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Mercanti all’Arsenale
13 Settembre 2008
Terra, acqua, società
Eravamo nel pieno della polemica per e contro l’Expo a Venezia quando l’Unità del 11 dicembre 1986 pubblicò questa mia lettera. La inserisco sia perché fornisce qualche informazione sull’Arsenale (un monumento il cui destino è ancora oggi oscuro), sia perchè i ragionamenti mi sembrano ancor oggi attuali: con la differenza che, al posto di De Michelis (oggi passato alle schiere di Berlusconi) abbiamo oggi autorevoli esponenti del centro sinistra veneziano.

Sul dibattito attorno alla proposta di realizzare a Venezia nel 1997 l'Expo mondiale, riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Edoardo Salzano, presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.



Nell'ultimo dei suoi interventi sulla proposta «Expo a Venezia» ( Repubblica del 19 novembre), Bruno Visentini accenna al problema dell'Arsenale, il quale, secondo gli sponsor e i sostenitori della proposta, dovrebbe costituire la clliegina sulla torta dell'Esposizione internazionale 1997 (sempre che, non prevalendo il buon senso, la manifestazione debba tenersi effettivamente a Venezia). E nella sua recente intervista a questo giornale (26 novembre) Gianni De Michelis dichiara che la localizzazione dell'Expo all'Arsenale è «una scelta abbastanza obbligata» (come quella di disporre sulla sponda lagunare una grande Disneyland). Il riferimento all'Arsenale mi sembra particolarmente utile per far comprendere come a Venezia servano ben altre cose che non l'Expo, e come anzi le volontà (o velleità) che stanno dietro quest'ultima abbiano già allontanato la soluzione già alcuni rilevanti problemi. Valgano i fatti.

Nel 1982, promotore l'allora ministro per i Beni Cultura li, Enzo Scotti, il Comune e i tre ministeri interessati (Difesa, Beni Culturali e Finanze) avevano raggiunto un accordo volto a riaprire alla città l'Arsenale, oggi largamente inutilizzato, per una serie di utilizzazioni pienamente rispettose del carattere monumentale e della struttura storica del complesso, e funzionali rispetto a una strategia di rilancio economico di Venezia: si trattava di offrire spazi alla cantieristica minore, di fornire una sede ai laboratori del Consiglio nazionale delle ricerche già presenti a Venezia rafforzandone la consistenza con un nuovo istituto volto allo studio e alla sperimentazione della cantieristica, e infine di restituire alcuni spazi al servizio del patrimonio culturale della città.

Sulla proposta non si andò avanti, con gli approfondimenti e le verifiche che sarebbero state necessarie. Essa fu di fatto bloccata solo perché il ministro De Michelis e i suoi uomini vi opposero la velleità di utilizzare l'Arsenale come una grande struttura in cui arte contemporanea e mercato, innovazione tecnologica e incentivazione di tradizionali flussi turistici, convenienze private e sostegni pubblici, avrebbero dovuto accomodarsi come un pulcino di struzzo nel guscio d un uovo di passero.

E' la proposta nota come «Beaubourg all'Arsenale»: la città la respinse, ma essa fu tale da paralizzare ogni iniziativa per tl recupero dell'Arsenale. Tant'è che oggi il grande complesso è ancora vuoto e chiuso, e se i grandi progettisti internazionali chiamati da De Michelis a progettare una faraonica piramide sulle antiche strutture del Sansovino e del Da Ponte hanno ripiegato i loro disegni e sono tornati a New York, restano anche largamente inutilizzati i finanziamenti destinati dallo Stato alla liberazione degli spazi e a un corretto restauro delle strutture arsenalizie.

Rievocare questa vicenda è utile oggi. La proposta «Expo a Venezia» è infatti una chiara enfatizzazione della proposta «Beaubourg all'Arsenale»: ne esprime la stessa «linea di pensiero», è funzionale alla stessa strategia, è gravida degli stessi rischi. In realtà, ciò che si vuole è dare un piglio «moderno» all'antica prassi di vendere la «merce» Venezia sul mercato internazionale, sollecitando i più potenti interessi economici mondiali con l'intenzionne di manovrarli, ma in concreto lasciando a essi di foggiare il futuro della città. E', insomma, offrire la «vetrina» costituita dal prestigio di Venezia per esporre qualsiasi prodotto vendibile, e adoperare la sinergia tra le attrattive della città lagunare e la capacità di richiamo delle grandi «firme» dell'economia mondiale per i incrementare ulteriormente t flussi dei visitatori (e dei potenziali consumatori). In definitiva, ciò che ci si propone è di sfruttare il «giacimento» costruito da secoli di cultura e lavoro così come si sfrutta una miniera di carbone: con la prospettiva, se non l'intenzione, di disperdere in fumo ogni frammento.

Ma il rischio maggiore non è che una simile proposta si realizzi. Già il presidente della Giunta regionale, il Dc Carlo Bernini, ha compiuto due non indifferenti correzione di rotta rispetto all'impostazione demichelislana (e Bernini rappresenta una forza politica che, come dice Visentini, se è subalterna a Venezia, è però egemone. nel Veneto). La prima, è di spostare l'epicentro della proposta Expo dà Venezia alla terraferma. La seconda, è di sottrarre la proposta all'esclusivo gioco degli interessi privati e di ricondurla nelle sedi istituzionali. La mia opinione e che allontanare di qualche chilometro l'Expo da Venezia non scongiurerebbe l'accelerazione del degrado della città, inevitabilmente provocato da sterminati flussi turistici; del resto, utilizzare l'Arsenale non come cuore dell'Expo, come vorrebbe De Michelis, ma come sua «biglietteria», come ha proposto Bernini, provocherebbe identici guasti.

Tuttavia, se sulla proposta sponsorizzata da De M1chelis e da Bernini, si aprirà una riflessione seria, poco permeabile agli immediati tornaconti economici e alle miopie munìcipalistiche, fondata sui fatti e su valutazioni realistiche (proprio come quella che Visentini auspica) sarà facile dìmostrare che la contraddizione tra l'Expo e Venezia e la conservazione del patrimonio culturale della città non è sanabile.

C'è da credere, quindi, che i rischi più gravi saranno scongiurate. Non sarà scongiurato però, se e finché della questione si continuerà a discutere, il rischio di distrarre una volta ancora l'attenzione, l'impegno, le risorse, il tempo, dalla soluzione dei problemi reali di Venezia. Che non sono pochi, e che troppe volte (l'Arsenale insegni) sono stati lasciati a marcire perchè al lavoro paziente e quotidiano, teso a costruire soluzioni ragionevoli realistiche, attento ai consensi possibili e già maturi, si è preferita la fuga in avanti di proposte a volte fantasiose spesso devastanti sempre naufragate nell'impotenza.

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