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Ilaria Baioni Mauro; Boniburini
Letture introduttive
22 Settembre 2011
I preliminari
Percorsi di lettura suggeriti prima, durante e dopo la VII edizione della Scuola di eddyburg, sul tema: «Oltre la crescita, dopo lo "sviluppo"»

Preambolo



«Oltre la crescita, dopo lo “sviluppo”». Davvero impegnativo il tema della VII scuola di eddyburg, ma necessario. La sua necessità non era così evidente quando abbiamo programmato le due edizioni della scuola dedicate ai rapporti tra urbanistica ed economia, lo è diventato via via che si sono manifestati i reali connotati della crisi. Una crisi che non è solo congiunturale, “nel” sistema, ma - come la definiscono quelli di cui condividiamo le idee - “del” sistema. Inevitabile cominciare a ragionare su ciò che potrà essere oltre la crescita, dopo lo “sviluppo”, se vogliamo continuare a occuparci del territorio, dell’habitat dell’uomo, e della sua migliore utilizzazione: se vogliamo continuare a occuparci anche di pianificazione.

In questi anni eddyburg e la scuola si sono impegnati a dare conto delle caratteristiche del neoliberismo e a spiegare la formazione, lo sviluppo, la retorica, le strategie e gli effetti della città neoliberista. Di questo percorso critico danno testimonianza anche i libri scaturiti dalle diverse edizioni della scuola, ognuno dei quali ha contribuito a svelare un pezzo dell’immaginario urbano neoliberista oggi dominante.

Nelle letture che suggeriamo oggi (alcune sono stampate in forma cartacea e saranno distribuite alla scuola, la maggioranza sono scaricabili da eddyburg o da altri siti) indichiamo alcuni sentieri di ricerca e di riflessione che ci sembrano utili ad introdurre il percorso dei quattro giorni della scuola.

Nel primo gruppo degli scritti di cui suggeriamo la lettura proponiamo alcuni testi, per così dire, di fondamento rispetto ai temi affrontati nei gruppi successivi, per ribadire concetti importanti come quelli di economia e territorio, per introdurre la critica al concetto odierno di sviluppo e ricordarci cos’è la rendita e i danni che essa comporta quando diventa dominante su altri obiettivi.

Nel secondo gruppo abbiamo inserito testi che aiutano a ragionare sulle caratteristiche della crisi del modello dominante e sulla costruzione di immaginari potenzialmente alternativi: germi di una possibile contro-egemonia, per riferirci alla definizione gramsciana. Sono testi che non riguardano l’urbanistica né solo la città in senso “tecnico”. Eddyburg assume per la città una definizione ampia, e ricorda sempre i tre aspetti, le tre facce della città presenti nelle tre parole che la definiscono: urbs, civitas, polis, la città nella sua materialità, nella società che la vive, nel governo che la organizza. In questa fase, poi, siamo convinti che non può esservi riforma della città (un nuovo “progetto” di città), senza, e forse prima, un nuovo progetto di società e di politica. Quindi anche di economia, di filosofia, di etica…

Nel terzo gruppo abbiamo inserito alcuni testi che possono aiutare a comprendere come lavorare per tradurre gli immaginari alternativi in trasformazioni dell’assetto della città: più precisamente, dell’habitat dell’uomo, che è divenuto l’insieme del territorio. Abbiamo scelto le linee di ricerca e di sperimentazione nelle quali è più chiaro ed esplicito il nesso tra progetto di città e progetto di società e di governo, poiché questo ci sembra sia l’approccio più interessante e utile in un momento di riflessione comune che aiuti a fondare un uovo paradigma, realmente alternativo e potenzialmente egemonico.

Alcuni capisaldi:

economia, città, territorio, rendita e sviluppo



Nelle due edizioni VI e VII (2010 e 2011) ci siamo occupati di economia. Ci siamo riferiti all’economia data: quella, in particolare, della fase attuale dell’economia capitalistica. Ma se si vuole guardare un po’ di là dall’oggi (e la crisi che travaglia il mondo ci sollecita a farlo) dobbiamo pensare all’economia in senso più ampio: come dimensione necessaria della vita dell’uomo e della società. Lo scritto di Claudio Napoleoni ci aiuta a farlo, al di là della congiuntura e con un forte senso di innovazione delle categorie date: Economia, secondo Napoleoni

