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Edoardo Mauro; Salzano Alboresi
Le conclusioni
14 Gennaio 2009
2009 Città bene comune, vertenza europea
Interventi conclusivi del segretario della Camera del lavoro di Bologna e del direttore di eddyburg.it al convegno "Città bene comune; una vertenza europea"

Mauro Alboresi

Proporre un’idea alta di pianificazione del territorio

Credo si possa affermare che abbiamo dato vita ad un confronto importante, fecondo.

Abbiamo evidenziato i contenuti del 5° Social Forum Europeo tenutosi a Malmoe lo scorso mese di settembre, sottolineato il comune obiettivo di “cambiare l'Europa”, di affermare cioè un processo di Unione Europea basato innanzitutto su di una dimensione sociale condivisa, senza la quale, perdurando un approccio essenzialmente economico/finanziario, lo stesso è destinato a rifluire, ad essere messo in discussione.

Credo possibile esprimere soddisfazione per come siamo stati parte attiva al Forum relativamente a temi “centrali” per la dimensione sociale che perseguiamo, per come abbiamo cercato, cerchiamo di dare continuità alla nostra azione, anche trovandoci oggi in concomitanza con l'incontro internazionale di Marsiglia, per la dimensione operativa quotidiana alla quale tendiamo. Siamo consapevoli che nel porre la questione della “città come bene comune”, come parte, appunto, di una vertenza sociale europea, affrontiamo un tema cruciale, diversamente articolato, nei diversi Paesi ed all'interno di essi.

L'analisi che facciamo ci dice molto delle differenze e delle difficoltà in campo, di una crescente spinta, anche e soprattutto “dal basso”, a contrastare molti dei processi in atto, a rivendicare risposte alternative ai tanti problemi presenti. Abbiamo parlato, parliamo del quanto la “deriva” liberista abbia permeato, permei le politiche che attengono al territorio, al suo governo, al suo sviluppo, alle condizioni dei suoi abitanti. Sottolineiamo che, oggi, può aprirsi una nuova fase, conseguente anche alla messa in discussione dell'ideologia liberista. Anche e soprattutto in conseguenza della crisi del capitalismo finanziario globalizzato si riprende a parlare di quale ruolo dello Stato, a partire dalla economia.

Lo Stato nelle sue articolazioni, “il pubblico” deve, può riprendersi (le situazioni sono assai diverse) il governo del territorio, della città. Il “pubblico” deve proporsi di incidere sempre più nei processi, non in nome di un vago interesse generale, quanto nella convinzione che è innanzitutto un progetto che assume la centralità della persona, i diritti di cittadinanza, il bene collettivo come proprio riferimento che va perseguito.

Per ciò, per definire proposte coerenti, adeguate, occorre avanzare una idea alta di pianificazione del territorio, del tessuto urbano, e per questa via è possibile e necessario promuovere una reale partecipazione democratica alla determinazione dei processi. Abbiamo parlato di politiche di sviluppo sostenibile, di trasporto pubblico, di politiche abitative, di integrazione, di sistema di welfare (in termini generali e correlati al territorio), sostenendo giustamente che tutto questo deve essere tenuto assieme, che tutto questo deve, può produrre quella coesione sociale che in tante nostre esperienze (abbiamo addirittura potuto parlare di “modelli) si è dimostrata necessaria, funzionale allo sviluppo qualificato del territorio, del Paese.

Ci siamo spinti, opportunamente, a prospettare soluzioni di merito alternative ed evidenziamo come sia opportuno ricercare e praticare, al fine della loro affermazione, relazioni, sinergie, alleanze con chi, condividendo le necessità sottolineate, è in campo. Non siamo, non possiamo essere autosufficienti.

La contrattazione confederale territoriale

Si inserisce in questo contesto l'azione che diverse Camere del Lavoro, tra i soggetti promotori della odierna iniziativa, sviluppano con sempre maggiore determinazione da alcuni anni e che chiamiamo contrattazione confederale territoriale. Una esperienza importante che, come sottolineato, ha l'obiettivo di tutelare i diritti ed i redditi dei lavoratori, dei pensionati, della parte più debole della popolazione e, più in generale, di garantire loro una sempre maggiore qualità di vita.

