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Sandro Bennucci
Gli Uffizi nel Golfo Persico, sulle orme del Louvre
4 Marzo 2009
Stupidario
Da oggi, nel nostro Stupidario entra di diritto il Presidente Martini con la sua idea per spillare soldi agli sceicchi. Con postilla. Su La Nazione, 3 marzo 2009 (m.p.g.)

Porteremo un pezzo di Uffizi nel deserto degli Emirati Arabi, come stanno facendo i francesi col Louvre, ricavandone un miliardo di euro per i prossimi 15 anni. L'idea nasce per caso, durante l'incontro al ministero dell'economia, un tempio dove si fanno piani d'investimento da capogiro e dove tutti gli amministratori e gli imprenditori del mondo vorrebbero essere ricevuti. Bin Saeed Al Mansoori, sceicco, ingegnere, ma soprattutto ministro dell'economia di uno dei pochi paesi del mondo in grado di spendere alla grande nonostante la crisi galoppante, dichiara di volere il meglio In tutti i campi.

Non bada a spese perché pensa a un futuro, ancora lontano, quando il petrolio diminuirà o sarà meno importante di oggi. A Claudio Martini, presidente della Regione, alla guida di una missione che tenta di aprire nuovi mercati, s'illuminano gli occhi. Così rilancia: «Ho visto i progetti per i musei Guggenheim Abu Dhabi e Louvre Abu Dhabi. Ecco, io credo che non sarà impossibile, in un futuro poco lontano, di parlare degli Uffizi di Abu Dhabi, nelle forme che potremo studiare con il governo. Sapete, la Toscana ha quasi il 50% delle opere d'arte del mondo e molte non trovano spazio nei nostri musei che sono strapieni...». Una proposta? Una provocazione? Del resto, anche tempo fa, durante una visita istituzionale in Giappone, lo stesso governatore aveva pensato di portare la Venere del Botticelli a Tokio. Suscitando un vespaio di polemiche. Ma qui, in un emirato che ricava 85 milioni di euro al giorno dal petrolio (sì, avete letto bene...), Martini fa un briefing coi giornalisti per spiegare bene l'idea. Prima racconta che Al Mansoori gli ha rivelato un aneddoto: «E' stato a Firenze, mangiò dal Latini dove quasi gli imposero di mangiare una monumentale bistecca...». Poi il governatore dice: «Non vedo niente di male, in un momento di crisi come questo a usare il nostro patrimonio culturale come veicolo per gli affari. Se l'hanno fatto la fondazione Guggenheim di New York e addirittura il Louvre, non vedo scandali a proporre gli Uffizi».

Nella mente di Martini, che in passato aveva chiesto maggiore autonomia delle Regioni nella tutela e nella gestione dei beni culturali, la lampadina si è accesa, appunto, domenica pomeriggio, durante la visita ai progetti della Saadiyat Island, l'Isola della felicità di Abu Dhabi, dove figurano i plastici del nuovo Guggenheim e del nuovo Louvre. Accanto ai quali c'è un pannello che spiega che gli Emirati Arabi pagheranno al Louvre 525 milioni di dollari per il marchio e 720 milioni di dollari per la concessione di opere in mostra. In tutto circa un miliardo di euro. Contratto per 15 anni. Come potrebbe svilupparsi questa collaborazione fra Abu Dhabi e gli Uffizi? Per far andare avanti l'idea, serve prima di tutto il sì del governo e quindi un tavolo ufficiale fra Roma e Abu Dhabi. Martini è pronto a fere opera di persuasione, sostenendo che l'arte può aprire le porte ai rapporti internazionali e al business. Certo, potrebbe non mancare chi obietterà che è pericoloso «esportare» un pezzo di Uffizi perché chi vuoi vedere la Primavera, la Venere e il Tondo Doni dovrà sempre venire a Firenze. Martini pensa però alle Opere conservate in cantina, a quelle «mai viste», o ancora da restaurare dopo l'alluvione di 43 anni fa. Che potrebbero trovare finanziatori per il restauro. Prima di essere mostrate, come oggetti del genio «Italians», in un nuovo museo sulla Sabbia del Golfo Persico.

Postilla

Leggendo ieri agenzie stampa e articoli che riportavano le esternazioni di Claudio Martini, presidente della Regione Toscana, sembrava di essere tornati sul set di Totòtruffa ’62, nell’immortale sketch della vendita della fontana di Trevi.

Sorvoliamo sulle iperboliche affermazioni in stile Guinness dei primati (“la Toscana ha quasi il 50% delle opere d'arte del mondo”) che, seppur destituite di ogni minima credibilità statistica, hanno ripreso a circolare da qualche tempo anche nei piani alti di via del Collegio Romano.

Trascuriamo il fatto che il principio del “visto che l’han fatto gli altri, ci proviamo anche noi”, non pare il non plus ultra della cultura manageriale (per non parlare di quella politica) e, magari, con un minimo di accortezza informativa in più, Martini avrebbe appreso che lo stesso progetto del Louvre è stato oggetto di fortissime discussioni in patria, probabilmente sarà ridimensionato ed è stato già pubblicamente dichiarato che non avrà assolutamente quei margini di guadagno che hanno ingolosito l’amministratore toscano.

Evitiamo anche ogni commento alla plateale affermazione, voce dal sen fuggita, “non vedo niente di male, in un momento di crisi come questo a usare il nostro patrimonio culturale come veicolo per gli affari”, persino imbarazzante nella sua pochezza culturale, oltre che istituzionalmente del tutto inappropriata, dal momento che si parla di un patrimonio statale, indisponibile per la Regione, per di più (e per fortuna) sottoposto alla tutela di organismi scientifici che Martini non si è neppure immaginato di dover preavvertire.

Risparmiamo infine ai nostri lettori la noiosa riproposizione dei mille motivi che si opporrebbero alla svendita del nostro patrimonio culturale, che i frequentatori di eddyburg possono peraltro rileggersi nei moltissimi testi presenti sul sito.

Ci basti, in questa breve nota, sottolineare il ridicolo di simili estemporanee boutades, laddove ai dubbi di chi osserva che spogliare gli Uffizi non sembrerebbe proprio il massimo della strategia, non solo culturale, ma neanche turistica, il presidente della Regione Toscana, in una perfetta incarnazione del più puro spirito italico di monicelliana memoria, replica furbescamente che non pensa certo a trasferire Botticelli o Michelangelo, bensì di ammollare agli arabi, come ognun sa geneticamente improvvidi nell’esercizio della mercatura, i quadri messi in cantina o ancora privi di restauro dai tempi dell’alluvione.

Era il 1966; ieri un sondaggio IPR dava il PD in crollo verticale al 22% dei consensi.

Per risollevare l’umore, andatevi a rivedere il duetto fra il cavalier Antonio Trevi e Decio “Cacio” Cavallo. (m.p.g.)

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