Il nostro interesse specifico è alla dimensione territoriale dei fenomeni. Ma la parola territorio è impiegata oggi con significati molto diversi. Rinviamo a tre scritti che ci sembrano particolarmente significativi: Salzano, Habitat bene comune esprime una visione di tradizione urbanistica, e quindi considera il territorio come il prodotto di un’estensione della città; Bevilacqua, Che cos’è il territorio, con fortissime analogia al precedente, esprime l’approccio di uno storico dell’ambiente e considera il territorio come habitat dell’uomo. Infine per precisare che cosa intendiamo per città rinviamo a Salzano, Crisi dello spazio urbano o fine (morte) delle città?

Nell’edizione 2010 della scuola abbiamo trattato la questione della rendita immobiliare, che è uno degli snodi più significativi del rapporto tra economia e territorio. Sull’argomento rinviamo a due scritti diversamente utili. Il primo Salzano, Parole per ragionare sulla rendita, cerca di spiegare che cos’è la rendita, e in particolare quella immobilare, partendo dalla sua definizione economica e in senso generale; il secondo. Walter Tocci, L’insostenibile ascesa della rendita urbana . illustra magistralmente il modo in cui la rendita immobiliare ha assunto un ruolo assolutamente ed egemone nell’economia (e quindi nel progetto urbanistico) del neoliberismo.

Per una critica al concetto di sviluppo consigliamo alcuni libri, quasi passaggi obbligati per ripercorrere l’evoluzione del concetto e comprendere l’arbitrarietà operata nell’assumere quella parola come sinonimo di progresso e di attribuirle così positività a priori, e per mettere in evidenza come lo sviluppo sia stato un abile strumento di potere per orientare e plasmare la società in una determinata direzione. Un testo breve e conciso è la voce “sviluppo” nel Dizionario dello sviluppo a cura di Wolfgang Sachs, in cui vengono passati in rassegna i concetti chiave che ruotano intorno alla ‘macchina dello sviluppo’ esaminandoli criticamente e mettendone in luce le contraddizioni. Per approfondimenti si può partire da Ivan Illich, che per primo ha messo in discussione il benessere derivato dallo sviluppo, leggendo Per una storia del bisogni. Altre due opere pioneristiche e ancora attualissime sono: Lo sviluppo. Storia di una credenza occidentale di Gilbert Rist e L’occidentalizzazione del mondo di Serge Latouche, entrambi per approfondire il concetto di sviluppo inteso come ‘dispositivo’ di potere per dominare il Terzo Mondo.

Dalla crisi del modello dominante

alla costruzione di immaginari contro-egemonici

I limiti sociali ed ecologici dello sviluppo, il degrado indotto dalla mercificazione dei beni primari, la crescente conflittualità internazionale attorno alle risorse naturali, l’aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito, delle risorse, dei poteri decisionali e di rappresentazione (che rafforzano gli esistenti spazi di esclusione e ne creano di nuovi, sia a livello globale che locale), le mutate drammatiche condizioni del mondo del lavoro, la riduzione delle garanzie sociali sono il risultato delle trasformazioni strutturali del sistema socio-economico, svelato dalla crisi in atto. Al neoliberalismo è dedicata una cartella su eddyburg: Capitalismo oggi. Molti sono su eddyburg gli articoli che descrivono e criticano la città neoliberista. Segnaliamo due lavori di Salzano: la parte II del testo La città come bene comune. Costruire il futuro partendo dalla storia e La città dei proprietari. Sui temi dell’esclusione e segregazione suggeriamo Paola Somma La città dell’ingiustizia. Politiche urbanistiche e segregazione.

Sui temi della disuguaglianza, povertà, desocializzazione del lavoro, dalla Disoccupazione al supersfruttamento ed esclusione sociale in relazione dell’era dell’informazione si legga, in Lettera internazionale n 70, Manuel Castell,I due volti della globalizzazione dei mercati .

