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Luigi Cosenza
Orientamenti di lotta dei Comunisti napoletani per una pianificazione urbanistica democratica (1963)
18 Giugno 2008
Altri padri e fratelli
Relazione al Comitato Federale della Federazione Comunista Napoletana (11 febbraio 1963)

Premessa

Se volessimo sintetizzare le nostre esperienze urbanistiche a Napoli in questo primo secolo di unità nazionale, potremmo dire di aver conosciuto il ventennio dell'abbandono, fino all'80, quello dello sven­tramento fino al '900, quello delle bonifiche fino all'avvento del fascismo ed i conseguenti smantellamen­ti in pace ed in guerra, ed infine questi ultimi venti anni di progressiva disarticolazione con la benedizio­ne clericale.

In tutti questi lunghi anni di direzione quasi incontrastata della attuale classe dirigente la capitale del Mezzogiorno è stata ridotta ad un caos nel quale la maggioranza dei napoletani sopravvive solo per virtù della sua capacità di adattamento e del suo coraggio nelle lotte per la vita e la affermazione dei suoi diritti. Se la popolazione non deve sopportare le crisi acute delle epidemie dell'86 e del '19 o le distruzioni belliche del '14 e del '40, le sue sofferenze quotidiane non sono meno dure e senza alcuna giustificazione; tanto più intollerabili se paragonate all'accrescimento di ricchezza ed all'accentramento di benessere nelle mani di pochi gruppi di privilegiati i quali dirigono, nel quadro di tutta una politica di rapina, anche la programmazione economica e la pianificazione urbanistica nel loro egoistico interesse.

Denuncia

Dati statistici generali e considerazioni particolari documentano drammaticamente questa denuncia. Risulta infatti dagli stessi dati ufficiali del Comune che la durata media della vita dei lavoratori è di circa 20 anni inferiore a quella dei ceti possidenti, ed il loro reddito medio dieci volte minore.

Questo contrasto è direttamente visibile nei porticciuoli di Borgo Marinaro e di Mergellina dove nulla è mutato nella tradizionale miseria dei pescatori e dei barcaiuoli, mentre si sono moltiplicati in questi ultimi anni panfili e motoscafi, per valori di miliardi, e dove non a caso spiccano quelli delle nobili casate dei Lauro, dei Fiorentino, degli Ottieri, dei loro soci ed amici.

D'altra parte, tutte le categorie di cittadini pagano il prezzo del caotico sviluppo edilizio e l'arretratezza della rete stradale determinate dal prevalere della speculazione negli indirizzi programmatici della pubblica Amministrazione. Infatti, la riduzione della velocità media del traffico ed il forzato regime dei motori degli automezzi è causa di un maggior consumo di carburanti per un valore di circa 50 milioni al giorno. Va così disperso il reddito corrispondente ad un capitale di circa 200 miliardi che potrebbero essere utilmente investiti per l'ammodernamento delle opere di pubblica utilità.

I disagi provocati dal caotico sviluppo della città sono divenuti normale condizione di vita, grave per tutti, gravissima per i lavoratori e per i ceti ancora meno abbienti.

Centinaia di migliaia di napoletani escono di casa al mattino alla ricerca angosciosa di un minimo guadagno per sopravvivere. Migliaia di famiglie attendono, in alloggi fatiscenti fino al tardo pomeriggio, per sapere se sarà possibile fare la spesa o se sarà ancora necessario ricorrere allo scarso credito del bottegaio, o al pegno o all'usura. La sopravvivenza di costoro è legata ad un precario equilibrio ambientale, e quando vengono scacciati dal vicolo o dal quartiere per far posto alla speculazione edilizia, si profila in tutta la sua drammaticità lo spettro della fame.

Molti di questi napoletani si improvvisano artigiani, nei più vari e paradossali mestieri, e sono costretti spesso a lottare per incassare un modesto credito assai più che per la ricerca dello stesso lavoro. Anche peggiore è la condizione del contadino che coltiva il proprio pezzo di terra in un ambiente urbanistícamente ancora più arretrato. Egli è costretto a vendere i suoi prodotti a prezzi usurari, ma questo prodotto aumenta vertiginosamente il suo prezzo, passando per le mani di innumerevoli parassi­ti, nelle varie tappe della speculazione, contribuendo ad elevare il costo della vita senza che l'Ammini­strazione locale prenda nessuna delle iniziative che la legge le consentirebbe. Gli alti indici di disoccu­pazione, le incertezze e i disagi della emigrazione fanno poi spesso gravare sul bilancio delle famiglie che hanno la fortuna di un modesto reddito fisso il mantenimento del parente disoccupato o fornito di una pensione di fame.La incapacità di elaborare programmi razionali determina però il disagio maggiore nel campo della abitazione. Le carenze e gli sperperi in questo settore vengono accentuati dalla ubicazione fortuita dei nuovi quartieri, dalla mancanza dei servizi e delle opere pubbliche, dal caotico modo di produzione della edilizia. Trascorrono anni di stentati lavori per realizzare quartieri inabitabili, già vecchi e decrepiti prima ancora di essere occupati. A Fuorigrotta un quartiere INA, impostato con criteri relativamente più organici, viene squarciato da una strada di intenso traffico per favorire la speculazione edilizia privata realizzata alle spalle. A Soccavo, a Secondigliano, nella stessa zona di Fuorigrotta tra la ferrovia e la collina, le aree per i nuovi quartieri vengono scelte con evidenti criteri speculativi e si sviluppano come mucchi di case, in genere a molti piani, senza prevedere nessuno dei servizi essenziali al vivere civile. A Ponticelli le aree del nuovo quartiere vengono pagate non in base al loro primitivo valore di zone agricole, né a 1.200 lire a mq. secondo la richiesta dei proprietari, ma a 7.000 lire a mq. in base alle risultanze di una scandalosa perizia giudiziaria. l lavori si trascinano in questo quartiere per anni e si è costretti ad ubicare in maniera irrazionale un modesto Centro Sociale perché in base alle norme di esproprio si possono costruire solo vani di abitazione e non servizi, pena la retrocessione delle aree all'antico proprietario.

