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“Meno ambiente, più mercato” chiede l’Italia contro l’Europa
19 Ottobre 2008
Articoli del 2008
Berlusconi, Prestigiacomo, Brunetta, Schifani: quattro artefici della vergogna italiana, in due articoli(di Rina Gagliardi e Sara Volandri) da Liberazione, 19 ottobre 2008

Ambiente, l'Italia contro l'Europa:

«Salvare la terra è fuori mercato»

di Rina Gagliardi

Secondo l'ultimo rapporto dell'"Arctic Report Card", redatto annualmente dai maggiori climatologi di dieci Paesi, il Polo Nord si sta sciogliendo a velocità crescente - intanto quest'autunno ha registrato una temperatura superiore di cinque gradi a quella dell'anno scorso. Una "notiziola" di un certo interesse, tra un delitto e l'altro, tra un'uscita di Brunetta e l'altra. Eppure, diciamoci la verità, la sensibilità di massa all'ambiente e al rischio di una (non lontanissima) catastrofe climatica è oggi, in Italia, in caduta libera - decenni di "pensiero unico" neoliberista hanno prodotto anche questa specifica, drammatica regressione. Alle classi dominanti, ad una imprenditoria dedita, nel migliore dei casi, al profitto a breve, dell'ambiente, del destino della specie umana, della sorte delle generazioni future, non gliene importa nulla - e comunque non ci crede, vuoi per indifferenza vuoi per cecità vuoi per abissale ignoranza. In più, ci si mette, se così si può dire, la crisi dei mercati finanziari e anzi dell'economia capitalistica: invece di usare l'occasione - quasi strepitosa - per rimettere in discussione il modello di sviluppo che ha generato la crisi, o almeno per cominciare a rifletterci su, si fa l'esatto opposto. Se ne trae la conclusione che, ora, è il momento di rilanciarlo "alla grande", quel modello, con generosi e pochissimo liberisti aiuti di Stato.

Diamine, come dice Renato Schifani, vi sembra il caso di dilettarsi con questi "lussi" del rispetto dell'ambiente, quando domina l'emergenza economica? Così la seconda carica dello Stato si fa sberleffo della prima, Giorgio Napolitano, che un momento prima aveva provato a spezzare una pur timida lancia a favore dell'ecologia. Così, c'è da giurarci, cresce nel senso comune la convinzione che quelle dell'Europa son tutte balle, sciocchezze, ubbìe - "politica", come ormai viene spregiativamente definito tutto ciò che esula dall'apparenza immediata, tutto ciò che va oltre l'istantaneità del presente.. Non è forse vero, come scriveva ieri il Finacial Times, che il governo Berlusconi gode di un consenso massiccio e di un sostegno da parte di alcuni media di natura che l'autorevole quotidiano conservatore chiama "nordcoreano"?

Detto tutto questo, però, resta abbastanza incredibile quel che sta succedendo in questi giorni, nello scontro - durissimo - che oppone il governo italiano all'Europa. Non era forse mai accaduto che questo Paese fosse rappresentato, fuori dai confini nazionali, da posizioni tanto scandalose: ora, la proposta italiana, che certo troverà il caloroso sostengo della (sola) Polonia, è addirittura, quello di rinviare sine die - di un anno, di quindici mesi, di due anni - ogni applicazione del piano "20-20-20" (la riduzione entro il 2020 del 20 per cento delle emissioni di biossido carbonio e la contestuale espansione al 20 per cento delle fonti di energia rinnovabile). Non era mai successo, forse, che un Governo fosse ridotto a puro tappetino delle "rivendicazioni" di Confindustria - anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha il suo da fare con l'opposizione della Bdi (la Confindustria tedesca), ma regge lo scontro con dignità. Non si era mai visto un ministro, anzi una ministra dell'ambiente così spudoratamente contro l'ambiente, come appare oggi la signora Prestigiacomo (per altro, i ministri "contro" sono una specialità di questo Governo: la Gelmini non è forse all'opera, alacremente, contro la scuola? Sacconi non sta pianificando la distruzione di quel che resta del Welfare? Angelino Alfano non è un avvocato rampante che ce l'ha a morte con la giustizia?).

In verità, sta succedendo qualcosa che va perfino oltre la pur cruciale questione ambientale: la esplicita, arrogante, quasi trasparente rivendicazione dei disvalori. Abituati come eravamo all'ipocrisia (e anche all'equilibrio) democristiano, non abbiamo visto (in tempo) la trasmutazione regressiva delle nuove "classi dirigenti": ora, nel momento storico che stanno vivendo, non si nascondono più. Proclamano apertamente la disuguaglianza, sociale e giuridica. Appoggiano senza infingimenti banchieri e industriali. E così via. E affermano, appunto, che l'emergenza ambientale non esiste - e se per caso esiste, è irrilevante, o è l'invenzione di qualche scienziato pazzo, in cerca di pubblicità. In altre epoche avrebbero detto che è tutto nasce da un complotto comunista - adesso, con Barroso e Sarkozy alla guida della Ue, usano altri e più pedestri argomenti. Quando un ministro che di ambiente visibilmente non sa nulla, come Renato Brunetta, arriva a dichiarare che "il piano Ue è una follia", quando si snocciolano cifre spropositate per dimostrare che inquinare meno (pochissimo meno di quanto oggi si inquina, in un Paese, il nostro, che viola da anni i mitissimi protocolli di Tokyo e paga per questo multe salatissime) uccide l'industria e le famiglie, quando, insomma, i palazzi del potere rivestono la loro politica reazionaria di agitazione nazionalistica e "antipolitica" (antieuropea), vuol dire che la storia si è rimessa a girare all'indietro molto più di quanto abbiamo pensato e immaginato.

