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Adriano La Regina
Il miracolo dell’Appia preservata nella disfatta del paesaggio
20 Giugno 2008
Il paesaggio e noi
La battaglia di Cederna ha dato buoni frutti, ma altrove la guerra sul paesaggio infuria. Da la Repubblica, ed. Roma, 20 giugno 2008 (m.p.g.)

La via Appia sembra ormai l’ultima posizione su cui si attesta nel suburbio romano la difesa del paesaggio archeologico dall’aggressione di trasformazioni pesanti e volgari. Gli abusi, che pure non mancano, sono stati contenuti dal vecchio piano regolatore, che destinava l’area a parco pubblico, e dalla tutela esercitata dallo stato tramite le soprintendenze; sono poi intervenute la vigilanza ambientale e l’intensa attività di conservazione naturalistica svolte da parte del Parco regionale dell’Appia antica, istituito nel 1988; nella repressione di ogni illecito attentato all’integrità dei luoghi si manifesta ora, con nuova sensibilità, anche una più incisiva azione giudiziaria.

La disfatta è altrove evidente non solo per l’offesa ai caratteri formali del territorio, ma anche per l’insipiente spreco di risorse naturali. Una politica accomodante nei confronti di ogni abuso, riproposta con periodica insistenza mediante condoni edilizi e riforme intese ad affievolire la tutela del patrimonio storico artistico e del paesaggio, ha favorito e persino indotto a teorizzare spregiudicate forme di gestione urbanistica di cui si vedono i risultati su ampia parte del territorio italiano.

Ai danni inflitti alla città di Roma negli anni Cinquanta con lo squallore dei quartieri periferici, che con tanta fatica si vanno risanando, si sommano quelli arrecati più estesamente all’agro romano, da oltre un ventennio preda di disordinate mire edificatorie. Malamente alterato e spesso inutilmente svilito anche nella sua vocazione produttiva agricola è ormai il versante orientale del suburbio romano, interessato da strade anch’esse ricche di storia, segnate da complessi monumentali come la villa di Adriano sulla Tiburtina, la villa dei Gordiani e la città di Gabii sulla Prenestina, il mausoleo di Sant’Elena e le ville della tenuta imperiale ad duas lauros sull’antica via Labicana (ora Casilina), la villa dei Sette Bassi sulla Tuscolana. I monumenti principali si sono salvati, ma il paesaggio di cui fanno parte è perduto oppure è già gravemente a rischio. Basti vedere le offese arrecate alle monumentali rovine dei Sette Bassi, assediate da palazzi di vetro che ne deturpano le prospettive sullo sfondo della campagna romana.

Negli atti della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con una legge del 1964, per invocare la protezione del contesto ambientale dei monumenti è usata una bella similitudine: «Come il fondo di un quadro sulle figure, l’ambiente influisce sull’aspetto di un monumento architettonico, ossia sull’effetto che esso produce in noi. Pure rimanendo identiche, le figure del quadro ci darebbero un’impressione diversa ad ogni cambiamento del fondo, ossia del loro ambiente; e così un monumento, qualora si cambiassero, anche in parte, gli elementi della composizione ambientale cui appartiene». Non a caso si richiamava un’immagine pittorica: della commissione facevano parte maestri come lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti, l’archeologo Massimo Pallottino, il filologo Augusto Campana, il pittore Mino Maccari.

Le raccomandazioni di allora sono state purtroppo quasi dovunque disattese, ma non per la via Appia. Il paesaggio archeologico è qui ancora quasi del tutto integro. Si giustificano così da una parte la particolarissima attenzione posta dalle istituzioni alla sua migliore conservazione e dall’altra il consenso dell’opinione pubblica verso la repressione di illeciti perpetrati con ogni sorta di furbizia, sotterfugi, falsificazioni e connivenze.

Si sentono pronunciare sovente giudizi assai riduttivi sulle cause di decadimento del paesaggio italiano. Il più comune, espresso anche da uno dei passati ministri dei beni culturali, vorrebbe attribuire la responsabilità dei guasti all’edilizia sciatta, alla diffusa incapacità di progettare il bello, ma il problema non può essere ridotto nei termini di una questione meramente formale. La perdita dei caratteri storici del territorio è dovuta soprattutto a motivi di natura strutturale, ossia alla sottrazione di suoli pregiati alla produzione agricola per esigenze che invece potrebbero essere soddisfatte facilmente con un razionale uso delle aree già destinate ad attività incongrue o dismesse. Tutto ciò si traduce peraltro in un vero e proprio danneggiamento delle naturali fonti di ricchezza. Il Parco dell’Appia antica ha infatti posto nei suoi programmi il mantenimento delle attività agricole nei comprensori già pervenuti nella proprietà pubblica, quali le tenute di Tormarancia e della Caffarella, e in quelle che vi potranno ancora pervenire, come la Farnesiana.

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