Questo per quanto riguarda le stentate realizzazioni della edilizia economica e popolare, mentre una lava di cemento trabocca dal Vomero verso i Colli Aminei, i Camaldoli e Soccavo, con volumi sproposi­tati, non solo senza programma urbanistico, ma in contrasto con la regolamentazione vigente, e senza alcuna previsione di attrezzature civili. La intera collina di Posillipo, sui due versanti di Fuorigrotta e del Golfo, denuncia iniziative incontrollate e l'intemperanza giunge fino alla approvazione di stralci partico­lari del Piano Regolatore bocciato per favorire particolari iniziative dei Cafiero, dei Russo e Scarano, dei Comòla.

Da molte zone della provincia, ancora più arretrate e disorganizzate, si spostano giornalmente a Napoli, con circolazione a carattere pendolare, altre masse in cerca di lavoro e molte decine di migliaia di famiglie emigrano stabilmente nella città. Sulla via Petrarca sorge un intero quartiere di aversani, mentre le famiglie dei militari della Nato hanno creato i loro quartieri a Posillipo, sulla via Manzoni, con proprie attrezzature scolastiche e sportive, per sopperire, come in un paese coloniale, alle deficienze locali.

Molta vecchia edilizia è pericolante per la impossibilità di manutenzione di gran parte della piccola proprietà, ma su questo nuovo dramma si innesta la speculazione che sfrutta pericoli reali o ipotetici per potersi accaparrare nuove aree nel centro urbano e disporne a suo piacimento; per invocare l'interesse pubblico di un maggior numero di nuovi vani allo scopo di violare le attuali norme edilizie ed accrescere gli illeciti arricchimenti. Pesa così, in misura ogni giorno crescente, sulla cittadinanza ed in modo particolare sui lavoratori il costo dell'alloggio o della bottega, annullando i risultati delle dure lotte rivendicative condotte per mesi per un adeguamento del salario reale. A questa situazione fa riscontro in maniera contraddittoria il disagio dei piccoli proprietari, numerosissimi a Napoli per il frazionamento della proprietà edilizia, vittime anch'essi, per altro verso, del disordine e dell'indirizzo speculativo della politica edilizia delle classi dirigenti.

Nella città si aggrava ancora un'altra situazione, in maniera sempre più appariscente. La circolazione il più delle volte è completamente paralizzata, e non solo nelle ore di punta del traffico. Eppure, si continua a tamponare le falle più gravi, solo con mutamenti quotidiani della segnaletica adattando alla meglio giorno per giorno i servizi pubblici su strada ordinaria e ferrata. Ma il piano di Ricostruzione della via Marittima resta incompiuto, ma il tracciato della Circumflegrea procede da quindici anni con lentezza esasperante, e la Piedimonte d'Alife, la Circumvesuviana, i vecchi pullman insufficienti conti­nuano a rappresentare l'incubo quotidiano di quanti sono costretti a servirsene. Ma l'ing. Vanzi si fa liquidare circa 70 milioni dalla Circumvesuviana ed affidare dal Volturno il progetto di metropolitana che dovrebbe, con il suo tracciato, sventrare ancora una volta per qualche anno la Riviera di Chiaia ed il Rettifilo, le sole strade disponibili oggi tra l'occidente e l'oriente della città.

A centinaia potrebbero elencarsi le inconcludenze e le speculazioni che nessuno ormai tenta più di nascondere e nemmeno di giustificare. Basterà citarne due. La Radiotelevisione spende 6 miliardi per un impianto a Fuorigrotta, in aree sottratte alla Mostra d'Oltremare, e che per la loro posizione non consentiranno di trasmettere direttamente spettacoli dal S. Carlo; ma esso rischia di non poter addirittu­ra funzionare perché ubicato di fronte ai nuovi laboratori dell'Istituto di Elettrotecnica che dovranno operare su alte tensioni di oltre 1.500.000 di Wolts. E la stessa nuova Sede della Facoltà di Ingegneria, cardine di ogni programma di industrializzazione del Mezzogiorno, si trascina nella fase esecutiva da oltre sei anni senza prospettive di rapido completamento di attrezzature proporzionate alle esigenze della ricerca scientifica moderna e dell'insegnamento. ll nuovo Palazzo di Giustizia viene ubicato secondo le scelte di un Commissario Prefettizio ed altri sei miliardi verranno investiti in una zona assolutamente errata dal punto di vista urbanistico e perfino contro il parere della attuale Commissione del Piano Regolatore.

