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Piero Bevilacqua
Che cosa è il territorio
14 Maggio 2008
Paesaggio (e territorio, e ambiente)
Abbiamo chiesto all'autore di inviarci un testo che esprimesse la splendida lezione che ha fatto a Ferrara, al Città Territorio Festival. Ci ha inviato queste pagine, per i lettori di eddyburg. In calce le diapositive

IMPORTANZA DELLA STORIA DEL TERRITORIO IN ITALIA

Partiamo da una domanda semplice e fondamentale. Perché è importante, in Italia, la storia del territorio? Certo, l’utilità di una tale storia vale ovviamente per qualunque altro Paese. Ma in Italia le ragioni della sua rilevanza rivestono un carattere del tutto peculiare. E questo, innanzi tutto, per motivi che riguardano il nostro passato millenario.Tuttavia, prima di svolgere le mie considerazioni debbo confessare di utilizzare con un certo disagio e insoddisfazione il termine territorio. Certo, si tratta di una parola polisemica, dunque utile, che ogni disciplina curva in maniera più consona agli aspetti che vuol trattare. Ma è un lemma che appare ormai inadeguato a designare il complesso di fenomeni che con esso tentiamo di abbracciare. La nozione di territorio, infatti, non si limita soltanto a designare il suolo, il terreno, ma comprende anche le acque, il clima, il regime delle piogge, la flora, la fauna. Nel territorio non ci siamo solo noi, esso non è il fondale inerte delle nostre attività, ma un campo di forze in movimento, talora collegate in forma di sistema. A tal fine il termine habitat, che intercaleremo, come sinonimo, si presta forse meglio a togliere unidimensionalità a una parola che oggi appare, del resto, troppo logorata dall’uso.

L’Italia è un Paese profondamente riplasmato dall’azione umana, artificiale. In Europa è comparabile solo con i Paesi Bassi, che hanno dovuto lungo i secoli strappare la terra al mare attraverso il sistema dei polders. Ma nel nostro Paese il processo di civilizzazione è più antico e le forme della manipolazione dell’habitat più varie e complesse. Sereni, nella sua Storia del paesaggio agrario italiano ha ricordato come già Goethe avesse osservato, nelle sue peregrinazioni in Italia, la marcata originalità dell’impronta romana sulla Penisola. Una civilizzazione – fatta di ponti, acquedotti, cisterne, strade, porti, cinte murarie, ecc - che durava e operava sul nostro territorio come una "seconda natura".

L’Italia, d’altra parte, è stata per eccellenza una terra di bonifiche: vale a dire il teatro di quelle opere volte a prosciugare paludi, arginare fiumi e torrenti, colonizzare pianure. Tutte le popolazioni che si sono insediate nel tempo nei vari siti della Penisola hanno operato trasformazioni territoriali per fondare e sviluppare le loro economie ed edificare gli abitati. Gli Etruschi, com’è noto, hanno operato nell’Italia centro-settentrionale, i Romani nella Valle del Tevere – ma poi in tutti gli altri territori dove è giunto il loro dominio – i coloni greci nell’Italia meridionale. In età medievale la bonifica è stata il motore di vaste trasformazioni ambientali che hanno mutato il volto di intere contrade e dato impulso allo sviluppo dell’agricoltura. Nella Valle del Po i monaci Benedettini hanno promosso un’opera grandiosa di prosciugamento di paludi, dissodamento di boscaglie, conquista di terra fertile grazie alla capacità di attrazione delle rade popolazioni contadine tramite contratti vantaggiosi che implicavano la bonifica territoriale. Non dobbiamo dimenticare che nel Medioevo la pianura padana era ben lontana dall’avere l’aspetto attuale. Molte terre erano coperte dalle acque e le popolazioni si spostavano più facilmente in barca che per le vie di terra. Il Po non era un corso d’acqua disordinato e mutevole ed sondava in innumerevoli bracci, insieme a tanti altri fiumi alpini, per la grande pianura.

