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Toni Jop
Enigma MoSE
14 Dicembre 2008
MoSE
Toni Jop è veneziano, e l’Unità è diventato un bel giornale. Forse per questo leggiamo finalmente sulla stampa nazionale (il 14 dicembre 2008) informazioni equilibrate sulla Lagunae sulla sua distruzione a opera del MoSE. Con postille

Si parlava d’acqua, di acque alte, di grandi progetti, di immensi cantieri, di spese anche più grandi, e si è finiti a parlar d’uccelli. Capita che si divaghi. Per esempio, Al Capone lo hanno beccato, negli Stati Uniti, non perché aveva rubato o ucciso ma perché non aveva pagato le tasse. Così, a Venezia, mentre sembra che nulla e nessuno possa mettere i bastoni tra le ruote alla costruzione del semibiblico «Mose» contro le acque alte, ecco che si attende trepidi il responso di una commissione europea invitata a pronunciarsi sul tema: tutto quel baccano che stanno facendo per il Mose alle bocche di porto della laguna veneta sta davvero sballando le consuetudini degli uccelli del luogo o di quelli semplicemente in transito? Sembra una barzelletta, ma non lo è; lo ha capito perfino il ministro Brunetta che si è sentito in obbligo di scrivere una lettera a un quotidiano per dire che questa storia degli uccelli sfrattati gli sembra una battuta che non fa ridere. E che, ovviamente, è in gioco ben di più; quindi, si facessero da parte con queste obiezioni i nemici del Mose, i guastatori, quelli del partito del «no», alla salvaguardia della Serenissima ci pensano loro, quelli del «sì». Filerebbe, se in quella «fastidiosa» barricata di «resistenti» non fosse possibile riconoscere: il sindaco, Massimo Cacciari, la giunta, la maggioranza di centrosinistra, tutte le organizzazioni ambientaliste, una serie di autorevoli scienziati, i «no global», una buona parte della popolazione ancora sensibile ai problemi di un territorio che non si esaurisce tra i marmi di piazza San Marco e un pugno di botteghe.

Brunetta e i suoi colleghi di governo se la prendono con questo fronte, lo incalzano; in realtà si divertono a sparare sulla Croce Rossa: è il fronte che ha perso la partita, i giochi per loro sono chiusi, una stagione se n’è andata, le cose marciano in direzione contraria ai desideri di una cultura oggi perdente ma antica e degna.

Il sindaco, per esempio, sembra furibondo: «Sono stato sconfitto», sentenzia Cacciari fuori da ogni garbo politico. E spiega perché: «Bisognava affrontare la questione con una logica di sistema che prevedesse anche degli interventi alle bocche di porto, non solo quelli. Invece, si è data priorità assoluta a quel provvedimento di difesa. Ci siamo battuti affinché qualunque cosa messa in opera in laguna fosse sottoposta ai criteri di sperimentalità e di reversibilità. Niente da fare». E adesso che si fa? «Per quanto mi riguarda, stando così le cose, sono il primo a volere che il Mose sia fatto presto».

Lo si capisce. Però su questi temi eccoci di fronte a un paio di eventi che in qualche modo marcano un’epoca: la vicenda veneziana dimostra da un lato come oggi l’autonomia locale conti meno di zero anche quando si debba definire l’assetto territoriale, la sua difesa, lo sviluppo. In secondo luogo, la sconfitta di cui parla Cacciari è prima di tutto culturale e dice molto di quali siano i pensieri guida di questa Italia: non è più il tempo dell’approccio organico ai problemi, passino invece gli interventi e i rimedi a colpi di scure, quelli che tagliano la testa al toro. Riduzionismo e spettacolarizzazione, anche qui al potere, «con il contributo di destra e sinistra - commenta il sindaco - nel quadro di un imbarbarimento totale della dimensione della politica». Cacciari, ma non solo lui a Venezia, non dimentica che è stato proprio un governo di centrosinistra, e in particolare Antonio Di Pietro, allora ministro ai Lavori Pubblici, a dare la stura definitiva al Mose e alla contestata procedura del «taglione»: c’è l’acqua alta? Chiudi le bocche di porto e fregatene dell’ecosistema squilibrato e sempre meno in grado di tamponare da sé il fenomeno.

C’è chi, pur sullo stesso fronte, lamenta che il Comune di Venezia si sia mosso tardi sulla questione. È il professor Gherardo Ortalli, di Italia Nostra, molto ascoltato in città. «Non siamo cassandre: cerchiamo solo di recuperare ragionevolezza al corso delle cose. Quello che la costruzione del Mose ha fin qui prodotto è un’alterazione fortissima dell’equilibrio della laguna. Stiamo marciando a tappe forzate verso l’artificializzazione di ogni soluzione, molto costosa e molto irreversibile. Mentre lo Stato si ritira dalle sue prerogative, il Consorzio amministra un monopolio e nessuno e niente è in grado di dire se quello che sta facendo è giusto o sbagliato».