Non casualmente tra i principali temi oggetto della contrattazione confederale territoriale vi sono l'assetto, lo sviluppo, la qualificazione del territorio. Si tratta di una contrattazione che ha come interlocutori diversi livelli istituzionali, nonché vari soggetti di rappresentanza sociale, quali, ad esempio, le associazioni datoriali, alle quali chiediamo responsabilità sociale. Tale contrattazione, come sottolineato, va per noi sempre più intrecciata con quella che si sviluppa nei luoghi di lavoro.

Per quanto ci riguarda, infatti, ai fini della tutela delle condizioni dei soggetti che puntiamo a rappresentare, ciò è sempre più necessario. Occorre comprendere e far comprendere che non può esservi un prima ed un dopo, una disgiunzione, che tutto ciò non può che relazionarsi strettamente, è interconnesso.

Altrettanto significative sono le esperienze concrete con le quali si misurano gli altri soggetti oggi presenti. L'idea di uno sviluppo territoriale diverso, di uno sviluppo urbano che assume la “città come bene comune”, come dimostrato, non è una idea astratta, bensì una idea che poggia su solide basi, che innanzitutto parte da quei bisogni, da quella dimensione sociale che si avverte come necessaria.

Molte sono le proposte emerse, proposte concrete, che per tanta parte è opportuno proporci di calare, debitamente, nei diversi contesti della nostra azione, chiamando innanzitutto il pubblico, le sue articolazioni, la politica a misurarsi con esse. Sono molti oggi, almeno nella nostra articolata esperienza italiana, gli strumenti, gli atti pianificatori agiti, agibili. Anche oggi ci siamo detti che, spesso, si ha la sensazione che tra loro si rincorrano, si sovrappongano, anziché integrarsi. Abbiamo sottolineato che, spesso, la loro gestione politica è di breve respiro (giocata nel breve lasso di tempo del mandato amministrativo), che lì si vive in maniera non adeguata, non realmente funzionale agli obiettivi dichiarati, spesso piegandoli al contingente, ad una ricerca, a volte spasmodica, del consenso di tutti nel nome del presunto “interesse generale”, finendo con l'allontanare, col procrastinare le soluzioni dichiarate necessarie, possibili.

Qualificare la pianificazione, gli strumenti, le relazioni funzionali a ciò, è sicuramente tra gli obiettivi che sottolineiamo, che ci proponiamo. Qualcosa è stato fatto, molto resta da fare. Quella che noi perseguiamo non è una mera operazione di ingegneria istituzionale, che somma diverse realtà, bensì un processo condiviso, partecipato di riassetto, di riequilibrio delle competenze, che rilanci, consolidi le autonomie locali, la rappresentanza dei cittadini.

La città non è un luogo da usare, ma da vivere

Per noi la città non è un luogo da usare, ma da vivere. Siamo per contrastare processi nei quali le separatezze, con il loro inevitabile carico di potenziali conflittualità, crescono quanto più sono diversi e divisi i luoghi ed i tempi della vita, del lavoro, delle relazioni.

Rivendichiamo nuovi scenari e nuove politiche, aventi l'obiettivo di riattrarre cittadini, di non spingerli verso la periferia, la provincia e che, quindi, ricerchino un diverso equilibrio nell'assetto urbanistico tra alloggi, servizi, insediamenti produttivi e commerciali, spazi comuni, in un'ottica che miri a ricucire le fratture presenti nel territorio.

Diciamo basta alla corsa ad una edificazione che sta letteralmente distruggendo ogni spazio utile, che tutto soffoca ed abbruttisce, senza portare alcun miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini con minori possibilità (e sono sempre di più) ma, anzi, peggiorandole sensibilmente.

Ciò che sta alla base della nostra azione, dell'azione che ci proponiamo di qualificare è la città a misura delle persone, dell'ambiente, una città della politica partecipata, degli scambi, ossia una città ove le scelte nascono perseguendo tali obiettivi,in altre parole “una città come bene comune”.

Dare continuità alla nostra azione è quindi un obiettivo, soprattutto una necessità, tutti abbiamo sottolineato, sottolineiamo che un buon punto di partenza è consolidare, ampliare il più possibile questo nostro confronto, questo nostro stare assieme che, come auspicavamo, ha dato molte risposte.

