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Paolo Rumiz
Fango, veleni e colate di cemento così muore il fiume di D´Annunzio
21 Dicembre 2008
Articoli del 2008
C'è chi si accorge che senza pianificazione il territorio si disfa e uccide. Ma chi deve agire pensa ad altro. La Repubblica, 21 dicembre 2008

L’orrore comincia subito, dopo l’incanto delle risorgive di Popoli, trasparenti tra i salici. È lo sposalizio con i veleni stoccati per un secolo dalla Montedison ai piedi del Gran Sasso, lì dove emerse la statua del guerriero italico di Capestrano. Roba micidiale, tipo Marghera, che per anni ha inquinato l’acquedotto di Pescara e per mesi è stata nascosta agli abruzzesi. Il terreno doveva essere messo in sicurezza, ma è ancora lì, sotto la pioggia d’autunno. In alto, immacolate di neve, Maiella e Gran Sasso. Sotto, un fiume che muore. Trote malate, boccheggianti, coperte di piaghe. Le puoi quasi prendere con le mani. Ma il peggio arriva dopo, quando la gola s’allarga. Un intrico di strade, viadotti, parcheggi, cave, centri commerciali. Il Pescara diventa uno zombie, le sponde un colabrodo, la valle un Bronx. Rosciano è in allarme: è prevista una discarica di materiali inerti, in gestione alla famiglia Bellìa, siciliana, appena colpita da arresti per traffico di rifiuti illeciti. L’idea è di chi ha progettato un supermercato poco a valle, sul fiume. «Vada - mi dicono - è grande come una portaerei. Si chiama Megalò. Ma - ghignano - noi lo chiamiamo... Regalò».

Megalò, ai piedi di Chieti, va oltre l’immaginazione. Enorme, lussuoso, con commesse-veline e guardiani in completo scuro. È il più grande dell’Italia centrale. Una luccicante astronave del consumo dove si celebra la fine della cultura appenninica. Ma lo stupefacente è dove l’hanno costruito: nel mezzo di uno spazio già inondato da metri d’acqua nel ‘92. Il fiume ribolle, a soli cento metri. Chiedo se non c’è rischio e mi spiegano di no. C’è l’argine appena fatto, alto undici metri sul letto del Pescara.

Vado a vedere. Una scarpata di pietra ha ingabbiato la corrente e la golena superstite è stata attrezzata con parcheggi, lastroni in cemento e sentieri in ghiaia. Il tutto decorato con alberelli (stitici), un laghetto (vuoto), qualche panchina (già distrutta dai vandali) e pannelli (illeggibili) a gloria di transumanze morte e sepolte. Intorno, piloni e scavalco di superstrade. Persone: zero. Fango: ovunque. Un cartello corona il degrado. C’è scritto: «Parco fluviale». Anzi, «Parco di riqualificazione urbana per lo sviluppo sostenibile del territorio». Meno male. Non occorre sapere molto di fiumi per capire che quel tipo d’argine è un acceleratore che toglie ogni freno all’acqua in picchiata su Pescara. L’area è bassa, una di quelle tipiche «casse di espansione» dove in caso di piena si lascia che il fiume dilaghi per non impazzire a valle. Non ci posso credere. Cerco nel sito della regione Abruzzo. C’è una mappa del fiume Pescara al 25 mila, con le zone a massimo rischio di esondazione (R4) segnate in blu. Megalò sorge su una di queste. Un posto inedificabile, dove i terreni non costano niente. Forse è per questo che lo chiamano Regalò. Possibile che abbiano dato una concessione edilizia in un posto simile? Dopo la tragedia di Sarno la legge lo vieta. Invece sì, l’hanno data. Prima con i timbri della regione di centrodestra, poi - due anni fa - con l’inaugurazione in pompa magna del centrosinistra, Del Turco in prima fila. Continuità perfetta.

Piove di nuovo, cielo giallo monsonico. Scendo a valle, dove la mappa indica un’altra zona blu. Una spianata agricola, l’ultima cassa di espansione del fiume. Inedificabile anche quella. Ma nel paese accanto, a Villanova, mi avvertono che anche lì sorgerà un ipermercato. Di più: una città commerciale, con un autodromo e mega-alberghi. Una cosa immensa, mai vista in Italia, grande come la somma di tutti gli ipermercati già costruiti in zona. La domanda è già approdata alla commissione ambiente. Anche il nome è già pronto: «Grand Prix One».

Leggo su internet: un milione di metri quadrati, 1800 addetti, una «magica combinazione di strutture ricettive, espositive, commerciali e (sic) esperienziali». Disneyland e Imola messe insieme. A che serve, in una regione che ha già la più alta densità europea di ipermercati? Chi saranno i clienti? E chi ha i soldi per questo immane investimento? Pare che l’ok della Regione non sia ancora arrivato solo per via della campagna elettorale. Ma ora tutto dovrebbe sbloccarsi. Megalò ha aperto la strada.

Scendo ancora verso Pescara, ma non c’è pace per il fiume. Ruspe s’accaniscono su un’ansa, poco sotto un altro ipermercato, nome «Auchan Mall». La riva è stata sostituita da gabbioni in pietra, un querceto è stato spianato. Intorno, cani liberi. Un disastro. Chiedo che roba è. Risposta: centraline idroelettriche. Faccio un po’ di conti. Il dislivello è minimo. Insieme, i due sbarramenti produrranno meno di una sola pala eolica. Cerco notizie su un giornale abruzzese «on line», e la conferma arriva. Quattro megawatt e mezzo contro cinque di un mulino a vento. Che senso ha? Non c’è risposta. La gente dice: «Addumannètele a lu commissarie». Quale commissario? Quello che governa le acque del bacino, nominato da due anni. Ma cosa fa? Perché non vede tutto questo? C’è il Pescara che ribolle, gonfio di limo smosso dai bulldozer, picchia come un golem sulle porte della città. Pare la vigilia dell’alluvione del ‘92, quando spinse in mare 300 pescherecci e decine di automobili, dopo aver sfondato gli sbarramenti di alberi accumulati. Nel 1888, quando si scatenò il peggio, l’acqua superò i tetti delle case portandosi via la gente che s’era arrampicata lassù.

