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Gabriele Polo
Aspettando il futuro
26 Ottobre 2008
Articoli del 2008
Come spendere politicamente il popolo di sinistra che ha affollato il comizio di Veltroni? That is the question. Il manifesto, 26 ottobre 2008

«Visto quanti siamo? Se la prossima volta vinciamo ci tocca scappare in Svizzera». In questa frase - un po' scherzosa, ma neanche tanto - raccolta al Circo Massimo ci sono tutti i problemi del Pd che ieri ha rinunciato all'idea dell'autosufficienza: la soddisfazione per il successo numerico e la vaghezza della proposta politica, l'aver raccolto (almeno ieri) il gran bisogno di opposizione che c'è nel paese che ha dato vita a una bella giornata di democrazia e la grande difficoltà di renderla concreta, quell'opposizione. E l'incertezza per il futuro. Perché dietro all'orgoglio veltroniano dell'Italia migliore e possibile c'è una proposta che resta al di sotto della sfida necessaria, non all'altezza della terribile ricetta che il nazional-populismo berlusconiano getta addosso a una realtà che la recessione montante può rendere spettrale.

Walter Veltroni e tutto il gruppo dirigente del Pd possono essere soddisfatti (per un giorno), ma questo successo li carica di responsabilità e si devono alquanto preoccupare per il futuro prossimo. Perché se è pacifico che non si va da nessuna parte senza chi è sceso in piazza ieri a Roma, molti dubbi ci sono sulla ricetta che viene proposta a questo «popolo». È giusto, naturale e doveroso denunciare tutti i guasti causati ogni giorno dal governo in carica, fino a esplicitarne il carattere eversivo. Ma individuarne il contrappeso in un progetto nazional-riformista offre scarse possibilità di soluzione.

Di fronte al degrado politico, sociale e culturale rappresentato «benissimo» dal governo di centro-destra, proporre la serenità di un'azione parlamentare da «tempi normali» sembra inadeguato; appellarsi alla responsabilità di un'altra Italia in attesa di tempi migliori per renderla diversa rischia di gettare al vento le energie di quanti si sono ritrovati per cercare al più presto una via d'uscita. L'evidente contraddizione tra la forza numerica della manifestazione di ieri (sicuramente più radicale di chi parlava dal palco) e la debolezza del suo sbocco politico era del tutto evidente, ad esempio, sul tema della formazione: a un movimento di massa - del tutto nuovo e originale - che fa saltare i nervi al potentissimo presidente del consiglio, è stato detto «vi appoggeremo nelle vostre lotte», ma poi è stato proposto di partecipare a un confronto politico - magari anche aspro - tra maggioranza e minoranza. Un confronto reso impossibile in partenza dalla violenza di chi sta al governo.

Che faranno ora le migliaia di persone convenute al Circo Massimo? Questa è la vera domanda cui dovrebbe rispondere chi li ha chiamati a raccolta. Perché il 25 ottobre non passi alla storia come una semplice prova di «esistenza in vita», o la testimonianza di una generosa volontà che può solamente attendere tempi migliori. Se verranno, tra quattro anni e mezzo, mentre «quello» non retrocede di un centimetro.

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