Edoardo Salzano

Una cerniera tra il lavoro e il territorio

Le basi del lavoro gettate dal primo gruppo di relazioni (quelle di Somma, Baioni, Marson, Gibelli) sono state davvero utili. Gli interventi delle Camere del lavoro si sono tutti riferiti ai temi trattati, sottolineandone questo o quell’altro aspetto sulle base delle concrete esperienze di lavoro. Ringraziamo tutti gli amici che le hanno svolte e hanno lasciato un materiale utile ai partecipanti, e non solo a loro. Mi sembra che in questo senso il nostro convegno sia stato un caso positivo di applicazione di un corretto rapporto tra pensiero e azione, tra competenze culturali e intervento sociale: due realtà che rimangono sterili se sono separate.

Per me è stata particolarmente interessante la serie degli interventi delle Camere del lavoro, perché mi hanno dimostrato quali frutti stia cominciando a dare il lavoro avviato dalla CGIL nel 2006, con l’iniziativa del seminario a Montesole. E mi sembra che dagli interventi siano venute indicazioni sul lavoro da fare: sulle difficoltà incontrate, su nuove esperienze di coinvolgimento dei lavoratori e degli altri cittadini e abitanti per esplorare varie facce dell’organizzazione del territorio, sui conflitti e sui modi di gestirli. Far comunicare tra loro queste esperienze mi sembra un risultato molto utile di incontri come questo.

Naturalmente – e questo lo sapevamo in partenza – non abbiamo affrontato tutti gli argomenti che si pongono. E ce n’è uno che è emerso dal dibattito e sul quale vorrei brevemente soffermarmi. É un tema importante, è un anello necessario nelle trasformazioni del territorio, quelle negative come quelle positive: le Imprese. Evocava il tema Alboresi, nel suo intervento di stamattina, quando parlava della necessità di “coinvolgere le associazioni d’imprese”; e vi accennava Pivanti, quando criticava il ruolo della cooperazione nella contrattazione delle scelte urbanistiche.

Salario, profitto, rendita

Mi veniva in mente un episodio significativo di molti anni fa. Roma, 1970, il sindaco Luigi Petroselli costruì un trasparente accordo con le imprese edilizie della capitale, che accettarono – per dirla schematicamente – di abbandonare la rendita per puntare solo al profitto. Accettarono di impegnarsi in una grande operazione di costruzione di edilizia pubblica e sociale lavorando sulle aree del Peep, previamente espropriate. Erano anni molto diversi da quelli di oggi. Allora erano i fratelli Agnelli, Gianni e Umberto, padroni della Fiat e di molto altro, che dichiararono che occorreva combattere la rendita fondiaria. Avevano compreso che la rendita è letale per la città e anche per il profitto d’impresa, aumenta il prezzo della casa, accresce la congestione, incide sul costo della vita dei lavoratori e quindi sollecita fortemente le rivendicazioni salariali: se il salario spinge e devo cedere qualcosa, per non ridurre il profitto devo spingere a ridurre la rendita.

Tempi molto lontani dai nostri. Allora nella sinistra (e non solo) la distinzione tra salario, profitto, rendita era ben chiaro. Così il carattere parassitario della terza componente del reddito, e quindi la necessità di contenerla e ridurne gli effetti. La rendita non può essere eliminata da ciclo economico, dicono gli economisti. Ma può essere ridotta o accresciuta dalle politiche urbanistiche, e si può ottenere che una parte consistente di essa torni alla collettività – le cui decisioni e i cui investimenti la generano. Oggi, anziché proporsi di combattere l’appropriazione privata della rendita e ridurne il peso, la si considera (da parte di tutte le forze politiche dalla destra al centro ex sinistra) come un “motore dello sviluppo”. Ma la tendenza si può invertire, i danni del “briglia sciolta agli immobiliaristi” sono ormai evidenti.

La questione delle risorse

Collegato a questo tema ce n’è un altro che è stato evocato: la questione delle risorse. Ragionare sulle risorse è certamente necessario. Ma io non accetto che si dica “non possiamo fare i Peep, non possiamo espropriare le aree perché non ci sono risorse”. Non è vero. Le risorse ci sono per salvare le banche (e la cosa può avere una sua ragionevolezza), per realizzare opere inutili o assolutamente non prioritarie (pensiamo al ponte sullo stretto di Messina a livello nazionale, e al veneziano ponte di Calatrava a livello locale). Non è ammissibile che non ci siano per acquisire le aree necessarie per l’edilizia pubblica.

Ma veniamo al punto più importante delle conclusioni di un evento come questo bellissimo convegno (e ringrazio ancora molto tutti quelli che sono intervenuti, e la Camera del lavoro di Venezia che lo ha organizzato). Mi sembra che siano emersi temi da approfondire, con successive iniziative analoghe a questa, e azioni che si possono condurre.