Aveva proprio ragione Carlo Marx, quando, nel lontano 1857, scriveva che quando "il valore di scambio cessa di essere la misura del valore d'uso la produzione basata sul valore di scambio crolla". La mercificazione di tutto è la folle risposta che il capitale dà alla sua crisi epocale - fino al punto da mettere in discussione la sopravvivenza della civiltà e della stessa specie umana. Il dibattito sull'emergenza ambientale è tutto dentro questo quadro in fondo classico: la contraddizione insanabile che si sta producendo tra forze produttive e rapporti di produzione. Non crediate che siano esagerazioni, o previsioni apocalittiche. E' quasi solo marxismo spicciolo.

Brunetta: «I vincoli ambientali

dell'Europa? Sono una follia»

di Sara Volandri

Il ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, come del resto l'intero governo Berlusconi, non gradisce affatto le bacchettate dell'Unione europea alle nostre blande politiche ambientali. Anzi, alle nostre politiche inquinanti. In particolare sembra pronto a innalzare vere e proprie barricate pur di non rispettare i vincoli per le emissioni di Co2 stabiliti dai governi dell'Ue (tranne Roma e Varsavia). Lo dimostra l'imbarazzante vicenda dei rapporti truccati e presentati a Bruxelles per esentare l'Italia dal rispetto dei vincoli. Cifre «fasulle» come aveva fatto notare il Commissario all'Ambiente Stavros Dimas, definendosi «allibito» dalle argomentazioni del governo italiano.

Lo dimostrano anche i toni accesi di Brunetta che si è rivolto con queste sprezzanti parole ai partner comunitari e alla stessa Commissione: «L'Europa ha poco da bacchettare, perché il 20-20-20 è una follia». Il 20-20-20 è un pacchetto che impone alla produzione industriale il 20% di fonti rinnovabili, il 20% di risparmio energetico e il 20% riduzione Co2; misure sottoscritte sanza problemi da Francia, Germania e Gran Bretagna solo per citare i paesi più grandi, ma che evidentemente rappresentano un intralcio alle politiche confindustriali del centrodestra. D'altra parte era stata proprio Confindustria la prima a scagliarsi contro i parametri dell'Ue, rifiutando qualsiasi compromesso sull'innovazione energetica e la riduzione di gas serra.

Troppo onerose per le nostre imprese, per la nostra competitività, troppo estranee alla cultura di un governo che in questi giorni è prodigo di affermazioni che la dicono lunga sulla sua sensibilità ambientalista; dal ministro per le infrastrutture Altero Matteoli, il quale in un impeto "bushista" afferma che «bisogna rinegoziare il protocollo di Kyoto», al capogruppo del Pdl all'Europarlamento Fabrizio Cicchito per cui «l'Italia sta soltanto difendendo il proprio sistema imprenditoriale».

Brunetta prova a spiegare il motivo, alludendo a una specificità italica che farebbe dello stivale un'eccezione: «Per un paese manifatturiero come il nostro che ha una densità e intensità di imprese superiore alla media europea i costi sarebbero altissimi. Dei quattro grandi solamente l'Italia trarrebbe svantaggi. Abbiamo fatto bene a non accettare un pacchetto che costerebbe venti milioni di euro fino al 2020. Questo non ce lo possiamo permettere perché ucciderebbe le nostre imprese e le nostre famiglie». Uno strano argomento: se le imprese italiane sono le più diffuse sul territorio e dunque con un impatto ambientale superiore rispetto alla media europea, perché mai dovrebbero essere le sole a sfuggire ai vincoli europei? In teoria, poiché sono più inquinanti, dovrebbero semmai averne di più di restrizioni.

Domani in Lussemburgo ci sarà una nuova tornata di colloqui per provare a uscire dall' impasse . Malgrado il visibile conflitto con Roma, il portavoce della Commissione Jens Mester sembra ottimista: «Ci incontreremo con i rappresentanti dell'Italia al Consiglio Ue. Per il commissario Dimas sarà un occasione di discutere sul pacchetto clima e sull'impatto economico delle sue misure. Siamo consapevoli che alcune nazioni sono preoccupate, ma ci sono ancora margini per trovare una soluzione costruttiva che porti a un'accordo complessivo entro il mese di dicembre».

Il Consiglio di domani è la prima riunione dei ministri dell'Ambiente sotto la presidenza francese e, con un Sarkozy che almeno a parole ha sempre messo del clima al centro dei suoi programmi, non sarà facile trovare un'intesa con Italia e Polonia. Sicuramente il testo finale verrà modificato; tutto però starà nei tempi del negoziato. Roma chiede 12-15 mesi mentre Bruxelles vuole concludere per la fine del 2008. Due posizioni apparentemente inconciliabili.

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