Se la sopravvivenza del neoliberalismo ha bisogno di ri-organizzazione e cambiamenti continui, allo stesso tempo i conflitti e le contraddizioni generano, inevitabilmente, una resistenza. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le contestazioni agli effetti nefasti delle politiche neoliberiste, ma anche al progetto neoliberista preso nella suo complesso (e quindi alle istituzioni, all’ideologia e alle pratiche ad esso riferite). Si manifestano proteste di massa, dalla scala locale a quella nazionale, che sfidano spesso le pratiche e le politiche dello stato, mentre alla scala transnazionale di solito contestano l’operato e le visioni di organizzazioni e coalizioni internazionali come la Banca Mondiale o il G8. Oppure si esprimono come azioni di lobby relative ai salari, al lavoro, al problema della casa, a determinati servizi pubblici, alla salute ambientale e altro ancora. O ancora si manifestano in pratiche che generalmente ri-organizzano le esistenti relazioni enfatizzando una migliore interazione tra esseri umani e natura, tra ambiente naturale e ambiente antropico. E infine si traducono anche in proposte alternative complesse che includono diversi modi di vedere e comprendere il mondo, di sentire, nominare, agire, e potrebbero portare alla costruzione di una società completamente diversa.

Le migliaia d’iniziative di contrasto al saccheggio dei beni comuni, frammentate e disperse sul territorio, hanno trovato in questi ultimi anni più occasioni d’incontro. Il grande successo della raccolta di firme e la vittoria del referendum sull’acqua pubblica e quella per le energie alternative, il riemergere dell’Onda per la difesa della scuola pubblica, il movimento Stop al consumo di territorio e altri eventi come l’incontro di Teano “per un nuovo patto tra gli italiani” testimoniano che trent’anni di “finanzacapitalismo” sfrenato e consumismo diffuso non hanno, di fatto, innalzato il benessere generale della popolazione, e che il sistema dato non è in grado di soddisfare i bisogni e di dare risposta ai problemi della società.

In questo quadro, riacquistano forza alcuni vecchi concetti, come quello di giustizia sociale e diritto alla città e ne emergono di nuovi, come la decrescita, che si pongono decisamente controcorrente rispetto al modello di vita consolidatosi in questa fase del capitalismo. Questi concetti non sono una mera resistenza al neoliberalismo. Sono una vera e propria contro-egemonia e rimandono a pratiche e immaginari capaci di affermare visioni, ideali, norme, organizzazioni socio-economiche e politiche profondamente alternativi al sistema capitalistico.

Per gli studiosi questi concetti rappresentano un terreno di indagine sia per analizzare da punti di vista differenti i fenomeni correnti che per esplorare nuovi orizzonti, teorizzando nuove forme di organizzazione socio-spaziale. Per i movimenti che aspirano al un cambiamento sostanziale dell’ambiente in cui viviamo e della società che siamo, sono uno slogan, una bandiera, una parola d’ordine che rimandano ai valori di equità, democrazia, ecologismo. Due sono i grandi temi che accomunano questi progetti alternativi: il tema della giustizia sociale e quello dell’ambiente.

Wolfgang Sachs in “Ambiente e giustizia sociale” torna a parlare di giustizia sociale in connessione sia con la questione ecologica che quella intergenerazionale; egli si riferisce ad un concetto di giustizia che coniughi giustizia sociale ed ecologia proiettando sull’asse temporale il principio dell’equità nel rapporto tra le generazioni presenti e quelle future; vedi l’intervista di Giuliano Battiston I limiti della natura allo sviluppo dei desideri http://eddyburg.it/article/view/11389/.

I temi dell’ equità ed dell' ecologia si ritrovano in quello che oggi è probabilmente l’immaginario contro-egemonico più avanzato in termini di elaborazione concettuale: il movimento per la decrescita, verso una società equa, sostenibile, partecipata (www.decrescita.it) che rimette in discussione il mito dello sviluppo e della crescita come fondativo della nostra società. Serge Latouche, uno dei padri del movimento, dice che parlare di decrescita è come lanciare una sfida, è “un atto iconoclasta, per un altro di un nuovo modo di raccontare il nostro essere qui, ora, nel mondo”, come argomenta il Manifesto della Rete italiana per la Decrescita. La società della decrescita auspica l’uscita dall’economia (“rimettere in discussione il dominio dell'economia su tutti gli altri ambiti della vita, nella teoria come nella pratica, ma soprattutto nelle nostre menti”), la drastica riduzione dell'orario di lavoro imposto (per assicurare a tutti un impiego soddisfacente), un drastico ridimensionamento dei processi che comportano danni ambientali.