Il volto di questa città esprime quindi la completa anarchia nel suo sviluppo economico ed urbanistico, sotto la spinta di una legge inesorabile, quella del massimo profitto. La speculazione edilizia ne è uno degli aspetti più evidenti, perché materializzata nel cemento e nel ferro, ma l'indirizzo generale della classe dirigente pesa anche in modo determinante sui costi di distribuzione, sulla alterazione del valore nutritivo degli alimenti, sconvolge tutto il settore dei prodotti farmaceutici, blocca il settore del credito ai limiti della usura e della discriminazione, fa crescere il costo della vita ogni giorno in modo più intollerabile.

La situazione è resa particolarmente grave dall'assetto di tipo precapitalistico ed addirittura feudale delle strutture economiche nel Mezzogiorno, dai contratti agrari ai rapporti nella fabbrica, ai processi distributivi. ll clientelismo democristiano e la camorra laurina sono possibili appunto su un tale terreno. Processi di questo tipo deteriore, che nel quadro della stessa economia liberista e di mercato sono stati stroncati da oltre un secolo in altri paesi capitalistici, si sviluppano ancora qui a Napoli contrastati solo dalla lotta inflessibile della classe operaia e dei suoi alleati. Si tratta spesso di aperte violazioni delle leggi stesse che sono a base del sistema.

Alcuni aspetti del fenomeno sono giunti a tale livello che anche certi settori della classe dirigente ritengono necessario un intervento. Di qui nascono i tentativi di razionalizzare i processi, senza toccare le basi del sistema. Così, fra incessanti contraddizioni, si cerca di sanare le situazioni più scandalose ed intollerabili con enunciazioni programmatiche, salvo a sabotare ogni pratica iniziativa, anche limitata­mente rinnovatrice, quando essa minaccia qualche gruppo di interessi particolari. Così avviene per le municipalizzazioni, dove servizi essenziali vengono riconsegnati nelle mani della speculazione attraver­so la scelta dei nuovi dirigenti fedeli al sistema, così per la pianificazione urbanistica, dove alla iniziativa formale non fa seguito alcun impegno continuativo e deciso per stroncare la speculazione, dove i Piani democraticamente elaborati e talvolta perfino approvati non vengono adottati dagli organi periferici di un governo che vanta la programmazione come base dei suoi programmi. Né questo può sorprendere in uno schieramento politico che non ha la capacità ed il coraggio di realizzare i propri programmi, di affrontare i gruppi più conservatori e rinvia da anni le leggi fondamentali sull'ordinamen­to regionale, sulla disciplina della attività urbanistica, sulla riforma agraria, su quella degli Enti Locali, rifiutando la collaborazione del possente movimento rivendicativo dei lavoratori ed anzi contrastando in ogni modo la spinta rinnovatrice che viene da ogni parte del paese.

Cause

Tra le cause principali di questo processo di degradazione della città è la proprietà privata del suolo e tutta la catena di speculazioni che questa disponibilità suggerisce, sia nel caso di proprietà diretta, dentro e fuori i limiti consentiti dalla legge, sia nel caso di acquisizione della disponibilità di suolo pubblico attraverso l'uso del potere nelle pubbliche Amministrazioni.

Come esempio del primo caso, si hanno fatti quali la autonomia da qualsiasi Regolamento Edilizio, da oltre 40 anni, di una intera zona della città, alla radice della collina di Posillipo, proprietà privata di una famiglia che maschera appena i suoi interessi sotto la sigla di Società Partenopea Edilizia Moderna Economica, una modernità che opera in regime quasi feudale di concessione, una economia che ha fruttato agli interessati parecchi miliardi di lire.

Come esempio del secondo caso vi è la sottrazione dell'intero arenile di Mergellina al lavoro produttivo dei pescatori per concederlo alla speculazione dei pescivendoli, dei locali di trattenimento, delle linee di navigazione di lusso del Golfo. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda la caotica promiscuità degli altiforni e del Cementificio con la edilizia multipiani nella zona dell'llva di Bagnoli; per la iniziativa napoletana dell'lng. Foddis, divenuto famoso per lo scandalo romano della Teti, di costruzione dell'edifi­cio della Società Esercizi Telefonici, un nuovo blocco di cemento in sostituzione dell'ultima zona verde di Monte Echia, un suolo di cui sarà interessante conoscere il nome del proprietario ed il prezzo di acquisto.

In nessun caso il carattere sociale della produzione è più marcato come nell'aumento di valore dei suoli urbani attraverso il lavoro di tutta una collettività, né l'odioso carattere privato della appropriazione più evidente come quando al massimo profitto consentito dalle leggi economiche capitalistiche si aggiunge un ulteriore guadagno, ricavato dalla complicità e dalla corruzione dei poteri pubblici nell'infrazione delle leggi e dei regolamenti vigenti, nel sabotaggio delle norme in corso di elaborazione.

