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Maurizio Ferron
La centrale termoelettrica di Montecchio Maggiore (Vi)
7 Gennaio 2009
2009 Città bene comune, vertenza europea
Intervento della Camera del lavoro di Vicenza al convegno “Città bene comune. Vertenza europea”, Venezia, 24 novembre 2008

Vicenza è diventata famosa negli ultimi due anni a causa della vicenda della nuova base militare USA all’aereoporto Dal Molin; una vicenda complicata e ancora aperta. I cittadini, i comitati, le associazioni che si battono per opporsi a questo progetto, anche se ora sono appoggiati finalmente dall’amministrazione comunale con il sindaco di centro sinistra, eletto quest’anno dopo due amministrazioni di centro destra, si trovano di fronte a forze ben più potenti e a poteri non sempre identificabili.

Questa vicenda è emblematica di come una questione locale assuma anche un valenza globale, anche perchè tocca direttamente ed ha posto sotto gli occhi di tutti diversi temi: quello della democrazia, prima di tutto, e del diritto dei cittadini di essere informati, conoscere e discutere le scelte che li riguardano, il rapporto tra i cittadini e le istituzioni, il tema della partecipazione e quindi ‘la Politica’, e il tema del consumo del territorio e dei beni comuni, la città, la tutela dell’ambiente ed il diritto alla salute, il tema della pace ecc. Certo è che questo progetto (meglio dire minaccia) che grava sulla città ha dato vita ad uno straordinario movimento di partecipazione e mobilitazione dei cittadini che ha già prodotto un cambiamento ed una maggiore consapevolezza, al di là di quale possa essere la conclusione.

C’è anche un altro aspetto che ci riguarda direttamente e cioè il ruolo attivo della CGIL ed il rapporto che si è creato tra la Camera del Lavoro e i comitati (il movimento) dei cittadini che si sono impegnati contro la costruzione della nuova base.

La vicenda della Centrale termoelettrica di Montecchio Maggiore

Volevo però parlare oggi di un’altra storia; una vertenza più piccola e limitata rispetto al ‘Dal Molin’, iniziata qualche anno prima e che ha avuto una conclusione positiva. Una storia che ha proposto esattamente le stesse caratteristiche e gli stessi temi che prima ho citato.

Inizia a novembre 2001; anche in questo caso era in carica il governo Berlusconi; in Regione Veneto c’era Galan e anche a Montecchio Maggiore era in carica un sindaco di centro destra (a cui è poi subentrato l’attuale sindaco di centro sinistra alle elezioni amministrative del 2004). Il governo aveva presentato il piano per accelerare la liberalizzazione e privatizzazione del mercato di produzione di energia elettrica, quello poi conosciuto come ‘Decreto Marzano’ (l’allora Ministro delle attività produttive) o ‘Decreto sblocca centrali’ del febbraio 2002, che avrebbe dovuto superare i tempi e i vincoli delle procedure di Valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione. A seguito di questo furono presentati in Italia centinaia di progetti di nuove centrali da parte di società private, ben al di là di un qualsiasi ipotetico fabbisogno energetico.

Apprendiamo da alcune fonti, nel mio caso dalla CGIL, che una società privata (Marubeni-Euganea Energia) ha presentato un progetto per la costruzione di una mega-centrale termoelettrica da 800 MW a Montecchio Maggiore. Anzi i progetti sono addirittura due perché ce ne un altro presentato da Ansaldo in un altro comune (Montorso), ma sempre ai confini di Montecchio Maggiore; progetto abbandonato già nel corso dei due anni successivi.

E qui il primo commento sul tema informazione e democrazia. Fino a quel momento non c’era stata nessuna informazione da parte dell’amministrazione comunale ne verso i cittadini ne verso il Consiglio benchè, come si è appreso più tardi, il sindaco avesse già avuto un incontro con i proponenti del progetto.

Ci ritroviamo una sera con un gruppo di amici e decidiamo subito di:

raccogliere quante più informazioni possibili per conoscere il progetto e ciò che sta avvenendo,

condividere il più possibile le informazioni e coinvolgere altre persone (amici, conoscenti…),

fare qualcosa insieme e non subire passivamente l’ennesimo scempio calato dall’alto.