In questo stesso ambiente è stato d’altra parte avviata un’opera davvero grandiosa di utilizzazione delle risorse idriche. Sin dal Medioevo, soprattutto in Lombardia, ma anche in Piemonte, sono state realizzate grandi canalizzazioni finalizzate al trasporto, ma anche all’uso dell’acqua per scopi di irrigazione .Nel XII secolo venne realizzato il Tesinello, cioè il Ticinello (poi Naviglio Grande) e nel secolo successivo il canale della Muzza, il più grande costruito in Europa fino al XVIII secolo. E un numero davvero notevole di canali, rogge, fontanili, sono stati costruiti nella Bassa Pianura in tutti i secoli successivi, toccando il culmine con la costruzione del Canale Cavour, in Piemonte, all’indomani dell’unità d’Italia.Per la sua costruzione si misero allora in piedi e si associarono ben 20 mila consorzi di proprietari. Tutte queste opere, indirizzate alla manipolazione e all’uso dell’acqua, hanno dato un grande impulso all’agricoltura, all’industria – grazie all’erogazione di forza motrice - e al commercio.Al punto che un grande ingegnere idraulico, ancora negli Trenta del XX secolo, ha potuto scrivere: "Ogni provincia dell’alta Italia guarda ai fiumi come alle leve maggiori della produzione ". Ma naturalmente questo secolare processo di derivazione delle acque fluviali ha impresso caratteristiche peculiari al territorio, e al tempo stesso ha plasmato anche la cultura delle popolazioni.Esse sono state obbligate per secoli a forme di cooperazione – come quella dei Consorzi, sorti fin dal Medioevo – per realizzare le grandi opere necessarie all’espansione delle attività produttive e del commercio.Naturalmente, anche nel’«Italia appenninica» lo sforzo delle popolazioni di attingere l’acqua e di impiegarla a scopi produttivi è stato intenso e continuo nel tempo, anche se ha prodotto modificazioni meno vistose nel territorio.D’altra parte, bisogna comprendere che nell’Italia centro-meridionale non dominavano i grandi fiumi alpini, ma i corsi appenninici, di natura prevalentemente torrentizia.

Tanto le bonifiche che i lavori idraulici hanno naturalmente interessato il nostro territorio per tutta l’età moderna e contemporanea. E in tutte le regioni d’Italia. Nel Regno di Napoli,ad esempio, soprattutto nel corso del XIX secolo, sono state realizzate importanti esperienze di bonifica ed elaborati studi e leggi di notevole modernità che sono stati poi ripresi e nella prima metà del XX secolo . I vari Stati preunitari, infatti, hanno continuato, con vario impegno e fortuna, l’opera avviata nel medioevo. Ma anche il nuovo Regno unitario dopo il 1861 ha avviato un sempre più incisivo processo di bonificazione soprattutto a partire dalla Legge Baccarini del 1882. Naturalmente qui non è possibile entrare nel merito di questa vicenda, che ha conosciuto successi e insuccessi nei vari ambiti della Penisola, ma su cui ha impresso un’impronta profonda e spesso – non solo nel bene –irreversibile. Quel che si vuole invece sottolineare è la straordinaria continuità del processo storico. Chi scrive ha potuto ricostruire tante opere di bonificazione realizzate in età contemporanea nelle varie regioni d’Italia grazie agli scritti (opuscoli, perizie, progetti, ecc) degli ingegneri impegnati in prima persona nei lavori di bonificazione. Ebbene, si può dire che non c’è scritto, di bonificatori attivi in Italia tra il XVIII e il XX secolo che, operando su un determinato sito, non contenga notizie storiche sulle bonifiche realizzate in passato in quella stessa area. Non c’è ingegnere che non si senta obbligato a fare un po’ di storia sulle attività che hanno preceduto la sua opera. Anche perché spesso, nel lavoro di scavo capitava di rinvenire le tracce delle opere precedenti, più o meno antiche. Una conferma, se ce ne fosse bisogno, non solo della dimensione di lunga durata delle bonifiche sul nostro territorio, ma della ininterrotta stratificazione della manipolazione umana su di esso.