I temi.

Oscar Mancini proponeva di lavorare nell’immediato, con ulteriori iniziative germinate da questo incontro, su due argomenti:

1. La casa, che è indubbiamente – oltre che un’emergenza – un nodo rilevante di quel complesso di temi che stanno all’interno di quello del diritto alla città. Quasi tutti gli interventi lo hanno ripreso, avanzando anche proposte interessanti (come quella di rilanciare la cooperazione a proprietà indivisa, come ricordava Pivanti). Nell’approfondire la questione abitativa, come qualsiasi altra questione, continueremo a non perdere di vista l’unitarietà delle questione urbana e delle politiche necessarie per ciascun suo aspetto.

2. I servizi pubblici, questione sollevata tra gli altri da Guietti, che costituisce un aspetto generalmente trascurato delle politiche urbane, e che invece è un tema centrale se si vuole che la città non sia una merce e che l’uguaglianze di tutti gli abitanti sia un requisito fondamentale da raggiungere. La battaglia contro la privatizzazione dell’acqua coglie uno dei settori che si vogliono sottrarre alle regole dei beni comuni, ma non è l’unico.

Le azioni.

Mi sembra che dagli interventi delle Camere del lavoro siano emerse esperienze di grande interesse, tutte ispirate a una visione nuova del sindacato. Un sindacato che si costituisce come cerniera tra il lavoro e gli abitanti della città e del territorio (Chiloiro). Un sindacato che utilizza i Consigli di zona e la Lega dei pensionati per conoscere il territorio, spiegarlo ai suoi abitanti, agire, mobilitare su di esso, senza timore di affrontare i temi caldi del rapporto tra popolazione indigena e immigrati (Pivanti, Alberini). Un sindacato che pretende di discutere i bilanci comunali e che si attrezza per spiegare ai cittadine quale truffa i governanti compiono quando fanno credere di regalare un nuovo ospedale e nascondono il prezzo che i cittadini pagheranno per la sua realizzazione (Castagna). Un sindacato che sa rivendicare la necessaria coerenza delle azioni sul territorio (Alboresi) e sa che “non c’è idea rifondativa della città se non sostenuta da un’idea di pianificazione contro la deregulation urbanistica” (Castronovi). Un sindacato che perciò non chiede di discutere il piano regolatore per dire la sua su questa o quest’altra previsione (come a Carpi), ma per capire a favore di chi è fatto, per quale tipo di sviluppo è disegnato, quali interessi serve e quali colpisce: perché, come ci ricordava Patassini, non bastano l’urbanistica e la pianificazione, servono la buona urbanistica e la buona pianificazione.

E mi sembra che sia stata giustamente sottolineata dalle esperienze la funzione educativa del lavoro compiuto sul territorio. L’informazione che viene ammannita ufficialmente è deforme, travisa la verità, nasconde le cose, gli interessi, le ricadute delle proposte di governo. Occorre far capire, negli interventi proposti e praticati nella città e nel territorio, chi paga e chi guadagna, come hanno fatto a Padova. Altrimenti chi combatte la mercificazione della città rimane in minoranza. Ferron raccontava che la vicenda della lotta contro la centrale termoelettrica di Montecchio Maggiore, che ha visto la CGIL promotrice del coinvolgimento di larghi strati della popolazione: quella esperienza – diceva - ha indotto i cittadini a cambiare lo sguardo verso il territorio, haa aiutato nel necessario coimpito di superare l’atteggiamento troppo diffuso, che dal fatalismo (“non si possono cambiare le cose”), passa alla delega (“tanto decidono loro”), e poi si trasforma in uno sterile mugugno.

Il primo obiettivo, immediato, è rendere noto il lavoro che abbiamo fatto, e quello che c’è dietro, che qui è emerso: il lavoro compiuto dalla Camere del lavoro della CGIL. Cominceremo a farlo con gli atti del convegno, che Chiloiro si è impegnato a pubblicare tempestivamente (non appena tutti avranno mandato il testo del loro intervento). Del resto, la pubblicazione degli atti e la circolazione dei suoi materiali è un modo per raggiungere l’obiettivo che lui stesso proponeva. “fare della CGIL un luogo di riflessione, verifica, critica, proposta per uscire dal neoliberismo, luogo positivo per vivere la cittadinanza in tutte le sue dimensioni”.

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