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Alberto Statera
Appalti, inchieste e champagne ecco Romeo, il re dei tombini
5 Gennaio 2011
Articoli del 2008
Ecco che cosa succede quando la città diventa merce, per colpa dei governanti infedeli. La Repubblica, 13 dicembre 2008

Saliva la mota giovedì dalle caditoie - così si chiamano i tubi - e dai tombini non solo alla Stazione Tiburtina, ma anche a piazza Ungheria, dove i pariolini, quando non piove, gustano i migliori arancini di riso di Roma. E mentre la capitale andava sott’acqua, otturata dalle foglie lasciate marcire e dai sampietrini divelti in uno scenario fognario degno di Lagos, Nigeria, Heinz Beck, superchef della «Pergola», il miglior ristorante d’Italia arrampicato sulla cima di Monte Mario, sfornava a Napoli le sue «opere» per la «meglio borghesia» partenopea. Accolta in via Cristoforo Colombo da un elegante guardiaporta in livrea color nocciola, tra fontane verticali, camini nereggianti, pianoforti rosseggianti, e armature da samurai, opera dello studio Kenzo Tange.

È l’inaugurazione, se vogliamo di gusto un po’ kitsch, dell’Hotel Romeo, cinque stelle lusso, 12 piani, 83 camere, 17 suite con pareti di cristallo e piscina a sfioro sul tetto. L’hotel non è dedicato a Romeo, il mitico gatto del Colosseo, ma alla volpe di Posillipo, dove essa abita in un palazzo di sei piani con prato degradante verso il mare, pur se lievemente infastidita da un piccolo decreto di sequestro per abuso edilizio e una violazione dei sigilli.

Al secolo, la volpe è Alfredo Romeo, 55 anni, titolare della Global Service, che gestisce il patrimonio immobiliare del comune di Napoli e tanti altri patrimoni pubblici a Roma, Milano, Firenze, Venezia, per conto dell’Inps, dell’Inpdai, dei ministeri dell’Economia, dell’Interno, della Difesa, persino per il Consiglio di Stato e per il Quirinale. Un patrimonio amministrato di almeno 48 miliardi di euro, sulla cui redditività la Corte dei Conti - non c’è voce in Italia più inutile - ha espresso fiere critiche.

Primo contribuente di Napoli, Romeo ha il sogno di gestire intere città, compresi i cimiteri, dove il flusso di clienti è inarrestabile. Ha cominciato dalle strade, in testa quelle di Roma, coperte giovedì scorso da tonnellate di mota maleodorante che ha otturato per un giorno i milioni di buche su cui quotidianamente si sfrangono le centinaia di migliaia di centaurini in motorino della Capitale. Conquistò a suo tempo, con le amministrazioni di centrosinistra, insieme a Francesco Gaetano Caltagirone, senza il quale a Roma e a Napoli non si muoveva foglia, un appalto di 64 milioni l’anno per nove anni per la manutenzione delle strade romane. Totale 576 milioni per 800 chilometri, cioè 80 mila euro a chilometro ogni anno, contro i 5 mila e cinquecento euro a chilometro che per lo stesso lavoro spende il comune di Bologna, con risultati che difficilmente possono risultare peggiori rispetto a quelli dei tombini che scoppiano alle prime piogge. Utili in tre anni della volpe di Posillipo: 75 milioni su un fatturato di 130. Che poteva fare il nuovo sindaco di Roma Gianni Alemanno, che pure non sembra affatto eccellere nella gestione quotidiana di una metropoli come Roma, se non disdire il contratto con il re partenopeo delle buche, prima ancora che gli elementi complottassero contro la mancata ma salatissima manutenzione? «Magnanapoli»: si chiama così l’inchiesta che scuote, tra le tante, palazzo San Giacomo e che - guarda un po’ - ha al centro Alfredo Romeo, con l’appalto da 400 milioni per la strade partenopee, che, pur senza mai essere andato in gara, è lo scandalo presunto che ha reso negli ultimi giorni invivibile un clima già torbido, come se incombesse il giudizio universale, dopo il suicidio di Giorgio Nugnes e le dimissioni dell’assessore al Bilancio Enrico Cardillo.