L’impegno per una sostenibilità e una giustizia ecologica spinge a rivedere tutte le forme di opposizione tra esseri umani e gli altri organismi viventi o tra gli esseri umani e la natura e alla consapevolezza di un cambiamento reso necessario dal riconoscimento della crisi e dall’accettazione di una responsabilità personale e politica, come spiega il testo Politica capace di fare futuro.

Di seguito i link ad alcuni articoli sul recente dibattito su crescita e decrescita innestato dall’articolo di Guido Viale L'economia del mondo verso il default; Valentino Parlato, Risposta a Viale. Qualcosa deve pure crescere e Paolo Cacciari, Caro Viale, la decrescita è necessaria .

L’elemento ddel cibo e dell’ agricoltura, e quindi della sovranità alimentare, acquistano un ruolo importante in queste elaborazioni, perchè come dice Latouche questo è la colonna portante di tutto il discorso, non fosse altro che perché noi tutti siamo viventi perché mangiamo. Per un argomentazione sulla sovranità alimentare si legga l’interessante dibattito tra Latouche e Petrini e l’articolo di Guido Viale Perché il mondo si sente così male.

L’equità e la questione distributiva in una prospettiva di giustizia sociale sono alla base di un altro concetto importante, il “bene comune”, che in questi ultimi anni ha visto una crescente elaborazione concettuale e un ampio consenso tra moltissimi movimenti che si battono per una società più giusta e un ambiente più sano,. Molti sono i libri usciti in questi ultimi due anni sul tema. Per una definizione chiara e l’analisi del problema che si pone alla cultura e alla società di oggi si legga Ugo Mattei, Beni comuni. Un diritto alla libertà oltre lo stato e il mercato. Per una genealogia del termine inviatiamo anche a leggere i due articoli di Piero Bevilacqua, Il racconto dei beni comuni e di Ugo Mattei Forme del diritto. Breve genealogia dei beni comuni . Per un approfondimento segnaliamo La società dei beni comuni, un utilissimo libro curato da Paolo Cacciari (di cui potete leggere in eddyburg la recensione di Carla Ravaioli) ; Ibeni comuni ripensano la democrazia in cui Cacciari spiega come alcuni gruppi hanno cominciato a rivendicarne l'uso; infine segnaliamo gli articoli di Ugo Mattei Beni Comuni, e Beni Comuni. Il sipario aperto dal potere del noi. Last but not least, il libro di Giovanna Ricoveri Beni comuni vs merci; un assaggio di quest’ultimo lo trovate in un’intervista all’autrice.

Nelle riflessioni e nelle pratiche controegemoniche assume un peso crescente il legame tra la difesa del territorio e degli altri beni comuni e la difesa del lavoro. Ma può la difesa del lavoro ridursi alla difesa dell’occupazione così come oggi il sistema vigente la determina? Alcuni scritti invitano a guardare al di là della contingenza e a rifondare la stessa concezione del lavoro come attività primaria dell’uomo utile sl progresso dell’umanità. Oltre allo scritto di Napoleoni citato suggeriamo la lettura dei seguenti testi. Salzano, Eddytoriale 144 ; Viale, L'economia del mondo verso il default ; Bevilacqua, Lavoro d'autunno,

Gli immaginari alternativi che emergono non riguardano solo l’organizzazione materiale della nostra esistenza, ma anche lo stesso modo di pensare. Secondo Boaventura de Sousa Santos, infatti, solo andando oltre il modo di pensare ‘eurocentrico’ e ‘nord-centrico’ da lui definito “abissale” possiamo elaborare un idea di scienza come “esercizio di cittadinanza e di solidarietà, la cui qualità si misura in ultima istanza attraverso la qualità della cittadinanza e della solidarietà che promuove o rende possibile”. Il pensiero abissale “è una disposizione intellettuale, filosofica e politica, che si traduce nella capacità di tracciare linee attraverso le quali istituire divisioni radicali all'interno della realtà, rendendone una parte «riconoscibile», rispettata, rilevante, e condannando tutto il resto all'irrilevanza e all'inesistenza”. Occorre invece una versione ampia di realismo, che, contrariamente all'interpretazione positivistica non riduce la realtà a ciò che esiste, ma include anche «le realtà rese assenti dal silenzio, dalla repressione e dalla emarginazione», le realtà «attivamente prodotte come non esistenti», e insieme le potenzialità, le latenze, le tendenze e le «emergenze» presenti in ogni frammento di realtà. Si legga l’intervista di Giuliano Battiston Passaggio epistemologico al sud globale.