Da quel momento in avanti abbiamo iniziato ad incontrarci regolarmente costituendoci, fin dai primi mesi successivi, in un coordinamento dei comitati che ha raggruppato e rappresentato i primi gruppi sorti spontaneamente a Montecchio Maggiore, in alcune frazioni di Arzignano, Montorso ecc. e alcune associazioni già presenti nei sedici comuni dell’area. Da allora, la nostra base operativa e luogo delle riunioni diventano i locali della parrocchia di Tezze di Arzignano, ai confini con Montecchio Maggiore, proprio vicino al luogo dove avrebbe dovuto sorgere il cantiere.

Il contesto territoriale

Per capire meglio occorre partire da una breve fotografia della realtà dell’Ovest vicentino che si identifica grosso modo con il distretto della Concia e con i 16 comuni aderenti ad un progetto di risanamento ambientale finanziato anche dalla UE (Progetto Giada), attivato proprio perché il territorio presenta già da tempo una situazione di squilibrio ambientale (superamento dei parametri di legge) e la necessità di ridurre gli impatti e le emissioni inquinanti soprattutto in acqua e aria.

Definito dal Piano territoriale di coordinamento provinciale di Vicenza, come un: “…territorio che ha conosciuto uno sviluppo caotico caratterizzato dalla quantità e diffusione degli insediamenti produttivi, con pesanti ripercussioni per le risorse ambientali, per la salute dei cittadini e per la sostenibilità complessiva dell'ambiente”. Una fotografia per altro ben descritta nel testo della mozione, presentata e votata quasi all’unanimità in Consiglio regionale il 30 luglio 2002, per respingere la costruzione della centrale termoelettrica, in cui è reso esplicito il grado di stress ambientale dell’Ovest Vicentino.

Anche in passato, proprio a partire da questa situazione, ci sono stati gruppi spontanei, associazioni, e anche forze politiche di sinistra, che si sono impegnati sui temi ambientali. Segno che i movimenti e la partecipazione che attivano, sono carsici e per questo possono anche riemergere quando sembrano spariti. Certo, spesso questo avviene purtroppo solo quando c’è un innesco, una ‘minaccia’, come in questo caso.

La Centrale termoelettrica, se realizzata, avrebbe avuto un impatto notevole per le caratteristiche proprie ma soprattutto per la situazione del contesto in cui si sarebbe collocata. Non sarebbe certo stato questo progetto a ‘rovinare’ un presunto paradiso naturale, perché il territorio, come dicevo, è già stato ampiamente compromesso, nei decenni passati, in nome dello sviluppo a tutti i costi e senza regole; ma certo rappresentava proprio il ‘simbolo’ di quel tipo di sviluppo.

I fatti

La storia si snoda durante quasi sei anni (il No definitivo arriva a fine settembre 2007). All’inizio non avevamo molta fiducia di riuscire a vincere una lotta contro forze ben più potenti, con appoggi politici ed in sostanza contro un progetto già deciso. Va detto però che via via che acquisivamo competenza e conoscenza e che sentivamo crescere l’appoggio dei cittadini, di forze sociali e amministrazioni, anche grazie ad un’opera costante di informazione, è cresciuta anche la fiducia e la determinazione.

In realtà sono stati sei anni di alti e bassi, un alternarsi di momenti di fiducia e di speranza a momenti di rabbia e preoccupazione.

Mesi di continue mosse e contromosse, come una partita a scacchi, con a volte il classico tentativo di chi ha potere di usare, a proprio vantaggio, tutte le relazioni e i passaggi stretti delle normative (un esempio può essere la riapertura dell’iter completo, dopo la presentazione del primo progetto, con altri due progetti modificati e presentati proprio a ridosso delle ferie di agosto per rendere complicata la presentazione di contro-osservazioni entro i termini).

Una partita, con da un lato i cittadini rappresentati dai comitati e associazioni e dall’altro la società privata, ed in mezzo una serie di altri soggetti che si sono schierati pro o contro ed altri ancora che hanno condotto un gioco estremamente ambiguo, sostenendo nel chiuso delle stanze il progetto della società privata e magari in pubblico dichiarare il sostegno ai cittadini.

