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Rita Paris
Il punto sull'Appia
19 Novembre 2007
Pagine di cronaca
Il quadro, drammatico, dell'attuale situazione dell'Appia Antica, nella relazione al convegno sul paesaggio della Borsa Archeologica del Turismo, Paestum, 15-18 novembre 2007 (m.p.g.)

Non posso tralasciare anche questa occasione di incontro e confronto per ripetere alcune osservazioni e preoccupazioni per il territorio dell’Appia, in particolare per l’ambito romano di cui mi occupo (ma senza perdere di vista l’interesse della totalità del percorso fino a Brindisi).

Premesso che l’Appia è considerata da sempre da un lato un “parco archeologico”, dall’altro il simbolo dell’abusivismo e delle ville famose per eccellenza (vi hanno abitato e vi abitano ancora alcuni tra i più famosi personaggi del cinema, della moda, più recentemente dell’imprenditoria) e che si continua a operare in una condizione di equivoco (noto, noto solo in parte, noto e comodo così com’è), è necessario ripartire dall’inizio facendo chiarezza sullo stato normativo e sullo stato di fatto.

Nel 1965 nel PRG della città fu introdotto un decreto che destinava l'intero comprensorio dell'Appia, allora di circa 2500 ettari, a Parco Pubblico, per la tutela integrale degli straordinari valori archeologici, storici, paesaggistici. Già nel 1953 la legge di tutela statale sulle bellezze paesaggistiche aveva vincolato l'intero territorio riconoscendo una stretta connessione tra i monumenti e il paesaggio. In quell’arco di tempo Antonio Cederna non ha mai smesso di scrivere sull’argomento denunciando gli abusi, gli scempi, gli indecenti progetti che venivano presentati, il silenzio delle Istituzioni, le gravi omissioni che allontanavano sempre più la soluzione urbanistica adeguata per l’Appia.

La legge regionale del 1988 ha istituito il Parco Regionale dell'Appia Antica e nel 1997 la zona è stata inclusa tra le aree naturali protette tra le cui principali finalità sono la tutela degli habitat naturali e la valorizzare delle attività produttive compatibili con le esigenze di tutela dell’ambiente, favorendo nuove forme di occupazione.

Per quanto riguarda la tutela archeologica da parte dello Stato vi sono numerosi vincoli archeologici per ampie aree (i vincoli archeologici di settori, diretti e indiretti, apposti negli anni 80/90 sono estesi centinaia di ettari ciascuno), vincoli per specifici monumenti e il vincolo già legge Galasso 431/85 lettera m (oggi DL.vo 42/2004 art. 142 lettera m) che copre l’intero territorio. La strada, con le fasce ai lati, è demaniale dagli interventi ottocenteschi del Canina, ma questo è stato dimenticato.

Le proprietà pubbliche sono irrilevanti rispetto alla vastità del territorio e soprattutto inadeguate rispetto alla presenza di monumenti (sono pubbliche parte dell’area della Caffarella, il complesso di Massenzio, la Villa dei Quintili con la proprietà acquistata di recente di S. Maria Nova, i monumenti lungo la strada, il complesso di Cecilia Metella con il Castrum Caetani, Capo di Bove, anche questa di acquisto recente, piccole porzioni di campagna, una bella proprietà con casale ad uso agricolo acquistata dall’Ente Parco recentemente).

La maggior parte del territorio è quindi in proprietà privata, compresi i monumenti che sono presenti in quasi tutte le ville, i casali, i ristoranti, i circoli sportivi.

Rispetto alle previsioni del Piano Regolatore del 1965, si sono fatti enormi passi indietro, sia nel riconoscimento dell’interesse storico, archeologico, monumentale del comprensorio – ciò che non si è ancora vincolato con vincolo archeologico specifico non si riesce a vincolare o con enormi difficoltà, d’altro canto per ciò che ha solo il vincolo di 431/85 lettera m, ossia paesaggistico, si tende ad allontanare sempre più la competenza e la titolarità della tutela alla Soprintendenza Archeologica – sia nelle previsioni di acquisizione pubblica delle aree e dei monumenti.

L'esistenza del Parco Regionale e di un ente di gestione, nel quale non sono rappresentate le Soprintendenze e il Ministero, contribuisce senza dubbio a limitare alcuni danni ma è strumento inadeguato a garantire una corretta pianificazione e la gestione di una zona che contiene uno dei più ricchi patrimoni archeologici al mondo.