Sono passati giusto quindici anni, ma forse qualcuno ancora ricorda chi è quell’Alfredo Romeo che oggi inaugura il suo albergo argenteo a cinque stelle lusso con una cena di Beck nella sala denominata «Il Comandante», in onore di Achille Lauro, che di quel palazzo e di Napoli tutta fu padrone prima che ne prendessero possesso la «Corrente del Golfo» e l’«Intepartitico», secondo la definizione dell’ex assessore democristiano Diego Tesorone. Cioè la cupola politico-affaristica trasversale, destra-sinistra, che oggi sembra essersi riprodotta, secondo il collaudato schema di allora.

Proprio Romeo, l’uomo dei lussi di Kenzo Tange, il Creso di Posillipo cui nessun politico sa dire di no, è il passato che ritorna. Correva il 1993, l’era di Mani Pulite, quando il giovane avvocato immobiliarista, oggi ricchissimo padrone bipartisan delle città, raccontò tutto ai magistrati: «I politici mi saltavano addosso come cavallette, volevano soldi, io sono una vittima, non un complice», narrava quasi piangente a quelli che volevano ingabbiarlo. Straordinario il racconto dell’incontro della presunta «vittima» con Elio Vito, che gli fu presentato dall’assessore democristiano al patrimonio Vincenzo De Michele.

Vito era noto come «Mister Centomila Preferenze» e - per sua ammissione - fu il collettore democristiano della Tangentopoli napoletana. Da una tangente del 2 per cento, per la quale alzava l’indice e il medio di fronte all’interlocutore che doveva pagare, riusciva a salire per un qualsiasi appalto fino al 7 e mezzo per cento, o, nei casi peggiori per lui e per i partiti della Cupola, al cinque. Proprio mentre a Milano Antonio Di Pietro ingabbiava i primi di Mani Pulite. Si è beccato due anni e sei mesi Romeo, ma poi è andato prescritto in Cassazione e, con pazienza e abilità, è diventato il perno del nuovo accordo politico-affaristico trasversale che governa Napoli con buona pace di Rosetta Iervolino e di Antonio Bassolino. Ha domato costosamente le cavallette di tutte le parti, se non con le mazzette, che forse non usano più, con i subappalti alle ditte collegate alla politica.

«Inerzia, inefficienza, inadeguatezza», scandisce il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe, senza mai pronunciare la parola «corruzione», che a Napoli sembra unire oggi pezzi di destra e di sinistra sugli appalti e sugli affari, come ai tempi antichi della Cupola, della Corrente del Golfo e di Tangentopoli. Le nuove leve, in questo cupo clima di vigilia e in attesa del diluvio universale, sono pronte, anche se alquanto stagionate. Claudio Velardi, ex Richelieu di Massimo D’Alema, oggi assessore straparlante al Turismo di Bassolino e consulente ben pagato di Romeo, annuncia una lista civica, chiedendo che Veltroni e D’Alema stesso «si tolgano di mezzo». Italo Bocchino, Renzo Lusetti e anche Nello Formisano - destra, sinistra, dipietrismo - chissà se son tutti lì come nell’«Interpartitico» di tanti anni fa a celebrare i fasti dell’«Hotel Romeo», o se l’hanno archiviato. Romeo in persona, che la sa lunga, inaugura la sala del «Comandante». Quale Comandante? Ma Achille Lauro, l’armatore che della politica napoletana fu il padrone per lustri interi, scambiando pacchi di pasta e mezze suole di scarpe agli elettori. In fondo, a parte le piscine e le pareti di cristallo, che cos’è cambiato a Napoli con l’«Hotel Romeo», cinque stelle super, e anche a Roma, con i tombini vomitanti, rispetto a sessant’anni fa?

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