Uno degli aspetti più caratteristici di questa azione è lo stato di arretratezza di tutta la cartografia, per la quale sono pur state spese decine di milioni. Si può certamente affermare che Napoli manca di una cartografia aggiornata perché talune precisazioni di confini sono di ostacolo all'azione di chi ha interes­se di operare sull'equivoco. Infatti, una delle prime azioni della Amministrazione laurina fu quella di distruggere materialmente tutta la documentazione approntata con grandi sacrifici nella formulazione del Piano del '46, perfino un plastico altimetrico della città ed il rilievo del sottosuolo, così importante per la sicurezza dell'edilizia e per la soluzione di alcuni problemi essenziali della circolazione.

Tutto questo spiega l'accanimento ad affossare il Piano Regolatore di Napoli che la Amministrazione unitaria uscita dai Comitati di Liberazione pose a base dei suoi programmi nel '46 per promuovere una rapida ed ordinata ricostruzione, per avviare la realizzazione di una città modernamente attrezzata per un radicale cambiamento del vivere civile, per creare uno sbarramento alle prevedibili aggressioni della speculazione sulle aree fabbricabili. Per far risorgere una città ordinata e moderna dalle rovine della guerra fascista, quel Piano prevedeva 70 miliardi all'anno, per 12 anni, razionalmente investiti e demo­craticamente controllati. 640 sono stati i miliardi investiti a Napoli dai gruppi speculativi facenti capo ai gruppi monarchici e democristiani, per disarticolare una città, comprometterne gli sviluppi futuri e non affrontare nessuno dei suoi problemi di fondo. Oltre 50 miliardi sono stati intascati dai proprietari delle aree fabbricabili che niente avevano fatto per guadagnare una tale immensa ricchezza.

Ma se è così evidente la sofferenza dei cittadini costretti tuttora a vivere nei tuguri e nelle baracche, se la durata stessa della loro vita è ridotta rispetto al resto della cittadinanza, non meno doloroso è il calvario giornaliero dei lavoratori che debbono usare di una rete di trasporti pubblici frammentaria ed insufficiente. Si tratta di linee gestite da privati in modo tanto inadeguato da aver determinato vere e proprie sollevazioni popolari da parte di utenti esasperati. Ma non solo queste linee date abusivamente in concessione sono motivo di disordine e di disagio. Anche quelle a gestione pubblica sono a tal punto condizionate dall'intervento di interessi privati, in particolare per la manutenzione ed i criteri generali di amministrazione, da rappresentare nella vita quotidiana dei lavoratori, già tanto dura a sopportare, i due periodi più dolorosi, all'alba ed alla fine della giornata.

Infatti, nessun tentativo è stato fatto per unificare gli orari e le tariffe di tutta la rete dei trasporti pubblici, delle Ferrovie dello Stato, dell'Ente Autonomo Volturno, del Comune, per quanto riguarda il risparmio del tempo libero, la salute, l'incidenza sul salario dei lavoratori.

In questa situazione esaminiamo quale è la linea di condotta degli attuali responsabili politici ed amministrativi di questo stato di cose.

Essi non possono sfuggire alla discussione su tali gravi argomenti, ma tendono a spostarla sul piano puramente tecnicistico, mentre la programmazione economica e la pianificazione urbanistica sono scelte politiche interdipendenti, vincolative a tutti i livelli delle strutture e degli sviluppi. Questo non può essere ignorato dagli esperti che a tali opere sono chiamati a dare il loro contributo. Questo non è mai ignorato dai responsabili della direzione politica ed amministrativa i quali fanno le loro scelte con obiettivi precisi ed in tal senso precostituiscono i gruppi di lavoro disposti alla collaborazione.

Le ragioni della proprietà del suolo condizionano tutta la vita economica e culturale, dalla scelta degli investimenti, agli indici di occupazione, agli indirizzi della scuola. L'intera città compromette il suo aspetto e l'ambiente nel quale si era formata nel tempo, e si degrada per rispondere alle scelte della appropriazione.

A questo processo, di cui non riescono a nascondere gli effetti disgregatori, gli avversari non sanno opporre che vaghi impegni programmatici per qualche concentrazione di investimenti con l'intervento dei Monopoli Industriali, nei settori di massimo profitto, per i quali hanno inventato la denominazione di Poli di Sviluppo.

Su dati imprecisi ed ormai superati per il mutare della situazione, su cartografie non aggiornate è stato elaborato un meccanismo di sviluppo della economia campana e sono state indicate le prospettive di espansione della occupazione e del reddito nella Regione. Ma, essendo partiti non dalle aspirazioni delle popolazioni campane e dalle loro capacità, ma dai limiti degli investimenti che sono disposti a fare in questa Regione, vengono non indicati nemmeno sulla carta programmi di piena occupazione ma si teorizza sulla necessità di una emigrazione forzata di oltre 450 mila abitanti senza neanche precisare dove si trovano le nuove fonti di lavoro per questi cittadini.

