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Paolo Griseri
Torino, Via Artom, Mostro di cemento addio
18 Febbraio 2008
Torino
Un servizio fotografico da la Repubblica online. E, da la Stampa 28 dicembre 2003, la cronaca di Paolo Griseri.

Paolo Griseri

Torino cancella un pezzo di periferia

TORINO - Betty ha tre figli, fa la casalinga a Verona ed è tornata l´altro ieri nel grande quartiere all´ombra di Mirafiori. Ci è tornata dopo 18 anni di assenza a celebrare la fine di un simbolo, il crepuscolo delle periferie cresciute intorno allo stabilimento Fiat. «I simboli si rincorrono anche quando scompaiono», commenta amaro l´ex sindaco Diego Novelli che queste vie aveva battuto da cronista e militante del Pci all´inizio degli anni ?70. I grandi palazzi di via Artom, via fratelli Garrone, via Millelire, sono stati per quarant´anni il simbolo di una crescita tumultuosa e socialmente devastante, le strade dove arrivavano prima le case e solo con ritardo le fognature e i mezzi pubblici. I luoghi dei «meridionali» richiamati in massa dall´ampliamento della Fiat a produrre e trasformare un´ex capitale in metropoli industriale. Oggi alle 14,30 uno di quei palazzi, il numero 73 di via Fratelli Garrone, salterà in aria come un mostro di cemento qualsiasi, tra i tanti che deturpano il paesaggio italiano. Questa volta però la dinamite si porterà via un pezzo di storia sociale italiana.

Di quella storia Betty è stata protagonista. Era lei la «Ragazza di via Millelire», la capobanda nel film di Gianni Serra che per primo aveva raccontato, tra le polemiche dei torinesi doc, la vita delle periferie Fiat. Avevano girato nell´estate dell´80, mentre ai cancelli di Mirafiori si preparava lo scontro finale tra sindacati e azienda che sarebbe culminato nei 35 giorni di presidio dei cancelli e nella marcia dei 40 mila capi per le strade del centro. Betty ricorda «un quartiere dove i ragazzi non avevano orario: stavano in mezzo alla strada dal mattino alla sera e avevano tanto bisogno di raccontare le loro storie». Storie uguali alle molte che si rincorrevano, tra realtà e leggenda, nei quartieri intorno alla fabbrica. Storie di bande di cortile e di famiglie troppo numerose, dove le figlie nascondevano alle madri la pillola nella minestra. Storie di famiglie del Sud che ricordano da vicino quelle dei maghrebini di oggi: «Arrivavano a Torino - ricorda Novelli - e finivano ad occupare abusivamente le caserme abbandonate del centro storico, in via Verdi. O si costruivano baracche di fortuna». Una Torino in cui le case nuove venivano prese d´assalto prima ancora che gli operai lasciassero il cantiere perché è dura lavorare senza avere un tetto e un letto per la famiglia.

Ci sono voluti oltre vent´anni per ricucire lo strappo sociale, per far diventare città anche i casermoni della periferia, quelli costruiti a tempo di record con il piano Fanfani. «Li avevano fatti in fretta ma resistenti, guardate che fatica c´è voluta per abbattere le pareti interne», racconta con una punta d´orgoglio un altro ex sindaco, Giovanni Porcellana, già democristiano. Non è facile, con gli occhi di oggi, vantarsi per la realizzazione di questi alveari. Ma anche l´orgoglio di Porcellana ha una spiegazione, quella dell´amministratore di radice cattolica che con quegli alveari aveva provato a risolvere il problema di migliaia di famiglie baraccate. Oggi entra anche lui nel video realizzato per celebrare la grande esplosione.

E siccome i simboli si rincorrono, a decidere di piazzare i candelotti è stato un giovane assessore di origine pugliese, Roberto Tricarico, l´unico uomo del Sud tra i 14 membri della giunta cittadina di centrosinistra guidata da Sergio Chiamparino. Una rivincita? «Rivincita è un´espressione eccessiva - protesta Tricarico - ma certo l´orgoglio di essere riuscito ad avviare il recupero di una parte importante della periferia». Suo padre era arrivato a Torino nel ?66, nello stesso anno in cui venivano terminati i casermoni di via Millelire: «Essere nato in una famiglia del Sud mi è servito soprattutto a intendermi con le famiglie, a organizzare il loro trasloco in altri alloggi popolari. Non è stato un lavoro facile».

Che ne sarà di via Artom, che cosa sorgerà al posto del cratere? Servizi pubblici e centri di incontro, promettono i progettisti del comune. La speranza è che un giorno anche questa parte di Torino diventi un quartiere normale, come tanti altri. «Quel che colpisce - dice Novelli - è la contemporaneità degli avvenimenti: cadono i palazzi di via Artom mentre si discute che farne di Mirafiori». Il grande stabilimento è ormai attivo solo per metà e l´amministrazione sta discutendo come occupare gli spazi vuoti. Tutti sanno che non tornerà più la fabbrica con 60 mila operai dell´inizio degli anni ?70. Perché c´è un destino che unisce i simboli: si rincorrono anche nella caduta.

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