Pescara. Nel Palazzo risposte guardinghe e facce scure. Ma qualcosa viene a galla: per le centraline i lavori sono iniziati senza valutazione ambientale. Sembra impossibile ma è così. Per compensare l’invasione cementizia a monte, «lu commissarie» costruirà a monte nuove casse di espansione, artificiali. Un’altra manomissione per compensare una manomissione. A spese di chi? Del contribuente. E intanto mi illustrano un «piano di navigabilità» del Pescara, con tanto di chiuse tipo Panama, piste ciclabili e aree picnic. Che intanto il fiume sia scomparso, non preoccupa nessuno.

Il commissario dunque. Nome Adriano, cognome Goio, ex sindaco di Trento. Ha pieni poteri sul fiume Pescara e affluenti. Regna su un terzo delle acque abruzzesi, una delle regioni più ricche di oro blu. Chi l’ha voluto? Ottaviano Del Turco, l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia che, eletto governatore, ha chiesto al governo - allora di centrodestra - di dichiarare un non meglio specificato stato di «emergenza socio-economico-sanitaria» per il degrado del fiume Aterno-Pescara. Tutto comincia allora.

È l’inverno del 2006 e l’idea piace al Cavaliere, che pure sta per decadere causa elezioni anticipate. Gli piace al punto che la approva come ordinanza, all’ultimo minuto della sua permanenza a Palazzo Chigi, la sera del 9 marzo 2006. Il provvedimento è sul sito del consiglio dei ministri, porta il numero 3504, l’ultimissimo del governo. Da nessuna parte si chiarisce il senso dell’emergenza. Chiarissima, viceversa, la fretta. Come per un debito d’onore.

Oggi si vocifera di un passaggio di Del Turco al Pdl? Roba vecchia, ti dicono a Pescara. Tra l’orso marsicano e Berlusconi l’idillio cova da tre anni. I fiumi non mentono. Difatti il commissario - confermato dal successivo governo di sinistra - ha carta bianca sul territorio. Può fare a meno di valutazioni di impatto ambientale e derogare dalla legislazione italiana ed europea. Oggi risponde a una sola persona: Silvio Berlusconi, che diventa monarca delle acque d’Abruzzo.

Sembra un’eccezione necessaria ad adeguare rapidamente l’alveo ai parametri della Ue, ma non è così. «Non posso interferire sull’urbanistica degli enti pubblici» ci dichiara Goio. «A quei supermercati avrei dato parere negativo, ma non ho competenza per bloccare nulla. Sarebbe come se chiedessi ai giudici di liberare il sindaco di Pescara». Quando la gente gli ha chiesto di intervenire almeno sui veleni Montedison, Goio ha obiettato che la cosa non rientrava nei suoi compiti. Ed era vero: per coprire anche quell’emergenza gli hanno dovuto dare una seconda nomina a commissario. Ma anche così sulla Marghera del Centro-Sud non arriva ombra di contromisura. Contro la Montedison (e i privati in generale) i poteri assoluti non contano improvvisamente nulla. Niente messa in sicurezza, niente carotaggi, niente piani di bonifica. E intanto il fiume è in apnea.

Povero Abruzzo, il fango avanza e l’ultimo scandalo è solo una conferma del tramonto di un’isola felice. Da tempo mafia e camorra hanno messo le mani sul territorio, col business dell’edilizia e dei rifiuti. C’è l’affarone dell’acqua da imbottigliare per una manciata di euro; e ci sono i «regali» alla grande distribuzione, a spese dei fiumi e della cultura locale. «Qui - ti dicono - un pastore è asfissiato di divieti, ma un palazzinaro fa ciò che vuole».

Il Pescara arriva tumefatto al mare e non trova un metro libero per uscire al largo. L’ultimo pezzo di arenile con pineta, in comune di Francavilla, lo stanno cancellando ora, con una linea Maginot di appartamenti. Ma il bello deve ancora venire, con la Nuova Pescara di cemento che l’imprenditore Carlo Toto - implicato nell’ultima storiaccia - s’appresta a costruire a monte di quella esistente. Il mare non c’è più, le dune sono sparite, i veleni avanzano, il fiume è diventato una belva selvaggia, ma pochi protestano. Gli abruzzesi sono abituati a tacere da secoli. La loro è una «regione camomilla», utilmente nascosta in una zona d’ombra dei media. Il dossier di un’azienda multinazionale la descrive così: «facilità di penetrazione, costi d’insediamento minimi, zero conflittualità sociale». Soprattutto, «poche obiezioni ecologiche». Sembra il Congo, invece è Italia.

Del Turco li ha emarginati tutti, i rompiscatole ambientalisti. Il direttore del parco del Gran Sasso, quello del parco del Sirente, i consulenti universitari e i dirigenti attenti alle regole. Nelle liste elettorali il Pd ha completato l’opera, con i risultati che si vedono. Ora, la melma degli ultimi arresti. Piove governo ladro, dicono gli italiani. Forse non è mai stato così vero come da queste parti.

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