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Giuseppe Massimo; Onufrio Scalia
Delta del Po. Il Consiglio di stato boccia il progetto. La Confindustria boccia il Consiglio.
23 Maggio 2011
La questione energetica
«Sconfitta l'Enel. Centrale a gas? Una centrale da duemila Mw in un ecosistema delicato è un progetto di disastro. Meglio, in ogni caso, a gas che a carbone» Il manifesto, 22 maggio 2011

La bocciatura da parte del Consiglio di Stato della Valutazione d'impatto ambientale che approvava la conversione a carbone della centrale di Porto Tolle ha sollevato le solite bordate antiambientali da parte industriale. Vale la pena di fare alcune puntualizzazioni. Fare una centrale da quasi 2 mila Megawatt in un delta di un fiume, nell'ambito di uno dei parchi ambientalmente più significativi del Paese, era già assai discutibile. Il vecchio impianto a olio combustibile, condannato per disastro ambientale e accusato di danno biologico, era stato un colossale errore di pianificazione. La conversione a carbone, oltre a produrre l'emissione di oltre 10 milioni di tonnellate l'anno di anidride carbonica, CO2, avrebbe comportato la movimentazione nell'area di 5 milioni di tonnellate di carbone all'anno e di un altro milione di tonnellate tra calcare, gessi e ceneri.

Un punto critico è stato quello del confronto con le alternative: oltre all'alternativa «zero» (cioè non far nulla in un'area già interessata da un rigassificatore) c'era l'alternativa di fare un impianto a gas invece di quello a carbone. Enel ha sostenuto la tesi che, essendo i gruppi a carbone più grandi di quelli usualmente impiegati per gli impianti a gas a ciclo combinato, i camini più alti avrebbero garantito maggiore diluizione degli inquinanti e dunque implicato un minore impattosull'ambiente. Questa tesi non ha alcuna base scientifica. Gli inquinanti, infatti, viaggiano, si trasformano chimicamente e interessano un'area vasta (dell'ordine delle centinaia di km). Dunque le preoccupazioni ambientali su quell'impianto non sono di tipo «nimby», ma riguardano invece l'impatto su gran parte della pianura padana, come si è sostenuto nel ricorso sostenuto da Greenpeace, Wwf, Italia Nostra e dalle associazioni locali del settore turismo e pesca.

In particolare, le circa sette mila tonnellate annue di ossidi di zolfo e azoto emesse dalla centrale a carbone - contro le poco più di mille di una centrale a gas a parità di energia prodotta - comportano la genesi di grandi quantità particolato fine «secondario» attraverso gli ossidi di zolfo e di azoto, che, oltre che acidificare l'atmosfera, ne sono i «precursori». Basti pensare che in una città come Bologna oltre un terzo del particolato ultrafine (inferiore ai 2,5 micron di diametro) è costituito da nitrati e solfati provenienti da sorgenti lontane. Ed è noto che si tratta della frazione del PM10 più pericolosa dal punto di vista sanitario.

Il recente rapporto di Legambiente, Mal'aria 2011, conferma una situazione sconfortante e grave sui livelli di particolato fine nelle città italiane: 30 delle 48 città italiane fuorilegge per numero di superamenti annuali dei limiti di PM10 sono nella pianura padana (tra queste Rovigo, Ferrara, Padova, Bologna e Milano).

E' possibile una strategia alternativa per salvare il posto a circa 300 operai? A parte l'alternativa del gas - certo assai meno inquinante di quella del cosiddetto «carbone pulito» - le analisi del potenziale delle rinnovabili in Italia mostrano ampie possibilità, con un impatto occupazionale ben superiore rispetto alle fonti convenzionali. Senza parlare delle ricadute occupazionali che potrebbero avere le misure di efficienza energetica proposte recentemente, a livello nazionale, da Confindustria, e che una cauta proiezione per la Provincia di Rovigo fa ascendere a oltre 3.000 nuovi posti di lavoro. Dal punto di vista energetico poi, l'analisi del potenziale di efficienza nel settore elettrico, elaborato dal Politecnico di Milano per Greenpeace, mostra un potenziale energetico pari a quello di 10 centrali di Porto Tolle, ma economicamente assai più conveniente.

La protezione dell'ambiente e il fare fronte ai cambiamenti climatici rappresentano, oltre che una necessità, un'imperdibile occasione occupazionale: ma bisogna cambiare drasticamente le attuali politiche energetiche e industriali.

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