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Giuseppe Guida
Il terreno perduto in penisola sorrentina
14 Agosto 2009
Campania felix
L’eredità della giunta regionale campana in tema di governo del territorio: pochissime luci, molte pesanti ombre. Da la Repubblica, ed. Napoli, 13 agosto 2009 (m.p.g.)

A una distanza ancora ragionevole dalla prossima campagna elettorale per le regionali, che tenderà a ricondurre critiche e riflessioni a più innocue polemiche di matrice politica, è forse ancora possibile tentare un valutazione minima delle politiche per il territorio che la Regione ha messo in campo.

In maniera molto sintetica, visto lo spazio ovviamente contingentato di questo articolo, si può fare riferimento a tre grandi famiglie di strumenti di intervento, attraverso i quali ricostruire in maniera strumentale le opzioni (o le retro-opzioni) che la Regione Campania ha utilizzato per intervenire, tutelare o pressare sul territorio.

Le tre famiglie sono: i progetti integrati legati alla programmazione di indirizzo e cofinanziamento comunitario; la pianificazione di area vasta; leggi, normative e regolamenti in materia urbanistica ed edilizia.

Sulle speranze (e, spesso, sulle credenze) legate al ruolo della prima famiglia di strumenti (in gran parte denominati Pit, Progetti integrati territoriali), si è scritto parecchio e la fase di cosiddetta "sperimentazione", durata almeno una decina d´anni, ha consentito di procrastinare continuamente una stima seria dei processi e degli esiti. Ora che alcune prime valutazioni indipendenti e sostenute da dati statistici sufficienti sono state elaborate, sta emergendo che, a fronte di una metodologia severa imposta dall´Unione europea (qualità dei progetti, priorità selezionate, concentrazioni di risorse in programmi di massa critica adeguata, attivazione di partenariato istituzionale e sociale, documentazione dei risultati in maniera rigorosa), gli esiti sono stati per lo più effimeri in termini fisici, clamorosi in termini di flussi finanziari finiti in mille rivoli e mille tasche, inconsistenti dal punto di vista di uno sviluppo duraturo legato ai territori, e si sono conseguentemente chiusi con valutazioni fittizie e furbe, consegnate a una Unione europea che non ha saputo e voluto verificare.

L’unico esito positivo è stato quello di indurre all´apprendimento e all’innovazione la farraginosa macchina burocratica regionale che ha indubbiamente acquisito dimestichezza con pratiche amministrative meno obsolete e grossolane. A questa famiglia, è bene ricordarlo, appartengono anche i nuovi programmi Piu, come quello già partito sul centro storico di Napoli, che si spera utilizzino l´esperienza dei fallimenti passati.

Il secondo gruppo di strumenti, e cioè quelli che fanno riferimento alla pianificazione di area vasta, si identifica in particolare con i Piani territoriali di coordinamento provinciale e il Piano territoriale regionale. Nonostante l’enorme mole di lavoro e di speranze, nessun piano provinciale è stato mai approvato da quando, a partire più o meno dal 2000, le varie province hanno cominciato a elaborare questo tipo di piano. Non c’è riuscita nemmeno la Provincia di Napoli che, arrivata quasi alla fine del processo, ha visto un cambio di maggioranza che rischia di rendere improduttivi i circa 1,5 milioni di euro che si sono spesi, negli ultimi 8 anni, per la redazione del piano. A essere approvato definitivamente, invece, è stato, nel 2008, il Piano territoriale regionale (Ptr). E non è un caso.

Priva di un disegno chiaro su che cosa la Campania dovrà essere nel medio-lungo periodo, la Regione ha approvato l´unico piano che non creava problemi. Il Ptr infatti è un piano di indirizzi, poco cogente, fatto di visioni, scenari e cartografie sufficientemente generiche e poco chiare, utili per consentire infinite interpretazioni e tali da non garantire alcun orizzonte solido verso il quale si sarebbero potuti densificare i contrasti interni alla stessa maggioranza. L´unico elemento positivo del Ptr sono le allegate Linee guida per il paesaggio, un insieme di indirizzi e di prescrizioni che, a partire da una conoscenza puntuale dell´intero territorio regionale, costituiscono uno sfondo argomentato che difficilmente potrà essere messo in discussione, se non dalla poca cogenza del Ptr stesso.

L’ultimo gruppo di strumenti che in queste due legislature di centrosinistra ha "lavorato" sul territorio è quello delle leggi e delle norme. Esse ruotano tutte attorno alla nuova legge urbanistica regionale 16/2004. Una legge che offre spunti di innovazione (generalmente copiati da leggi di altre Regioni), molti punti di inammissibile incertezza (come quella di non prevedere per i piani comunali la suddivisione in parte programmatica e parte operativa, come hanno fatto quasi tutte le altre Regioni d’Italia), e un generale impianto ibrido che manifesta il fatto di essere stata scritta da legulei e non da tecnici urbanisti, rendendola "edibile" ma certamente un´occasione persa per fare qualcosa di più.

Ma la politica regionale per il territorio, quella vera, ha il suo snodo nella legge 19/2001 che (utilizzando simulazioni ingenue, facili da individuare) liberalizza la materia edilizia e fornisce un grimaldello eccezionale per demolire i vincoli paesaggistici, delegando la loro essenza a controlli che non ci sono, all´etica del privato, alla benevolenza del mercato. Con questa legge, ad esempio, la giunta di Antonio Bassolino ha reso edificabile l´intera Penisola sorrentina. Esclusi i centri storici e le aree di tutela integrale (Zt 1 e Zt 9 del Put), circa il 20 per cento del territorio, è in pratica possibile sbancare dovunque la Penisola (come nei fatti si sta facendo) nel restante 80 per cento per realizzare al posto di noceti e oliveti mega-parcheggi interrati che, al netto del metro di terreno in copertura, sono costruzioni a tutti gli effetti che rendono l’area di sedime irreversibilmente compromessa alla pari di un edificio di 10 piani. Si può discutere su altri strumenti e su altre leggi, ma che questo scempio sia l’eredità più solida lasciata al territorio dalle ultime stagioni della politica regionale, è indubbio. E tutto questo in attesa di vedere quello che succederà col "piano casa".

Insomma, un quadro poco confortante, perché fatto di cose effimere, fragili e poco funzionali in termini di promozione dello sviluppo, nei casi migliori, palesemente contro il territorio e a favore della speculazione, in quelli peggiori. L’ultimo anno di tempo è forse poco per mutare il segno di questa tendenza, ma probabilmente dei correttivi sono possibili, per lenire, almeno nel limitato campo urbanistico, il peso di una così poco confortante eredità.

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