Testi attorno alla traduzione

degli immaginari contro-egemonici

nel campo dell'urbanistica



I temi dell’equità e della giustizia sociale riemergono anche nell’ambito dell’urbanistica, per ridare valore a obiettivi sociali, enfatizzarne il ruolo politico, prima ancora di quello tecnico dell’urbanistica e per controbilanciare l’enfasi dell’efficacia sulla scia di una politica che ha cercato di raggiungere la “governabilità” riducendo lo spazio della democrazia. Una Voglia di equità (raccontata da Boniburini e Durante: da non confondere con la perequazione, come risulta chiaro dall’eddytoriale 119.

Una lezione magistrale sulla qualità sociale della pianificazione (e sulla crisi della politica e le sue ricadute sulla vivibilità e il territorio) è il testo di Luigi Scano, Il governo pubblico del territorio e la qualità sociale. In effetti non tutte le pratiche di pianificazione possono essere considerate adeguate. Anzi, il modo di governare il territorio (e i conseguenti strumenti) praticate negli ultimi decenni si sono rilevate del tutto inadeguate a risolverne i problemi: anzi, hanno sempre più accetuato i febonei di disagio, disfunzione, distruzione delle qualità, iniquità. Il fatto è che la pianificazione non è un valore in sé: lo diventa a seconda della sua qualità sociale, degli obiettivi che essa si pone e al cui raggiungimento è adeguata. Riflessioni utili per comprenderlo si trovano anche in alcuni scritti di Salzano, quali: Lezione sulla pianificazione, L'urbanistica per la formazione del cittadino , Vent’anni e più di urbanistica contrattata .

Che fare allora,oggi? Quali sono le domande che si deve porre l’urbanistica? Da dove partire per comprendere qual è l’habitat capace di assicurare benessere alle generazioni attuali e a quelle future (che non è quello economico ed esprimibile dal PIL o dal reddito), vivibilità alle nostre città, pace, salute, democrazia? Come può l’urbanistica contribuire, orientando la salvaguardia, manutenzione, costruzione e cambiamento dei nostri territori, a costruire una società diversa, più bella perché più equa? Guardando alla società possiamo dire che uno dei punti di partenza può essere costituito dalla miriade di episodi che nascono spontaneamente, ma che esprimono sofferenze individuali appartenenti a moltissime persone, che si traducono spesso in tentativi di aggregazione, associazione, iniziativa comune di protesta e talvolta anche di proposta.

In queste azioni collettive il territorio è spesso protagonista perché si denunciano le condizioni dell’ambiente fisico e del paesaggio, sempre più inquinati e sgradevoli, ricchi di pericoli e privi di qualità, si denuncia la condizione della salute dell’uomo, esposto a malattie e a rischi di degradazioni biologiche, si addita alla condizioni della vita urbana, sempre più caratterizzata dalla carenza di servizi per tutti, di spazi condivisibili da tutti, di luoghi collettivi accessibili da parte di tutti; si attacca le difficoltà gravi per accedere ad alloggi a prezzi ragionevoli in luoghi dai quali sia facile e comodo accedere ai servizi e al lavoro.

Un movimento molto vasto, che costituisce il tessuto connettivo tra moltissimi comitati, associazioni e gruppi di cittadinanza attiva, è quello che tenta di contrastare il consumo di suolo: la trasformazione sempre più estesa di terreni naturali, spesso caratterizzati da una buona agricoltura o da piacevoli paesaggi rurali, in aree urbanizzate dalla speculazione immobiliare o dall’abusivismo. Si veda il manifesto nazionale del movimento.

Il concetto di diritto alla città è diventato un riferimento ideologico per molti dei quali si sono e continuano a porsi questa domanda. Esso trova la sua base teorica negli assunti di Henri Lefebvre e nei successivi approfondimenti di altri studiosi che in questi ultimi anni hanno contribuito a spiegare, specificare, e allargare il concetto. La sua base materiale può essere individuata nei conflitti sociali e territoriali in atto in ogni parte del mondo, che danno luogo a contestazioni sia nei confronti del progetto neoliberista che a opporre resistenza alle ingiustizie, all’esclusione sociale, e all’oppressione nel suo significato di sfruttamento, emarginazione, mancanza di potere, imperialismo culturale e violenza. Anche se il concetto non trova ancora un’articolata ed esaustiva spiegazione e non da luogo a veri e propri progetti contro-egemonici, rimane una guida per coloro in cerca di visioni, principi, criteri e modi per trasformare l’utopia in un immaginario dal potere trasformativo.

