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Antonietta Mazzette
Il futuro sarà «verde». A Carbonia per vedere un pezzo d’Europa
16 Dicembre 2010
Pratiche di buongoverno
Qualche buona pratica anche da noi: ma che fatica dover in pratica sempre remare contro! La Nuova Sardegna, 16 dicembre 2010 (f.b.)



Quali caratteri dovranno avere le città del XXI secolo per competere ai livelli più avanzati, in termini di innovazione e creatività, di coesione sociale e di sostenibilità ambientale? Limitando l’attenzione alla sostenibilità, ecco alcuni indicatori della European Commission per le Green Cities: mobilità eco-compatibile, aumento delle aree verdi, riduzione del consumo del suolo e dell’acqua, raccolta differenziata dei rifiuti, uso prevalente di energia pulita, coinvolgimento della popolazione nella diffusione di buone pratiche.

Sono sempre più numerose le città europee che rispondono a questi indicatori, ma nessuna è italiana. Mi limito a segnalarne solo alcune. Vitoria-Gasteiz, capoluogo della regione basca, città verde del 2012, dove circa il 75 per cento dell’edilizia popolare è già dotata di pannelli solari, il rapporto tra aree verdi e popolazione è di quasi 50 metri quadrati per cittadino, la popolazione residente (circa 250 mila abitanti) dispone di almeno un giardino a neppure 300 metri dall’abitazione, i mezzi di trasporto sono pubblici e collettivi, le piste ciclabili sono già decine di chilometri con l’obiettivo preposto di costruirne centinaia in tempi brevi.

La città spagnola succede a Stoccolma e ad Amburgo, rispettivamente capitali verdi nel 2010 e nel 2011, mentre Nantes è stata designata capitale europea verde del 2013. Tra le città finaliste troviamo Barcellona, Copenaghen, Oslo e tante altre, tra cui la città tedesca Freiburg, grazie soprattutto alla realizzazione dell’ormai noto quartiere Vauban, diventato uno studio di caso sia per le trasformazioni urbane eco-compatibili sia per i processi di partecipazione che si sono innescati in questi ultimi 15 anni e sia, soprattutto, per la capacità di mettere in pratica forme di mix sociale. Va sottolineato che queste buone pratiche producono ricchezza in termini di occupazione (sono necessarie professionalità tecniche e di governance), di attrazione (in queste città è cresciuto il flusso dei visitatori e degli abitanti), di profitto: è stato un modo per uscire dalla crisi edilizia perché le imprese si sono, anch’esse, riconvertite nella riqualificazione e nell’uso di materiali eco-compatibili.

Che cosa accomuna questi esempi? In termini generali il fatto che le città si stanno organizzando all’insegna: dei principi eco-sostenibili; della valorizzazione del tessuto comunitario e del mix sociale; della mobilità pedonale, delle piste ciclabili e dei mezzi pubblici e privati collettivi, anziché di quella automobilistica privata se non per le auto ecologiche; del fatto che gli edifici vengono costruiti solo dopo aver predisposto le infrastrutture necessarie e i sistemi di collegamento; delle domande sociali, garantendo alla popolazione una buona qualità della vita urbana, a partire dai «percorsi brevi» per la vita quotidiana. In termini specifici, il fatto che si costruiscono nuovi edifici esclusivamente per rispondere a precise domande abitative. Il che significa anche che prima di tutto si riqualifica il patrimonio preesistente. Ogni nuova realizzazione deve essere, inoltre funzionale alle specifiche esigenze sociali. Non consumare suolo (in particolare quello a vocazione agricola) e riutilizzare invece quello già compromesso è, comunque, l’obiettivo prioritario.

L’Italia è ben lontana da questi standard, anche se, soprattutto in alcune regioni del Nord, escludendo città come Milano, ci sono degli esperimenti interessanti che vanno nelle direzioni sopra richiamate.

E in Sardegna che succede? Un po’ ovunque si sta abbattendo il Piano casa regionale, probabilmente uno dei peggiori d’Italia, e che sta contribuendo a snaturare il volto (o, se si vuole, l’identità) dei centri urbani. Si pensi a Sassari e al fatto che in questi mesi si sta compiendo quel lungo (e a quanto pare inesorabile) processo di abbattimento che ha attraversato freneticamente la città almeno dalla fine degli anni ’50 fino agli anni ’80, e che ha determinato prima la scomparsa di gran parte del patrimonio edilizio dell’Ottocento e del primo Novecento (ad esempio le ville liberty), ora sta portando alla distruzione del tessuto urbano della seconda metà del Novecento. Si tratta di un autentico dissesto del quale le amministrazioni pubbliche appaiono disinteressate o, quanto meno, non in grado di limitare i danni.

Eppure in Sardegna c’è un pezzo di quell’Europa rappresentata dalle città verdi sopra citate. Mi riferisco agli esperimenti di bioedilizia che si stanno realizzando a Carbonia nel quartiere Bacu Abis. Villaggio dei minatori che estraevano il carbone necessario per rispondere alla crisi energetica nazionale degli anni ’30, le cui case razionaliste sono altamente insicure perché sottoposte ai continui cedimenti dovuti all’instabilità del sottosuolo. Il distretto AREA (ex IACP) di Carbonia ha avviato un’opera di ricostruzione delle case più lesionate con criteri antisismici, utilizzando materiali leggeri come il legno, applicando molti di quei principi che hanno reso alcune città europee esempi di eccellenza, coinvolgendo imprese che hanno dimostrato capacità di innovazione tecnica. Ad esempio, queste nuove abitazioni che verranno realizzati in neppure 100 giorni, avranno il fotovoltaico come fonte energetica primaria, una manutenzione meno onerosa, interni adattabili alle esigenze sociali.

È chiaro che un singolo caso non fa primavera, ma vale la pena evidenziare alcuni fattori che confermano l’idea che la Sardegna può competere con il resto d’Europa.

In termini sociali, si inverte la tendenza diffusa che chi ha meno capacità economiche vive in case povere e brutte, poste in luoghi segregati. Così non è nel caso di Bacu Abis. In termini urbanistici, queste case sono rispettose dei caratteri del quartiere e, più in generale, della città di Carbonia. D’altronde, ciò si realizza in linea con gli indirizzi dell’amministrazione locale che in questi ultimi anni è stata particolarmente attenta a rispettare l’identità del luogo. A ciò va aggiunto che tale rispetto ha fatto sì che non ci fosse un aumento di volumetria e neppure di consumo di suolo, in linea con gli indirizzi dell’Unione europea, eppure vi sarà un incremento degli spazi interni grazie alle avanzate tecniche e ai materiali utilizzati. In termini economici, queste abitazioni di qualità, sono meno costose ed anzi sono produttrici di energia pulita che, in parte, sarà messa a disposizione degli abitanti, in parte verrà immessa sul mercato. In termini di partecipazione, perché il processo di ideazione, progettazione e costruzione è avvenuto all’insegna del pieno coinvolgimento della popolazione interessata. Ciò è stato possibile perché i dirigenti di Area hanno scelto di rendere trasparente l’iter progettuale e decisionale.

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