Il percorso

Molti momenti significativi, come singoli passi fondamentali di un percorso che ci ha portato alla chiusura positiva della vertenza, penso ad esempio:

- alle varie assemblee pubbliche con la presenza di esperti da noi invitati, sempre molto partecipate ed in particolare la prima assemblea, ha dato il via alla protesta ad aprile 2002, con la presenza di un funzionario sindacale della CGIL Regionale e di un esponente di Medicina Democratica;

- alla raccolta di migliaia di firme, portate poi in Regione, affinché non venissero prese decisioni sulla testa e contro il parere dei cittadini

- al coinvolgimento dei consigli comunali, provinciale e regionale con l’adozione di ordini del giorno contrari alla realizzazione del progetto

- alla straordinaria partecipazione popolare alle due manifestazioni svoltesi a Montecchio Maggiore, ed in particolare la seconda egrande manifestazione nella serata del 25 settembre 2003 con la presenza di circa 20.000 persone.

E poi ancora la ‘calata’ a Venezia del 30 luglio 2002 (importante il sostegno organizzativo della CGIL), con 25 pulmann e circa 2000 persone, con striscioni preparati dalle varie contrade e con centinaia di cartelli con i ben noti simbolo e scritta, durante la quale i sindaci ed una delegazione dei comitati sono stati ricevuti dalla Giunta e dal Consiglio Regionale che ha poi votato una mozione, sopra riportata, per impegnare la Giunta a bocciare il progetto della centrale di Montecchio Maggiore. E il successivo incontro a Roma tra una delegazione dei comitati ed il Ministro delle Attività produttive.

Mi sembra utile sottolineare alcuni temi che hanno caratterizzato l’esperienza.

Un aspetto culturale:

Una prima battaglia abbiamo dovuto sostenerla sul piano culturale, nel rapporto con i cittadini, per riuscire a superare una sorta di atteggiamento caratterizzato da ‘fatalismo’ e ‘delega’ sempre presenti (salvo poi lamentarsi). Un atteggiamento che rivela però anche la difficoltà ad impegnarsi, a spendere qualcosa del proprio tempo, ad essere cittadini consapevoli che partecipano in prima persona; ben espresso nelle frasi: “Ormai hanno già deciso…”. “Cosa possiamo farci?...” ecc..

La seconda considerazione è che tutta la vicenda è stata anche una ‘grande scuola’, una esperienza formativa; soprattutto per noi, cioè per chi era più direttamente impegnato. Lo studio del progetto ci ha ‘costretto’ ad approfondire i temi e le caratteristiche anche tecniche, non solo dell’impianto in quanto tale, ma anche del contesto, cioè del nostro territorio, dei suoi insediamenti, delle sue caratteristiche, dei suoi limiti, dei suoi carichi inquinanti ecc. Ci ha costretto a ‘vedere’ e ‘leggere’ il territorio in cui viviamo e che sicuramente non conoscevamo in modo così approfondito; in fondo ci ha spinto anche ad ‘amarlo’ un po’ di più ed a sentircene responsabili.

Abbiamo dovuto imparare le normative e le leggi che regolano questi processi ed anche i meccanismi economici che li sottendono. Il tutto anche attraverso il confronto con esperti nei vari ambiti che abbiamo potuto conoscere e con cui abbiamo interloquito.

Abbiamo dimostrato che i cittadini possono saper tenere testa, sul livello di conoscenza tecnico/scientifica, anche a chi si crede depositario della cosiddetta “verità” scientifica. Un esempio di tutto questo è stato il dibattito in una TV locale in cui i portavoce dei comitati e l’assessore del comune di Arzignano, hanno ribattuto punto per punto alle false “verità” dei proponenti la centrale. I movimenti possono creare informazione e conoscenza scientifica.

La rete di relazioni

un altro aspetto importante, di questa ‘scuola’ è stato l’ambito delle relazioni, con una dinamica che potrei definire sia interna che esterna.