Di fronte ad una tale insostenibile promessa, di fronte alla reazione dei lavoratori, gli industriali non hanno potuto sostenere un tal Piano e lo anno formalmente abbandonato, senza peraltro sostituirlo con nuovi programmi, mostrando di voler insistere nella loro intenzione di dare mano libera ai Monopoli e di non prevedere nessun intervento massiccio delle industrie a partecipazione statale.

E così si continua a procedere sulla stessa strada attraverso i programmi dei Consorzi indicati dalla Legge proroga per la Cassa per il Mezzogiorno, e delle relative Aree di Sviluppo Industriale, facendo di nuovo venire dall'alto scelte fortuite, intese solo a potenziare quelle già fatte nelle varie zone in modo discontinuo e speculativo, con programmi di insediamenti industriali che non avranno nessuna funzione di serio incentivo regionale perché non tengono alcun conto della situazione generale degli altri settori produttivi, sopratutto della agricoltura, e non considerano né la necessità economica, né gli impegni costituzionali di profonde riforme di struttura.

A questo punto occorre ribadire ancora una volta i criteri che il Partito Comunista pone a base, anche nella nostra città, di una pianificazione urbanistica democratica.

Elementi di Alternativa

Poiché tutti i limiti ed i mali provengono dal sistema della proprietà dei suoli urbani, noi ci battiamo per concrete misure intese a realizzare la nazionalizzazione del suolo. A questo fine tende la proposta di legge dei nostri parlamentari sulla disciplina della attività urbanistica. Essa precisa come elementi fondamentali, ai quali non è possibile rinunciare, il rapporto di interdipendenza tra programmazione economica e pianificazione urbanistica, onde garantire alle pubbliche Amministrazioni gli strumenti necessari a determinare le caratteristiche strutturali dello sviluppo e la loro traduzione in Piani Territo­riali. Questa proposta indica inoltre la dimensione regionale come punto di incontro tra le scelte di carattere nazionale e quelle di carattere locale, facendo assumere a tutta la materia urbanistica la funzione di centro democratico di elaborazione e direzione dei processi di sviluppo. La proposta di legge suggerisce infine un radicale intervento pubblico per eliminare l'appropriazione privata dell'incre­mento della rendita urbana derivante dalla spesa pubblica.

Vi sono dunque premesse di fondo che hanno le loro radici fuori del territorio comunale. Infatti, abbiamo dati sufficienti per conoscere le condizioni di arretratezza o di sviluppo in quelle zone del territorio in cui l'attività produttiva prevalente resta quella agricola. Lo studio degli insediamenti resta quindi legato alla scelta delle strutture capaci di condizionare le trasformazioni colturali, gli incrementi di produzione, i collegamenti tra produzione e consumo, è condizionato dalla gradualità degli investi­menti necessari per riproporzionare la distribuzione della popolazione attiva su un territorio più vasto di quello comunale, degli addetti tra i nuovi ed i tradizionali settori di produzione, anche allo scopo di predisporre una razionale rete di viabilità, principale e minore, per gli spostamenti pendolari delle masse lavoratrici di tutto il territorio che gravita intorno al centro urbano, per evitare gli attuali sperperi e le improvvisazioni.

Inoltre, va tenuto conto delle esigenze di concentrazione della produzione industriale in zone determina­te, adeguatamente attrezzate e collegate con le fonti di materie prime, con la distribuzione della popolazione, con i nodi di smistamento dei mercati di consumo interni, locali e regionali, verso le correnti di esportazione.

Ma queste zone non devono essere intese come poli di sviluppo intorno ai quali vengano abbandonate al loro destino altre zone storicamente arretrate e depresse, nelle quali più impegnativi e di reddito meno immediato possano risultare gli investimenti.

Ed ancora, insieme all'analisi dello sviluppo di queste attività produttive, in zone particolari, vanno considerati anche i mezzi a disposizione dei centri urbani per contribuire al contemporaneo sviluppo della produzione a carattere artigiano, la quale si è dimostrata perfettamente idonea, in una economia moderna, allo sviluppo delle sue capacità produttive senza rinunciare alle caratteristiche economiche e culturali del proprio settore.

Tutto questo dimostra come la scelta degli obiettivi, degli strumenti, dei programmi rappresenti un momento unitario di qualsiasi programmazione economica e delle conseguenti linee direttrici dell'inter­vento urbanistico.

L'aumento della popolazione, le aspirazioni crescenti degli abitanti a migliori condizioni di vita, le iniziative pubbliche e private condizionate dalla ricerca del massimo profitto sul mercato delle aree e delle abitazioni, il disordine crescente dovuto alle precise scelte di politica edilizia da parte degli Enti Locali, hanno creata una nuova dimensione del problema delle abitazioni sul territorio comunale. È anzitutto urgente arrestare questa frana edilizia, ed occorre una scelta precisa nelle definizioni delle norme e nella loro applicazione intransigente ad ogni livello.

Questa scelta va diretta verso la creazione di nuovi quartieri residenziali, capaci di inserirsi nelle zone più salubri e nei paesaggi tradizionali, senza interferire con le scelte relative ai problemi delle trasforma­zioni culturali, della ubicazione delle zone industriali, e sopratutto rispondenti ai livelli del reddito medio degli abitanti. Quartieri completi di tutti i loro elementi, dal verde pubblico ai servizi, alle attrezzature culturali e sanitarie adeguate ad una vita civile. Quartieri ubicati in base a criteri urbanistici e non secondo i confini amministrativi, assolutamente inadeguati ai grandi processi di espansione quantitati­va e di rinnovamento radicale della vita civile.