Bene, sin qui si è parlato di storia. E a questo punto – se ci fermassimo qui - qualcuno potrebbe dedurre che conoscere la storia del nostro habitat è importante per ragioni meramente culturali e morali: perché su di esso sono state realizzate grandi opere che è giusto non far cadere nell’oblio.Le giovani generazioni devono conoscere gli uomini e le vicende che hanno portato il paesaggio che hanno attorno ad assumere le attuali fattezze. In realtà non si tratta solo di questo, che già sarebbe tanto. Conoscere il passato senza fini utilitaristici è, infatti, un grande esperienza culturale formativa. E,’ prima di ogni altra cosa, un’opera di "bonificazione della mente", che, nella nostra epoca, è ormai piegata a considerare importante solo ciò che presenta una evidente utilità strumentale.

In realtà, la conoscenza del nostro passato è importante anche per ragioni civili e politiche rilevantissime che investono il nostro presente. Se così lunga e continua è stata l’opera di rimodellamento dell’habitat italico ciò non è dipeso soltanto dalla vetustà degli insediamenti umani e dall’operosità delle popolazioni, ma anche dalle caratteristiche fisiche del nostro territorio. Tante opere di bonifiche sono state necessarie perché l’orografia, la natura del suolo, la morfologia delle terre, il sistema idrografico le hanno rese necessarie. Il nostro è, infatti, un Paese geologicamente giovane, in continua evoluzione. Ricordo che l’Italia è il solo Paese d’Europa ad avere ben 4 vulcani attivi. E quindi il suo è un suolo di recente formazione, ancora instabile, segnato e funestato da una intensa periodicità di eventi sismici. Quasi la metà del territorio nazionale è soggetto in grado elevato alla funesta ricorrenza di tali fenomeni. E qui entriamo in un area di problemi nella quale l’importanza della storia del territorio appare in tutta la sua ovvia evidenza. Infatti, è solo grazie alla paziente ricostruzione della storia dei terremoti che noi disponiamo di una carta sismica con cui conosciamo anche la "storia sotterranea" del nostro suolo. E’ la ricostruzione del passato che ci informa sulla fragilità e instabilità di alcune aree, ci suggerisce le necessarie strategie dell’edificazione, i moduli di costruzione degli abitati e dei manufatti.

Ma il suolo peninsulare è segnato anche da molti altri elementi di fragilità. Abbiamo fatto cenno alle bonifiche nella Pianura padana. Ebbene, è il caso di ricordare che tale area ospita forse il più complesso sistema idrografico d’Europa.La presenza di molteplici fiumi e affluenti in uno stesso territorio espone queste terre a grandi esondazioni delle acque, in caso di piogge prolungate. Memorabile è stata l’alluvione del Po del 1951 ma anche in tempi recenti, nel 1994 e nel 2000 Ancora oggi, d’altra parte, in quest’area del Paese si estendono vaste superficie di terre ad altimetria negativa, vale a dire sotto il livello del mare, che necessitano della diuturna opera delle macchine idrovore per mantenersi asciutte. E’ il caso di rammentare che in quest’area si concentrano numerosi e molteplici insediamenti urbani e buona parte del complesso industriale del Paese. La conoscenza della sua storia, dei suoi caratteri e della sua trasformazione è dunque imprescindibile per governarne l’evoluzione, per tutelarne la sicurezza. E dovrebbero bastare questi pochi cenni per comprendere quanto la risorsa suolo sia preziosa in questa regione strategica del Paese. Essa dovrebbe essere tutelata, messo al riparo dalla frenesia del cosiddetto sviluppo che vorrebbe divorarlo con un’attività costruttiva senza fine.