Interna, con il mettersi insieme di gruppi e persone più attive e disponibili nei vari comuni (il coordinamento dei comitati) ed esterna nel rapporto con i cittadini, attraverso un continuo impegno di informazione e di coinvolgimento ma anche con le forze politiche e sociali, le istituzioni

La logica è stata appunto quella di allargare il più possibile la rete di relazioni ed il consenso, confrontandoci con le varie forze sociali e sindacali del territorio, con le parrocchie, le categorie economiche, le amministrazioni locali, provinciale e regionale, con le forze politiche a tutti i livelli, anche quello nazionale, con i Ministeri competenti a livello nazionale, con vari esperti ecc.

La partecipazione straordinaria dei cittadini ed il loro sostegno ci hanno permesso di allargare progressivamente il fronte amministrativo, sociale, politico, che ci ha appoggiato; ma penso sia più corretto dire che le due cose si sono alimentate a vicenda.

Si sono schierati fin da subito con i comitati la CGIL, i parroci della zona, le associazioni di volontariato. Ma, gradualmente, già nei primi mesi successivi all’avvio, hanno appoggiato la protesta anche quasi tutte le amministrazioni locali e i Consigli Comunali, le altre forze sindacali e alcune associazioni di categoria (Coldiretti, il mandamenti locali dell’associazione Artigiani e dell’API…)

Avevamo invece contro l’Associazione Industriali di Vicenza (anche se alcuni imprenditori locali hanno dato l’appoggio ai comitati), e la Camera di Commercio. Con sullo sfondo l’atteggiamento, inizialmente, non ‘super partes’ di una TV locale di proprietà dell’Associazione industriali. TV che del resto ha avuto modo anche recentemente di distinguersi per lo stesso atteggiamento contro il movimento e i comitati NO DAL MOLIN.

Sul versante più propriamente politico ci sono state forze politiche locali che si sono schierate con i Comitati; alcune fin da subito (le forze di centro sinistra ed anche la Lega Nord). Altre invece, come Forza Italia, che con una vera e propria torsione a 180°, prima a favore del progetto (del resto la sede della società proponente era negli stessi locali della sede di FI a Vicenza) e poi, almeno ufficialmente, contro visto il forte rischio di perdere consensi.

La fantasia

Accanto alle classiche iniziative come le assemblee pubbliche o le manifestazioni, mi sembra utile sottolineare anche un altro aspetto e cioè quello della ‘fantasia’, o per usare un termine più di moda, della ‘creatività’, cercando sperimentare anche forme diverse, sempre con lo scopo di far arrivare il messaggio, di coinvolgere ed informare quante più persone possibile e di tener viva l’attenzione sul tema. Alcune delle iniziative che potrei citare sono ad esempio: le migliaia di bandiere bianche con il logo e la scritta NO ALLA CENTRALE appese nelle case del territorio; una ‘lezione’, tenuta da due portavoce dei comitati, ai ragazzi dell’istituto tecnico conciario di Arzignano; la preparazione di un nostro Carro per il carnevale sul tema con cui abbiamo sfilato nei vari comuni della zona; la spettacolare discesa in corda doppia dal campanile di Montecchio Maggiore, effettuata da due amici alpinisti che hanno srotolato un grandissimo striscione verticale con la scritta “NO ALLA CENTRALE per legittima difesa”, durante la manifestazione a Montecchio.

Oppure le decine e decine di e-mail e telefonate che abbiamo immediatamente attivato contro una TV locale per un suo servizio contro i comitati. Contestazione che ha dato vita alla tavola rotonda di riparazione con le due parti a confronto, di cui parlavo prima e, ovviamente, anche il sito internet.

Le motivazioni

C’è stata sicuramente, almeno per una parte di cittadini, soprattutto una preoccupazione ‘locale’, legata al non vedere peggiorare il proprio contesto; ma al fondo, almeno per una parte di noi, credo ci sia stata anche un’altra motivazione che è diventata via via più chiara e consapevole; cioè l’esigenza di fare qualcosa e di opporsi per contrastare la logica che vede poteri economici più o meno grandi che, in nome della realizzazione dei propri interessi privati, vedono il territorio solo come ‘risorsa’ da sfruttare e non esitano a sacrificare altri ‘interessi’ delle comunità locali che sono quelli, ad esempio, di non veder irrimediabilmente compromesso il proprio territorio, l’ambiente naturale e messa a rischio la salute e la qualità della vita.