Questa scelta è legata in due modi a quella delle zone di lavoro. Da un lato si pone il problema delle distanze in rapporto alla velocità dei moderni mezzi di trasporto collettivi. Ma si pone d'altro lato il problema del costo delle abitazioni in rapporto al reddito, il problema cioè di produzione degli elementi costituenti l'abitazione e le altre attrezzature edilizie con i mezzi culturalmente più avanzati ed economi­camente più adeguati della produzione industriale.

Non saranno quindi soltanto i percorsi tra le zone residenziali e quelle di lavoro, nelle città e nelle campagne, a guidare le scelte, ma anche le dimensioni produttive ed i raggi di influenza più convenienti delle industrie fornitrici di elementi normalizzati.

Impostata in questo modo la nostra pianificazione urbanistica si presenta non solo come elemento determinante di tutta la nostra azione politica per il rinnovamento della vita civile di Napoli, nei settori del lavoro, della abitazione, della circolazione, dei servizi e delle opere pubbliche, ma anzitutto come precisa alternativa alla impostazione che ancora una volta la D.C. intende dare alla soluzione dei problemi della città, affidandone lo studio a Commissioni ed Enti privati legati ai gruppi dirigenti, responsabili nel passato più lontano ed in quello recente, della disgregazione del tessuto urbano, della speculazione che abbiamo solo in parte documentato finora, in tutti i settori e gli interventi pubblici e privati.

Questi gruppi hanno già manifestato le loro intenzioni per quanto riguarda gli indirizzi generali, le premesse economiche e gli sviluppi urbanistici del Piano, per quanto riguarda le decisioni in merito alla prosecuzione delle iniziative edilizie speculative, alla applicazione della Legge 18 Aprile 1962, n° 167 sulle aree fabbricabili, alla utilizzazione dei fondi della Legge Speciale e, come si è visto, principalmen­te alla impostazione antidemocratica e monopolistica dei Consorzi industriali. Per quanto riguarda le premesse economiche, problema fondamentale della città di Napoli è il raggiungimento del nostro obiettivo di accrescere la forza politica, la capacità contrattuale e le prospettive di partecipazione alla direzione ed alle scelte da parte della classe operaia e di tutti i suoi alleati, nei vari settori della produzione e della cultura.

Anzitutto, per quanto riguarda lo sviluppo della agricoltura, nelle zone del Giuglianese, del Frattese, delle Padule, del Nolano, dei Colli Vesuviani, delle Foci del Sarno, è possibile raccogliere dalla collabo­razione delle masse contadine le indicazioni essenziali per le necessarie trasformazioni colturali, per la creazione delle premesse, per le riforme di struttura, per l'arresto della fuga della rendita fondiaria, per la creazione di condizioni di lavoro proporzionate alle possibilità di una agricoltura industrializzata e moderna, svincolata da tutte le forme di oppressione e di ricatto economico che oggi ne limitano lo sviluppo. Questa analisi ci dirà con precisione le aliquote di addetti alla agricoltura che dovranno trovare nuovi posti di lavoro in altre attività produttive.

Inoltre, l'analisi di questo particolare problema rappresenta ancora un contributo alle scelte di fondo nel settore delle abitazioni. Indica infatti la possibilità per gli attivi che dovranno spostarsi in altri settori di produzione, di abitare eventualmente nei nuovi quartieri previsti da un Piano Regolatore Comprensoria­le e della applicazione della Legge 167 anche nella zona agricola, nel quadro delle scelte generali per le direttrici di espansione e gli attuali centri urbani.

Per quanto riguarda lo sviluppo delle aree industriali, occorre ribadire, per quanto riguarda gli indici di occupazione e gli investimenti, le critiche in merito alle scelte ed alla concretezza; mentre è possibile indicare nei dettagli gli impegni da richiedere al Ministero delle Partecipazioni Statali per quanto è di sua competenza.

A fianco di questi settori produttivi vi è a Napoli il grosso problema della pesca, sia come razionalizza­zione dell'allevamento nelle acque interne, sia come industrializzazione della pesca costiera e d'alto del mare che interessa nella provincia di Napoli 20 mila addetti e circa 120 mila abitanti. Questo problema va considerato sia nel settore cantieristico per quanto riguarda la produzione di pescherecci, che per la sistemazione dei porti e degli approdi di armamento e dei relativi servizi a terra (frigoriferi, mercati, industrie di trasformazione, assistenza ai pescatori) e quello delle zone di abitazione destinate stabil­mente a questo settore produttivo, nelle zone adatte.

Per quanto riguarda il turismo, il primo modo di contribuire allo sviluppo di questo notevole settore produttivo è la elevazione delle condizioni di vita civile in tutti i centri urbani vicini alle zone di interesse archeologico, paesistico e balneare e di porre un freno definitivo alle rovine che degli ambienti famosi in tutto il mondo, va compiendo la speculazione edilizia. L'altro problema riguarda le attrezzature recettive, incrementando dal punto di vista qualitativo e quantitativo anche i posti di lavoro in questo settore.