Non meno esposta appare la vasta area dell’Italia peninsulare. Quella, per intenderci, dominata dalla dorsale appenninica. Come ben sapevano già alcuni tecnici dell’Ottocento, l’Appennino costituisce un immenso campo di forze in continua attività. Non si tratta di terremoti, ma di fenomeni più lenti e meno clamorosi, che operano tuttavia con continuità. Dagli Appennini, infatti, discendono innumerevoli corsi d’acqua che trascinano materiale d’erosione verso valle lungo i due opposti versanti della Penisola. Da millenni, questa dorsale è soggetta a un colossale processo di erosione che naturalmente si è accelerato in epoca storica, con i diboscamenti e il denudamento delle pendici montane e pedemontane.Sabbia, fango, ciottoli, massi, sono stati trascinati verso il piano dalle acque torrentizie dando luogo alla formazione delle cosiddette maremme. Così sono state storicamente denominate quelle boscaglie costiere, punteggiate di stagni e paludi, formate per l’appunto dai torrenti appenninici che a un certo punto non riuscivano più a sfociare in mare a causa dei materiali da essi stessi trascinati, che occludevano la foce. Molti dei laghi costieri dell’Italia centro-meridionali si sono formati grazie a questa dinamica territoriale. Tale vicenda fa comprendere almeno una delle regioni del carattere storicamente continuo dell’opera di bonifica lungo le nostre pianure litoranee. Ebbene, è il caso di ricordare che, almeno a partire dal Basso Medioevo fino agli anni Sessanta del Novecento, questo gigantesco processo erosivo è stato almeno in parte controllato e filtrato dalle popolazioni contadine insediate nelle colline poste fra la montagna e il mare. Le famiglie mezzadrili, che per secoli hanno operato in Toscana, Umbria, Marche e ai margini di altre regioni non hanno solo provveduto a produrre derrate agricole per sè e per i loro padroni, ma hanno compiuto al tempo stesso un’opera tanto oscura quanto preziosa di manutenzione del territorio. Sono stati, infatti, i contadini a creare e tenere sgombri fossi e canali per il deflusso dell’acqua piovana, a erigere e riparare muretti di protezione, a piantare alberi, a controllare frane e smottamenti.

Anche in questo caso la storia ci informa di una rilevante novità. Queste figure sociali che facevano manutenzione quotidiana del territorio, questi controllori del nostro habitat collinare non esistono ormai più da decenni. Tutta la vasta area delle colline interne è abbandonata a se stessa. Dunque, un elemento in più di fragilità si è storicamente aggiunto negli ultimi decenni. Non cè bisogno di spendere altre parole per sottolineare la portata strategica, per l’avvenire delle nostre stesse pianure, di una consapevolezza storica su questa grande area dell’Italia peninsulare.

Naturalmente, per un Paese come l’Italia, l’importanza della storia del territorio non risiede soltanto nella consapevolezza della sua vulnerabilità e fragilità. Esiste un passato del nostro territorio che è importante conoscere anche per altre e più positive ragioni. Senza una conoscenza storica profonda come si fa a operare in una «terra di città» quale l’Italia è stata ed è, in maniera originalissima e dominante ? Come si può essere urbanisti, in Italia, senza essere al tempo stesso storici? Tutti i manufatti urbani di cui è disseminata la Penisola e le isole, frutto di molteplici stratificazioni di epoche e civiltà, non sono governabili né tutelabili senza la conoscenza storica della loro formazione nel tempo. Nel loro passato, dunque, e nella coscienza civile dei contemporanei si racchiude il nucleo del loro valore. Quel valore che dovrebbe stare a cuore a ogni cittadino e motivarlo alla sua custodia. Ma questo dovrebbe ormai essere ovvio. Per lo meno per chi è ancora in grado di pensare.

Bibliografia essenziale.

E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza Bari 1961

P.Bevilacqua, M.Rossi-Doria, Le bonifiche in Italia dal ‘700 a oggi, Laterza, Bari-Roma 1984

P. Bevilacqua, Le rivoluzioni dell’acqua. Irrigazioni e trasformazione dell’agricoltura tra Sette e Novecento, in P.Bevilacqua ( a cura di ) Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, vol. I. Spazi e paesaggi, Marsilio Venezia 1989

P.Bevilacqua,Tra natura e storia.Ambiente,economie, risorse in Italia, Donzelli Roma, 1996

AA.VV: Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.C. al 1980.Istituto Nazionale di Geofisica, Storia Geofisica Ambiente (SGA), Bologna 1995.

P. Bevilacqua, Sulla impopolarità della storia del territorio in Italia, in P.Bevilacqua e P.Tino ( a cura di ) Natura e società. Studi in memoria di Augusto Placanica, Donzelli, Roma 2005.

F. Cazzola, Il Po da risorsa delle popolazioni padane a fonte d’inquinamento, in « I frutti di Demetra», 2005, n. 8

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