Sul tema si vedano gli articoli Marvi Maggio Il diritto alla città e la pianificazione urbanistica. Proposte per Firenze, e non solo; e Salzano, La qualità della città pubblica. Di diritto alla città e città come bene comune si è discusso anche al Forum sociale europeo del 2008, dove in seguito all’iniziativa sulla città promossa da eddyburg.it, Zone e da alcune strutture della Cgil si è elaborato un interessante documento , di cui si da conto anche nell’ eddytoriale 118. Urbs, civitas, polis: questi i tre termini che riassumono il nocciolo della questione. “Zero sfratti” degli abitanti dalle case, dagli spazi pubblici, dai quartieri e dalla città, difesa del ruolo del lavoro e dei suoi diritti, contrasto alle iniziative di privatizzazione degli spazi e dei beni pubblici sono gi impegni di lotta più immediati. Ma è stato considerato altrettanto indispensabile aiutare i movimenti a dirigere la loro attenzione dal locale al nazionale e al globale, dal settoriale al generale.

Al concetto di diritto alla città è associato l’immaginario di città come bene comune sviluppato da Edoardo Salzano in suoi diversi scritti. Vi segnaliamo in proposito Dualismo urbano. Città dei cittadini o città della rendita e La città come bene comune. Costruire il futuro partendo dalla storia.

Per concludere questa introduzione alla costruzioni di immaginari-controegemonici vorremmo dare conto di due scuole di pensiero che per molti versi si sovrappongono e che condividono molti dei temi sopracitati. La “società dei territorialisti/e” è una associazione in corso di formazione, caratterizzata dal concorso di studiosi di molte discipline intenzionati a sviluppare un sistema complesso e integrato di scienze del territorio. Nasce dal lavoro interdisciplinare di urbanisti, architetti, designers, ecologi, geografi, antropologi, sociologi, storici, economisti, scienziati della terra, geofilosofi, agronomi, archeologi che, a partire dalla metà degli anni '80, hanno sviluppato ricerche e progetti facendo ponendo al centro dell’attenzione il territorio come bene comune nella sua identità storica, culturale, sociale, ambientale, produttiva e il paesaggio in quanto sua manifestazione sensibile. In vista del prossimo congresso fondativo della società dei territorialisti/e sono sintetizzati, è stato elaborato un Manifesto, curato da Alberto Magnaghi, nel quale sono enucleati i principi fondanti che caratterizzano l’approccio territorialista. In particolare, l’attenzione ai caratteri specifici dei luoghi viene posta a fondamento di scenari di sviluppo della società locale, alternativi a quelli imposti dalle relazioni economiche globali, che si basano sulla valorizzazione del patrimonio storico, ambientale, culturale e sociale, e sono costruiti e promossi grazie al sapere e all’iniziativa della cittadinanza attiva.

Il “bioregionalismo” nasce dall’incontro di Peter Berg, esponente delle avanguardie culturali con l’ecologista Raymond Dasmann, è sostanzialmente una pratica di vita, alla base della quale sta la consapevolezza di essere e agire come parte della più ampia comunità che vive in un determinato territorio, inteso come una bio-regione. La bio-regione, secondo l’accezione più radicale è sia uno spazio geografico, sia un “terreno della coscienza”, poiché prevede un sistema sociale strettamente integrato con l’ecosistema ed i ritmi naturali. Per saperne di più rimandiamo ad uno scritto di Silvio Franco: . Al concetto di bio-regione fa riferimento lo stesso Latouche nella tesi per la città decrescente, che dovrebbe essere una città con una impronta ecologica ridotta, capace di trattenere un rapporto forte con l’ecosistema. L’autore, esaminando la crisi della città, sostiene che piuttosto di sognare la costruzione di città nuove, bisogna imparare ad abitare le città in modo diverso. «La città consuma bassa entropia [energia, risorse, cibo, ecc.] e esporta massicciamente alta entropia [rifiuti, inquinamento]. Si tratta di un predatore ecologico che consuma una superficie «fantasma» molto superiore alla sua superficie reale».

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