Per quanto riguarda lo sviluppo urbanistico, avvenuto in modo disordinato sotto la spinta della specula­zione edilizia, con la conseguente disarticolazione di questi centri della provincia e di quello di Napoli in particolare, occorre premettere che il primo elemento della soluzione consiste nello sviluppo delle fonti di lavoro. Ma è anche indispensabile operare delle scelte di fondo per quanto riguarda un nuovo sistema urbano articolato. Questo non significa soltanto il vecchio concetto di espansione e non rappresenta la subordinazione del nucleo abitato al luogo di lavoro, ma un collegamento razionale dei vecchi e nuovi quartieri residenziali con tutti i settori di lavoro del comprensorio. Occorre anzitutto combattere vigorosamente una impostazione intesa a favorire lo sviluppo a macchia d'olio, caro ai padroni delle aree. Costoro sostengono che il centro urbano di Napoli è bloccato a sud dal mare, a occidente dalle colline, a nord dall'altopiano, a sud-est dal Vesuvio. Non resterebbe quindi altra soluzione che sbloccare lo sbarramento artificiale creato dagli impianti ferroviari verso oriente, spostandoli di qualche chilometro. Questa impostazione sulla quale tenta di tornare oggi la nuova Commissione del Piano Regolatore, fu già proposta nel Piano del `39 dalla Commissione della SME e del Risanamento e venne bocciata per la opposizione delle Ferrovie dello Stato alle quali non si offriva alcuna alternativa.

Questo indirizzo speculativo poggia su equivoche premesse urbanistiche: infatti, i quattro settori a nord-ovest, a sud-ovest, a sud-est e a nord-est di possibile ampliamento possono essere perfettamente serviti migliorando e coordinando la rete di trasporti pubblici su strada ordinaria e ferrata, seguendo, sopratutto per questa seconda rete, le notevoli esperienze fatte da oltre cento anni nei maggiori agglomerati urbani di molti paesi. Si tratta quindi di realizzare non delle direttrici di espansione ma un nuovo sistema urbano articolato.

L'influenza determinante su questa scelta è data dalla posizione del porto di Napoli che è fra le principali fonti di lavoro della città e che dovrà vedere decisamente migliorate le sue attrezzature ed i collegamenti viari e ferroviari con la rete nazionale autostradale e ferroviaria, così come era previsto fin dal `47 nel Piano di Ricostruzione.

Il coordinamento di tutti i mezzi di trasporti collettivi dovrà considerare la unificazione degli attuali tracciati ferroviari della rete da Villa Literno a Castellammare e a Cancello con gli anelli della Circumvesuviana, della Circumflegrea e della Piedimonte d'Alife opportunamente integrata per i brevi tratti di galleria tra Quarto e Marano, per il tratto da Piazza Amedeo a via Gianturco, lungo il confine tra la via Marittima e la zona portuale, nei tratti tra Piscinola e Montesanto, tra S. Maria dell'Arco e S. Pietro e Patierno.

Questo programma potrà realizzare, con una spesa limitata, largamente compensata dalla valorizzazio­ne delle nuove aree edificabili da essa servita, una efficiente rete metropolitana capace di collegare rapidamente qualsiasi zona di abitazione con le zone di lavoro nelle aree industriali e nelle campagne, con una incidenza sui redditi dei lavoratori non superiore al 3% dei salari reali.

Una tale impostazione dello sviluppo urbano di Napoli presuppone evidentemente una articolazione del Piano su scala comprensoriale.

Le stesse ragioni che fanno opporre la nostra alternativa alle iniziative del Consorzio Industriale ed a quella ancora più determinante del Nuovo Piano Regolatore di Napoli impostato dalla Amministrazione D.C., consigliano di estendere il comprensorio a tutti 163 Comuni nella zona di Quarto, Casoria, Volla, Nola e Foci del Sarno, per complessivi 100 mila ettari circa, con una popolazione che si avvicina ai due milioni di abitanti, in modo da formare un Consorzio unico di questi Comuni, legati dagli stessi interessi politici, economici ed urbanistici, capaci di opporsi unitariamente al disegno dei Monopoli e di far prevalere alternative democratiche sia nella impostazione che nella gradualità, anche in previsione dell'impegno di azione di questo Comprensorio nel quadro degli sviluppi urbanistici della intera Regione.

Con la collaborazione responsabile di tutti gli abitanti degli attuali piccoli e grandi centri urbani del Comprensorio si possono cercare le soluzioni per la ubicazione ed il dimensionamento dei nuovi nuclei lungo gli assi delle strade ordinarie e ferrate.

Questo sviluppo degli insediamenti periferici, collegati da zone di verde pubblico con gli attuali centri ed i loro nuclei storici, determinerà un riproporzionamento di valori delle aree edificabili e della proprietà immobiliare nei centri attuali, favorendo tutti gli interventi di restauro e le zone storiche di risanamento dell'edilizia malsana, di sostituzione dell'edilizia fatiscente. La scelta generale di questo indirizzo avrà una influenza determinante sui criteri di applicazione della legge n° 167, per un vincolo immediato delle aree edilizie e delle zone da destinare a verde pubblico.