Una logica che diventa evidente a livello locale quando vengono presentati progetti i cui effetti sono immediatamente percepibili da tutti i cittadini, ma che in generale è la stessa che sembra ormai governare fenomeni ben più ampi a livello globale.

Del resto la vicenda della Centrale Termoelettrica ha evidenziato come, forse qui più che in altre zone, si sia manifestato il punto di rottura dell’equilibrio tra sviluppo economico, consumo del territorio, sostenibilità ambientale e qualità del vivere.

Da parte dei cittadini, sembra essere cresciuta una maggiore consapevolezza, si sta sempre più manifestando il disagio di vivere in un ambiente stressato ed emerge la domanda di porre in atto azioni di risanamento e soprattutto la necessità di porre limiti.

In sintesi direi che l’esperienza fatta ha contribuito a cambiare un po’ lo ‘sguardo’ dei cittadini verso il territorio. Da luogo visto come un insieme di tanti piccoli spazi privati; anzi, il proprio piccolo spazio privato e per il resto uno spazio ‘anonimo’ a cui si resta pressoché indifferenti, ha iniziato ad essere riconosciuto (parafrasando il titolo del convegno di oggi) come un ‘bene comune’ che riguarda tutta la comunità.

Anche a fronte del percorso fatto e dell’esperienza e sensibilità maturate il coordinamento dei comitati anticentrale ha deciso di costituirsi formalmente, nel 2005, in associazione permanente “Per lo sviluppo e(ti)co-sostenibile dell'Ovest Vicentino”; dove il nome mette insieme sia la dimensione ecologica legata alla difesa dell’ambiente, sia quella sociale con una domanda di partecipazione e di democrazia.

L’associazione infatti, continua a riunirsi e ad occuparsi dei temi legati al territorio, alla tutela dell’ambiente, alla qualità della vita, ai rischi per la salute dei cittadini e più in generale alla necessità di ripensare il concetto di sviluppo con un nuovo equilibrio sia dal punto di vista sociale che dell’ambiente naturale e delle risorse, per non scaricare costi insostenibili sul futuro. Dal 2006 sono state organizzate assemblee pubbliche e incontri con gli amministratori locali ed esperti, sul tema dell’urbanistica e delle infrastrutture, dell’inquinamento atmosferico e del trattamento delle acque e fanghi del distretto conciario, sul trattamento dei rifiuti.

Va detto però, che a di là delle relazioni con gruppi ed associazioni in ambito locale, non c’è stato un ‘mettersi in rete’ con altri movimenti a livello più ampio, anche se una nostra delegazione ha partecipato ad un forum nazionale organizzato a Firenze nel 2004 che ha raggruppato i vari movimenti e comitati attivi in Italia sul tema dell’energia e dell’ambiente.

Infine un ultimo punto; come dicevo sopra, la partecipazione di molte persone alle assemblee informative, i dibattiti, le manifestazioni, i vari volantini ecc. hanno fatto emergere e crescere una maggiore consapevolezza nella comunità locale sui temi dell’ambiente, dell’inquinamento e della salute.

Una indagine effettuata nel 2007, da una società specializzata, su un campione di 1000 cittadini della valle del Chiampo ha posto come prima domanda: Qual è il problema più urgente del territorio in cui vive?” Le risposte evidenziano come i 2/3 dei cittadini mettano al primo posto: inquinamento, rovina del paesaggio, traffico. Mentre è citato da circa il 10% il problema della criminalità, dei servizi sanitari e della disoccupazione.

Da tener conto che in zona c’è una significativa presenza di cittadini stranieri con punte che superano il 20% in qualche comune e c’è una forte presenza e propaganda della Lega Nord sul tema della sicurezza. Aggiungo che, a livello Veneto, sempre secondo la società che ha effettuato l’indagine, al primo posto viene citato il problema della criminalità e sicurezza.

Le iniziative e le battaglie attorno ai temi concreti del territorio, dell’ambiente e della qualità della vita possono cambiare anche la cosiddetta ‘percezione’ dei cittadini rispetto ai problemi e fanno emergere domande che possono aiutare a cambiare le priorità su cui si fonda il consenso politico.

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