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Ada Becchi
Per Bruno Trentin
24 Agosto 2007
Altre persone
Eddyburg ha chiesto ad Ada Becchi, che ha condiviso con lui l’esperienza della Fiom, un ricordo del grande sindacalista scomparso.

Per chi abbia vissuto la straordinaria stagione della costruzione dell’unità sindacale a cavallo tra gli anni ’60 e i ’70, la morte di Bruno Trentin è non solo dolore per la perdita di un amico e di un maestro, ma occasione per rievocare un’esperienza che avrebbe dovuto essere, credo più di quanto non sia stata, ricca di insegnamenti preziosi per la sinistra. Non a caso una riflessione seria su quell’esperienza che consentì al sindacato di acquisire molto potere, un potere non sempre utilizzato con lungimiranza, non è stata ancora fatta.

Il ruolo di Bruno nella vicenda fu fondamentale (forse solo Pier Carniti può essergli equiparato). Bruno era una persona particolare. Da un lato, era portatore di una visione del mondo molto originale, anche se permeata dalle ideologie del movimento operaio; dall’altro, era guidato dalla ragione e questa gli consentiva di mettere egregiamente a frutto capacità analitiche basate su una vasta cultura. La prima componente è esemplarmente testimoniata dal libro pubblicato da De Donato alla fine dell’autunno caldo (come fu denominata l’ultima parte del 1969, per i caratteri assunti dal rinnovo contrattuale dei metalmeccanici): “Da sfruttati a produttori”. La seconda dalla relazione sulle trasformazioni del capitalismo tenuta a un convegno dell’Istituto Gramsci nel 1963 (cito a memoria).

Certo era stata importante nella formazione di Bruno la vicenda familiare: un padre di grandissime qualità intellettuali e morali che rifiutò di sottomettersi alle leggi fasciste sui dipendenti pubblici del 1925 – lui docente universitario – ed emigrò in Francia, dove dovette adattarsi ai più svariati mestieri per mantenere la propria famiglia. Che rientrò in Italia con il figlio durante la guerra per contribuire all’organizzazione della lotta partigiana entro il movimento di Giustizia e Libertà, fu catturato con il figlio e imprigionato, e pochi mesi dopo morì. Un padre, in sostanza, con cui Bruno si misurò sempre, sentendosi (ho spesso avuto questa impressione) non di rado inadeguato.

Ciao Bruno. Avresti meritato di più, anche perché ci hai dato molto.

L'immagine lo ritrae a un comizio a Venezia nel 1971. E' tratta dal documentario di Manuela Pellarin, Porto Marghera. Gli ultimi fuoochi

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