Ma proprio in previsione di questa pianificazione urbanistica a largo raggio occorre pronunziarsi su alcuni problemi di emergenza che richiedono scelte e decisioni immediate, per arrestare il caotico sviluppo delle iniziative in corso, l'aumento indiscriminato dei suoli edificatori. Per quanto riguarda la politica edilizia delle Amministrazioni comunali, in rapporto alla concessione di licenze edilizie fino alla entrata in vigore del nuovo Piano, la nostra azione si deve proporre di portare le licenze edilizie alla approvazione del Consiglio comunale, ritirando le deleghe ai sindaci, e previo esame della Commissio­ne del Piano Regolatore Generale ed apportando qualche variante essenziale al Regolamento Edilizio in vigore.

In quanto alla Legge 18 Aprile '62, n° 167, essa potrebbe essere applicata come stralcio immediato del Piano Regolatore comprensoriale, seguendone i criteri di impostazione generali e particolari. Questo indirizzo potrebbe essere legato al tracciato della nuova Metropolitana, unificata sotto la gestione democratica di un Ente a partecipazione statale sul tipo dell'Ente Autonomo Volturno, e con rappresen­tanza degli Enti Locali nel Consiglio di Amministrazione.

Per quanto riguarda la utilizzazione dei fondi della Legge Speciale, essa può essere valutata secondi i criteri già indicati dal gruppo consiliare di Napoli, utilizzandola in parte per un primo finanziamento delle opere interessanti il settore delle attrezzature e dei servizi delle aree acquisite dal Comune attraverso la applicazione della Legge n° 167, di quelle interessanti la realizzazione dei primi allaccia­menti essenziali della rete metropolitana ed il completamento dei servizi essenziali per le attrezzature civili.

Politica di Pianificazione

Queste nostre enunciazioni non sono nuove. Nuovo vuole essere l'impegno di lotta per avviarle a realizzazione. Questa nostra lotta è più che mai attuale ed ha probabilità di riuscita, poiché il suo potere, nel quadro della pianificazione democratica, risiede proprio nella attuale situazione politica. Essa si inserisce infatti con una propria qualificazione nella spinta rivendicativa generale così estesa e vigorosa in tutte le categorie dei cittadini, ma in modo particolare nelle testimonianze più recenti che continua a darne la classe operaia. Si tratta infatti della lotta non solo per i miglioramenti del salario ma per tutti gli aspetti della condizione operaia, all'interno ed all'esterno della fabbrica. Si tratta di tutte le azioni al livello delle Assemblee elettive, con la partecipazione dei cittadini nella loro funzione di stimolo e di controllo. Si tratta delle lotte politiche generali per attuare il programma delle riforme strutturali.

Un carattere particolare della nostra azione nasce da considerazioni di carattere storico. Nei paesi socialisti la classe operaia ha conquistato anzitutto il potere ed ha poi avviato l'opera di programmazio­ne e di pianificazione. Noi operiamo sin d'ora, in questa fase di lotta democratica per divenire maggio­ranza, nel corso di questa azione di denuncia e di rivendicazione. Infatti, mentre rivendichiamo alle classi lavoratrici il diritto di piena partecipazione alla direzione politica ed economica del paese, indichiamo a tutta la popolazione le cause profonde delle sue sofferenze e delle sue insoddisfazioni, ed indichiamo ancora quali sono i mezzi, gli strumenti, i sistemi per cambiare finalmente le cose in Italia e giungere non solo ad una pacifica coesistenza con gli altri popoli, non solo ad un aumento della produttività, ma ad una giusta distribuzione del reddito fra tutti i cittadini.

Non crederemo ai miracoli finché con essi ci si limita a moltiplicare pane e pesci sulle mense dei ricchi ed a lasciare gli altri a contentarsi dei resti. Crediamo solo alle lotte organizzate per trasformare la realtà intorno a noi a favore della maggioranza dei cittadini.

Alla organizzazione di questa lotta devono tendere tutte le nostre forze se vogliamo riuscire. Negli anni duri della dittatura aperta e senza maschera, furono il coraggio, la tenacia, la resistenza, lo studio, la organizzazione ad avere infine ragione della violenza e del male. Quella vittoria ha posto oggi nelle nostre mani un grande strumento di lotta organizzata.

Su questi temi e nel quadro della nostra linea politica generale, ogni sezione di città e di provincia, ogni circolo democratico, ogni Assemblea deve diventare centro di elaborazione e di chiarificazione, per la nostra grande azione rivoluzionaria che ha per obiettivo di affidare finalmente nelle mani dei napoletani la loro città con le sue grandi ricchezze economiche, con le sue spiccate capacità di lavoro, con la tradizione della sua cultura.

La relazione è stata ristampata, a cura della sezione “G. dello Jacovo” del PCI nella brochure Luigi Cosenza: l’uomo, il compagno, Napoli 1985, pp. 62-76.

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28 Febbraio 2019

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