo ufficiale e al potere dei grandi operatori economici. Ci si può attendere qualche cambiamento dalla crescita, culturale e di consapevolezza diffusa, derivante dalla VAS che mette a disposizione diretta dei cittadini la documentazione dei piani e progetti di trasformazione. Forse non è molto, ma può iniziare a controbilanciare propositivamente le scelte in gran parte miopi e discrezionali dell’attuale classe dirigente. E a preparare un’alternativa credibile.

(*)Questo articolo è desunto dalle tesi e conclusioni di un saggio molto più corposo e documentato, in corso di pubblicazione su Contesti, rivista del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’Università di Firenze, in un numero dedicato alla comparazione di alcune esperienze italiane

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