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Erminia Della Frattina
Mose, l’eterno incompiuto che costa molto e serve a poco
5 Maggio 2011
MoSE
Ignoranza, arroganza e soprattutto fiumi di soldi (dalle nostre tasche) affogano la Laguna di Venezia. Il Fatto Quotidiano , 5 maggio 2011

Venezia. AChioggia durante la sagra del patrono una band locale cantava facendo la parodia di Ramazzotti: “Mose-Mosè, più bella cosa non c’è”. Secondo i pescatori chioggiotti, già in crisi da un pezzo, quando le dighe del Mose saranno definitivamente incassate nelle bocche di porto manderanno all’aria quel poco di economia della pesca che ancora sopravvive. È un’ipotesi, una delle tante legate a questa opera di eccellente ingegneria (“Sicuramente la più imponente in costruzione oggi in Italia” dice Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia) che si trascina però tra dubbi e polemiche da almeno vent’anni. Polemiche scatenate soprattutto dai Verdi e dalle associazioni ambientaliste, che ormai hanno perso la battaglia. “È vero, abbiamo perso, ma le obiezioni sull’impatto ambientale e sull’effettiva efficacia dell’opera restano” è il giudizio di Gianfranco Bettin, assessore all’Ambiente della giunta veneziana e oppositore da sempre del Mose. Ora i dubbi si estendono anche alla data di fine lavori: non sarà più il 2014 come si è sempre detto finora, ma secondo Giovanni Mazzacurati, dg del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dell’opera, “c’è da augurarsi che finiscano entro il 2015”.

Sono cambiate al rialzo anche le risorse necessarie per costruire le paratie mobili e i cassoni che staranno per cento anni affondati in Laguna a proteggere le tre bocche di porto che si affacciano al mare – Malamocco, Chioggia e Lido-Treporti – dal pericolo delle acque alte. Fino a un anno fa il progetto costava 4 miliardi e 200 milioni di euro, ora siamo arrivati a 4,7. Una quota che comprende il recupero delle coste dal mare e il sistema dei 35 cassoni di calcestruzzo grandi come condomini che saranno affondati a maggio 2012 nelle bocche di porto. Ma si arriva a 5 miliardi e 600 milioni considerando le opere aggiuntive richieste dall’Unione europea (“l’Europa ha chiesto una serie di misure compensative” dice l’architetto Flavia Faccioli del consorzio) e gli insediamenti ambientali.

Il tutto per mettere in funzione la grande architettura del Mose, poi ci sono i costi di manutenzione (secondo Faccioli 25 milioni l’anno ma è una stima al ribasso, ne costerà almeno 30). “I lavori del Mose assorbono risorse enormi, ma sono un esempio straordinario di capacità organizzativa che l’Italia sta dando al mondo” sembra giustificare i costi da capogiro il sindaco Orsoni.

Risorse che finora lo Stato ha erogato per i due terzi concedendo al Mose 3 miliardi e 700 milioni, prima attraverso la Legge Speciale e ora con la Legge Obiettivo per le grandi opere (quella che comprende il mai cominciato Ponte sullo Stretto di Messina). Mancano ancora all’appello 1 miliardo e ottocento milioni, anche se al Consorzio lamentano un rallentamento complessivo dei finanziamenti nell’ultimo anno, ma assicurano di contare sul Dpef in arrivo. “L’avanzamento dei lavori è al 60 per cento in termini di spesa su costo e al 90 per cento quanto all’incidenza sul territorio”, spiega l’architetto. Ai 5,6 miliardi di costo complessivo si devono aggiungere poi quelli per la ricostruzione e la manutenzione di spiagge, barene e velme, gli isolotti della laguna, per altri 11 miliardi di euro complessivi “extra-Mose”.

Un lavoro immenso fatto dal Consorzio Venezia Nuova (“con l’alta sorveglianza del Magistrato alle Acque”) che ha combattuto e vinto – almeno per ora – la battaglia per costruire un’opera impressionante, alla quale sono tuttora contrari una buona parte del mondo accademico e uno schieramento politico trasversale che va dall’ex sindaco Cacciari ai verdi al Pd a parte della Lega, che però abbozza. “Non si sa se il Mose sarà all’altezza del mutamento climatico dei prossimi anni” dice Bettin. Tradotto: nessuno è in grado di stabilire se i flussi delle maree nei prossimi cento anni saranno costantemente al di sopra di una certa soglia, e quindi provocheranno l’innalzamento delle paratie per lungo tempo interrompendo il flusso mare-laguna, o peggio non assolvendo al compito. “Il Mose è progettato per funzionare qualche volta all’anno non di più” chiosa Bettin.

Poi ci sono i dubbi sulla sostenibilità ambientale: gli enormi cantieri una volta terminati i lavori saranno smantellati. Quello di Malamocco, costruito su una piattaforma artificiale, sarà completamente sradicato dalle fondamenta. Insomma il Mose, 18 chilometri di cantiere sul mare che danno lavoro a tremila persone compreso l’indotto, rischia di essere la prova del fuoco di questi strani tempi: se funziona diventerà l’opera ingegneristica più celebrata, in caso contrario sarà lo spreco di soldi pubblici più clamoroso degli ultimi 20 anni. “Ho dubbi su tante cose ma sul Mose nessuno, dormo sogni tranquilli” è sicura l’architetto Faccioli, beata lei. Suona meno rassicurante il direttore del cantiere di Malamocco, che alla domanda: “Fra cent’anni cosa succederà, bisognerà rifare tutto? Chi toglierà questi blocchi enormi dalla Laguna?” ha risposto: “Boh, fra cent’anni chi lo sa... Lei ci sarà? Io no”. E forse nemmeno Venezia.

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