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Luciano Muhlbauer
Le Mani sulla Città
28 Novembre 2007
Padania
Intricata diabolica lista dei colpi di mano lombardi sul territorio, nell'emendamento alla legge urbanistica. Il manifesto Milano, 27 novembre 2007 (f.b.)

In Consiglio si discute nuovamente di modifiche della legge regionale n. 12 sul governo del territorio. Per i cultori della materia questa è una perfetta non notizia, poiché quella legge, sin dalla sua frettolosa approvazione nel 2005, con un solo voto di maggioranza, assomiglia a una sorta di tela di Penelope, dove ogni modifica ne preannuncia già la successiva e dove le incursioni politico-affaristiche sono diventate la norma.

A mo’ di esempio, possiamo citare i reiterati interventi “ad hoc” per Monza, un autentico “cult” nel suo genere, che nel luglio 2006 intendevano bloccare il nuovo Pgt, accorciandone i tempi di approvazione, mentre due mesi fa è stato imposto l’esatto contrario, cioè la proroga dei tempi. Ma che cosa è cambiato in un solo anno? Semplice, il colore della giunta comunale monzese, di centrosinistra un anno fa e di centrodestra ora, mentre l’oggetto del contendere è sempre il medesimo: la Cascinazza.

Cioè, un bel po’ di verde da rendere edificabile e i relativi interessi immobiliari della società di Paolo Berlusconi.

E siccome la faccia per queste operazioni la deve mettere l’assessore leghista al territorio, il partito degli affari, che fa capo al vero padrone di casa, gli concede un po’ di demagogia. E così hanno fatto il loro ingresso nella legge 12 delle norme che con l’urbanistica c’entrano un bel niente, come quel capolavoro padano che stabilisce che se qualcuno (“leggi”: islamico) si mette a pregare in un edificio non classificato “luogo di culto”, allora deve chiedere al sindaco il “permesso di costruire”, anche in assenza di opere edilizie. Insomma, uno scambio di favori tra mattoni e xenofobia. Ebbene, tutti gli ingredienti sopra ricordati li troviamo anche nel provvedimento ora in discussione, compresa la razione di xenofobia. Infatti, ci sono ben due norme destinate, l’una, a rendere più difficoltosa l’apertura di nuove “attrezzature per servizi religiosi” (“leggi”: moschee) e, l’altra, ad abrogare la vigente normativa regionale sui “campi di sosta o di transito”, cioè l’articolo 3 della l.r. 77 del 1989 per la “tutela delle popolazioni nomadi e seminomadi”. Orbene, è senz’altro vero che la legge 77 è un po’ vecchia e di fatto disapplicata da anni, causa veto di Lega e An, ma il citato articolo 3 prevedeva pur sempre l’obbligo di contrastare l’emarginazione urbanistica.

Ora, invece, si tratta soltanto di rendere il tutto più restrittivo e senza obiettivi di inclusione sociale.

Ma arriviamo al vero cuore dell’operazione, che questa volta punta diritto su Milano, cioè sull’area metropolitana che in questi anni vive una fase di intense trasformazioni urbanistiche, ma in piena assenza di un’idea di città e di una mano pubblica che progetta e guida. Anzi, il ritmo e la qualità sono dettati dai grandi interessi fondiari e immobiliari privati, mentre le esigenze di vivibilità dei cittadini e di riqualificazione dei quartieri popolari finiscono per essere considerati un ingombro da rimuovere.

E tutto questo avviene su un territorio densamente popolato e saturo. Infatti, si costruisce sempre più in alto, come nel quartiere Isola, oppure in basso, come nel caso dei tanti parcheggi sotterranei, mentre gli spazi liberi si riducono di fatto alle aree dismesse e a quelle (poche) verdi. Per quanto riguarda le prime, si avvicina uno degli affari del secolo, cioè le proprietà delle ferrovie dello stato in disuso: un milione di metri quadrati. Per quanto riguarda le seconde, c’è invece un problema, ovvero, sono in gran parte aree protette.

In un contesto del genere diventa decisiva la questione del chi decide e come. E, infatti, esattamente su questo punto intervengono due modifiche della legge 12, proposte dall’assessore per conto del presidente.

La prima, pretendeva introdurre una norma speciale per la sola Milano, prevedendo la possibilità di poter adottare e approvare i piani attuativi e le loro varianti nella solo giunta, senza più bisogno di interventi da parte del consiglio comunale. In altre parole, sarebbe stato possibile prendere le decisioni fondamentali senza la fastidiosa pubblicità e partecipazione che la discussione in consiglio comunque comporta.

Una norma talmente a rischio illegittimità che l’assessore ha dovuto fare un mezzo passo indietro: ora la norma proposta stabilisce che la giunta adotta, ma è il consiglio ad approvare e questa novità è valida per tutti i comuni lombardi. Una mezza vittoria per l’opposizione, ma il rilancio di Formigoni è arrivato immediatamente: appena l’Expo sarà assegnata a Milano, si farà un’intera legge speciale per il capoluogo!

La seconda è più conosciuta, poiché la stampa cittadina ne ha parlato ampiamente, e intende facilitare interventi edificatori sul territorio dei parchi regionali. Si tratta del famigerato nuovo articolo 13bis che introduce il principio, secondo il quale la Giunta regionale potrà imporre agli enti gestori dei parchi e all’insieme dei comuni interessati, anche contro il loro parere, delle varianti richieste da un solo comune. Insomma, se la Moratti volesse far cementificare una parte del parco Sud, allora le sarebbe sufficiente mettersi d’accordo con Formigoni e l’affare è fatto. Una norma tanto scandalosa che si è sollevato un vespaio e il voto in Commissione è stato rinviato. Ma domani ci riprovano, magari addolcendo la pillola con qualche emendamento.

Insomma, questa modifica della legge 12 fa schifo quanto e più di quelle precedenti. E il prezzo, questa volta, lo pagheranno prima di tutto i cittadini milanesi, o meglio, quelli tra noi che non possiedono un’impresa di costruzioni. Noi faremo la nostra parte, opponendoci con tutti i mezzi a disposizione, ma tutto questo non basta. Urge ricostruire un tessuto di comunicazione tra le varie realtà che nei singoli territori cittadini resistono al sacco di Milano e la sinistra milanese, da ricostruire anch’essa, dovrà inserire tra le sue priorità la definizione di un’idea e di un progetto alternativi di città, anzi di area metropolitana, che metta al centro gli uomini e le donne e non il business di alcuni.

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