Allora, sentiamo il Consorzio, mano e mente del progetto, ma qui ti rispondono che il solo soggetto in grado di dare risposte autorevoli è il Magistrato alle acque. Istituto antico, un tempo potentissimo, ora meno, emanazione dello Stato, da poco diretto da Patrizio Cuccioletta mandato in laguna dal ministro Matteoli. Qualche settimana fa, in un’intervista rilasciata ad Alberto Vitucci della Nuova Venezia, Cuccioletta aveva affermato e non aveva poi smentito che «un monitoraggio oggi non avrebbe senso, le opere ancora non ci sono». Monitoraggio sta per controllo continuo. Ora, invece, ci ha detto che si seguono con attenzione gli effetti delle opere del Mose sull’ecosistema ma tuttavia, per quanto riguarda la variazione della velocità delle correnti sostiene che «bisognerà vedere cosa accade a lavori finiti».

La velocità delle correnti è fondamentale: scavano il fango e lo portano via, possono rendere impossibile la navigazione, decidono in quanto tempo la laguna può riempirsi d’acqua, decidono in pratica se la città va sotto. Auguri. Il Magistrato alle Acque è un entusiasta: «Da fuori ci ammirano per quello che stiamo facendo, le obiezioni appartengono a un dibattito francamente provinciale». Ah sì? E il fatto che esista ancora un Canale dei Petroli che con le sue profondità e la sua linearità sta spianando la laguna centrale mentre si chiudono le bocche di porto? «È vero, ma è un altro problema».

Magari lo fosse. Intanto, alle bocche di porto il cemento si sostituisce alle barene, crescono muraglioni impressionanti e piattaforme che devastano l’ordine naturale delle cose. E gli uccelli se ne vanno altrove.

L’EQUILIBRIO DELLA LAGUNA

CHE CHI TOCCA MUORE

L’accusa alle aziende di Marghera: hanno sottratto milioni di tonnellate di acqua sotto la piattaforma su cui poggia Venezia provocandone l’abbassamento. Poi è stato scavato il canale dei petroli, una specie di aspira-tutto gigante che sta livellando la laguna centrale

Conviene riepilogare, sennò non si capisce niente di questa matassa. Cominciando dalla laguna, che non è un catino pieno d’acqua, ma un sistema molto complesso in perenne movimento, elastico, come una spugna, e come una spugna ricco - sempre meno da qualche decennio a questa parte - di resistenze interne (bassi fondali, velme, barene, canali tortuosi) che frenano la velocità dell’acqua che penetra in laguna dall’alto Adriatico.

L’acqua alta non è che un fenomeno socialmente rilevante giusto a Venezia, strana città che se ne sta da millenni nell’unica laguna urbanizzata della terra. La laguna, tutte le lagune, vanno in una direzione: sono destinate a interrarsi. Il corso d’acqua dolce che le ha create, col tempo le cancella e le copre di terra. Così i veneziani di un tempo, approfittando dell’assenza di Brunetta, decisero di deviare dalla laguna la foce del fiume Brenta per impedire proprio questa sorte naturale. Ma, tolto di mezzo il fiume, ecco che il destino della laguna si inclina in senso opposto: senza apporto continuo di sabbia, governa l’erosione progressiva di quel sistema di resistenze alle escursioni di marea, e di conseguenza tende a trasformarsi in un braccio di mare. Questo è il pendolo naturale delle cose.

È importante saperlo, perché questa consapevolezza è stata, con successo, il fondamento dell’azione politica sul territorio della Serenissima Repubblica. Per intendersi: tagliavano la testa a chiunque avesse modificato anche in minima parte la libera circolazione delle acque. Pena di morte a parte: erano pazzi o sapevano quel che facevano? Avrebbero comunque - per il piacere della cronaca - tagliato la testa ai responsabili dei seguenti interventi: 1) nel corso degli ultimi cento anni, è stato sottratto alla laguna un terzo della sua superficie, abbassando drasticamente i tempi di invaso; 2)le grandi aziende di Porto Marghera hanno munto milioni di tonnellate d’acqua sotto la piattaforma su cui poggia Venezia provocandone l’abbassamento; 3) è stato scavato il canale dei petroli, profondissimo e lineare: una specie di aspira-tutto gigante che sta livellando la laguna centrale, ossia cancellando rapidamente quelle famose resistenze.