Il Piano d’assetto del Parco che sostituisce il Piano Regolatore, in un rapporto ancora poco chiaro con il Piano Territoriale Paesistico, non tiene conto di tutto il patrimonio monumentale, archeologico e storico intorno al quale e per il quale si sono creati l’ambiente naturale e il paesaggio, non prevede alcuna iniziativa per la conservazione dei monumenti, per l’incremento della conoscenza del patrimonio archeologico di cui il Parco tuttavia beneficia nella promozione della propria immagine. Per assurdo, anzi, nelle norme del Piano d’assetto, i futuri scavi archeologici da parte della Soprintendenza di Stato dovrebbero essere sottoposti all’autorizzazione dell’Ente di gestione!

Questo è lo stato di fatto; passando a considerare le necessità reali di questo territorio - Parco Archeologico, o come si voglia definire - , è opportuno riferirsi alla situazione specifica e non applicare modelli predeterminati, se vi è l’intenzione di voler ancora provvedere ad attuare un programma di tutela e valorizzazione di questo patrimonio, nel senso indicato da Antonio Cederna e altri.

L'Appia rappresenta in modo emblematico il fatto che la tutela archeologica non può essere rivolta alla conservazione dei "ruderi" in senso stretto, come purtroppo si tende a considerare. Inoltre si deve prendere atto che se qualcosa ad oggi si è salvato di quell’insieme inscindibile che la Via Appia forma con la campagna romana, si deve all’attività, e non solo recente come attestano i documenti d’archivio, della Soprintendenza competente per l’archeologia. Si deve inoltre prendere atto che le altre istituzioni alle quale sarebbe demandato il compito della tutela paesaggistica (Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e per il paesaggio, Regione, Comune) si sono ad oggi limitate ad applicare le leggi nel senso peggiore per la tutela, senza conoscere il territorio, senza mai effettuare controlli, esprimendosi sulla compatibilità della singola situazione (la villa schermata dal verde o l’impianto sportivo o il vivaio) e perdendo completamente di vista la graduale, drammatica trasformazione che tali situazioni, moltiplicate per centinaia, migliaia di casi, avrebbe procurato.

Quello che a me appare chiarissimo e che vorrei fosse acquisito da tutti colori che hanno la responsabilità della pianificazione e della gestione di un ambito come questo - competenze estranea alla Soprintendenza Archeologica, che tuttavia dovrebbe svolgere il ruolo di “consulente” per le specifiche competenze dalle quali non si può prescindere – è che la situazione dell’Appia richiede effettivamente un programma coordinato tra i vari Enti, da attuare d’intesa, gradualmente e che costituisca un “testamento” per il futuro.

Mi limito a citare i punti essenziali senza entrare nel dettaglio.

Si è già avuto occasione di denunciare come la realtà attuale abbia superato ogni possibile immaginazione per la rovina e l’offesa al patrimonio archeologico, ambientale e paesaggistico del comprensorio dell’Appia, tra abusi vecchi e recenti, abusi macroscopici condonati, attività improprie impiantate in modo stabile, monumenti trasformati in alcove per la prostituzione che da sempre qui è stata di casa, la strada e le sue fasce con i monumenti invasi dal parcheggio di auto gratuito vicino all’areoporto di Ciampino.

Un “Parco inesistente”, un “Parco di carta” come è stato definito da Cederna nel 1960 e nel 1994, la realtà è che il “il più straordinario comprensorio archeologico e paesistico di Roma”, in spregio ai vincoli, alle leggi, al Piano regolatore, era e resta il “suburbio residenziale” della città ancora al centro di interessi di vario genere che allontanano ogni giorno di più ogni tentativo per la creazione di un vero Parco.

Credo fermamente che lo straordinario valore storico, archeologico oltre che ambientale e naturalistico, di questo territorio debba essere riconosciuto senza riserve con un atto legislativo che superi le lungaggini burocratiche dei vincoli e gli ostacoli dei tribunali amministrativi e la sua cura debba essere affidata a istituzioni in grado di rimanere estranee ad ogni forma di compromesso.

Per questo è necessario e non più procrastinabile che Ministero, Regione e Comune individuino la forma più corretta e completa per la pianificazione e la gestione di questo incommensurabile patrimonio.

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