Fermiamoci qui. Con una spiegazione supplementare: il sistema delle resistenze opera facendo in modo che in laguna, a Venezia, ci sia sempre un livello d’acqua inferiore rispetto a quello che, nello stesso istante, si registra davanti ai lidi. Più lungo, in virtù di queste resistenze, è il tempo di invaso, meno acqua alta vedremo in Piazza San Marco. Fatte salve le occasioni eccezionali, le inondazioni. Ecco spiegata l’apparente cattiveria dei veneziani con chi sgarrava in questa materia e insieme la tenacia del fronte che si è opposto, e si oppone, al «Mose», accusato di pensare alle acque alte a Venezia fregandosene del suo ecosistema, in pratica applicando tre enormi rubinetti alle bocche di porto che mettono la laguna in comunicazione con l’alto Adriatico.

Una volta piazzati, resteranno dove sono, salta il concetto prudente della reversibilità. L’intero progetto, dicono al Consorzio di imprese che se ne sta occupando, costerà quattro miliardi e trecento milioni di euro. Ne hanno già spesi circa la metà e si vedono.

Postille

(1) Massimo Cacciari dice: «Bisognava affrontare la questione con una logica di sistema che prevedesse anche degli interventi alle bocche di porto, non solo quelli. Invece, si è data priorità assoluta a quel provvedimento di difesa. Ci siamo battuti affinché qualunque cosa messa in opera in laguna fosse sottoposta ai criteri di sperimentalità e di reversibilità. Niente da fare». Dimentica di dire che quel modo di affrontare la questione è previsto da una legge dello Stato, la quale ha recuperato il vecchio principio della Repubblica Serenissima secondo il quale ogni intervento il Laguna deve essere “graduale, sperimentale, reversibile”. La legge 29 novembre 1984, n.798 stabilisce che gli obiettivi degli interventi sulla Laguna devono essere «volti al riequilibrio della laguna, all’arresto e all’inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree» (vedi l’articolo di Luigi Scano su eddyburg La nascita e i primi anni del Consorzio Venezia Nuova).

Un’altra legge dello Stato, la legge 24 dicembre 1993, n.527, prescrive che "il Governo è delegato ad emanare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, diretti a razionalizzare l'attuazione degli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia con l'osservanza di princìpi e criteri che dovevano comportare la restituzione alla Regione, alla provincia e ai comuni delle competenze inizialmente affuidate al consorzio di imprese. Nessuno ne fece nulla. Come osservava Luigi Scano, l’Italia è un paese davvero singolare. «Se un impiegatucolo dell'anagrafe comunale si rifiuta di consegnarmi il certificato di nascita commette il reato di omissione di atti di ufficio, ed è passibile delle sanzioni di cui al relativo articolo del codice penale. Se un generale compie atti contrari alla volontà espressa dal Governo, o non provvede a quanto dallo stesso Governo ordinatogli, è definito (anche dai media) "fellone", ed è passibile delle sanzioni, variabili in rapporto alle diverse fattispeci concrete, di cui ai relativi articoli del codice penale militare (di pace o di guerra). E se un Ministro (cioé un componente di quello che il notorio estremista Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu ha definito come "esecutivo") omette di "eseguire" ciò che è stato deciso dal Parlamento (cioè da quello che lo stesso pericoloso sovversivo francese ha chiamato "potere rappresentativo", della volontà popolare democraticamente espressasi)? Si "lascia perdere"? si "chiude un occhio"? questo sì a me pare porre il problema "necessario e urgente" di "un approfondimento concettuale su cosa sia la democrazia in un Paese civile"!» (vedi l’articolo di Luigi Scano per eddyburg , Piccole verità e grandi bugie dell'ex ministro Lunardi)

(2) Gherardo Ortalli, il benemerito dirigente di Italia Nostra veneziana, sbaglia quando dice «Non siamo cassandre». Come quelli che denunciano l’inutilità e il danno del MoSE Cassandra, nelle sue profezie, vedeva il futuro: aveva ragione, le sue profezie erano verità anticipate nel tempo.

(3) La storia della laguna di venezia e del MoSE è davvero lunga e complessa. Jop la racconta bene, ma con la necessaria sintesi. Chi ne vuole sapere di più può rovistare nella ricchissima documentazione raccolta su eddyburg, in questa cartella /article/archive/178/ dedicata alla Laguna e al MoSE. Lì si scopriranno magagne, illegittimità, sopraffazioni, disattenzioni e miopie che hanno caratterizzato l’atteggiamento di quasi tutte le autorità che si sono cimentate con il problema. Ancora oggi, nessuno sa quanto precisamente costerà il funzionamento e la manutenzione del complesso sistema di regolazione, e chi ne pagherà le spese.

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