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Giuseppe Strappa
La città «partecipata»
12 Giugno 2007
Roma
Esiste un punto di equilibrio ragionevole, nelle scelte per la città, fra le griffe delle solite firme, e un processo democratico? Il Corriere della Sera edizione romana, 12 giugno 2006 (f.b.)

Che le grandi firme garantiscano la qualità della città futura, è un'idea che comincia a mostrare le prime crepe. Alberoni, tra gli altri, sul Corriere, annotava la stanchezza del pubblico per il protagonismo di architetture imposte dalla fama del progettista, nate per essere ammirate ma, spesso, inutili. La forma bella perché «necessaria» non ha bisogno di griffe: ammiriamo ancora oggi il disegno perfetto della bottiglietta del Campari pur avendo dimenticato che l'autore è il grande Depero.

Si potrebbe osservare, peraltro, che anche il progetto «dal basso» e democratico, vecchio mito della sinistra mai realizzato e forse irrealizzabile, non è una soluzione. E dunque, che fare? Forse, vale la pena di riflettere, con sano realismo, su alcuni esperimenti romani di coinvolgere nel disegno della città almeno alcune delle forze in gioco: tecnici, istituzioni, rappresentanze dei cittadini, imprenditori.

Nei concorsi, ad esempio, per il riuso delle aree delle ex rimesse Atac a piazza Bainsizza e a Porta Maggiore, le università hanno eseguito gli studi preliminari, un buon numero di progettisti proporrà le linee guida dell'intervento, mentre il progetto finale sarà scelto attraverso una competizione alla quale parteciperanno, insieme, architetti ed imprese. Le quali saranno costrette, in qualche modo, ad innalzare la qualità dei loro cantieri, rimasta spesso ferma agli anni '70. Una strada difficile, fatta di successivi contributi, dove la sintesi artistica non è generata da folgoranti intuizioni, ma è l'esito di un processo, l'incontro del molteplice. E i primi risultati sembrano dimostrare la validità del metodo. Lo testimonia l'esperimento di maggior respiro fino ad ora tentato in questa direzione: i progetti «partecipati» eseguiti dai dipartimenti della Sapienza per le proprie sedi, che saranno in mostra da domani nelle sale del Rettorato. Il disegno della nuova sede per facoltà umanistiche nel futuro campus di Pietralata, progettata dal Dipartimento di Architettura e Costruzione, ne è un campione significativo. Raccolta intorno ad una grande piazza coperta, dominata dal monolite della biblioteca attorno a cui si avvolge la luce che scende dalla copertura vetrata, l'opera trasmette il messaggio di una comunità scientifica moderna e vitale. Un'immagine immediata che pure deriva dal paziente raccordo tra bisogni e interessi diversi, lunghi incontri con i rappresentanti del V Municipio, confronti tra progettisti di disparate tendenze che non impediscono al disegno di arrivare ad una propria, serena identità espressiva. I valori civili che il progetto trasmette, la vita che s'immagina nell'edificio, per una volta sono più importanti della personalità dell'autore. Roma sembra riscoprire che, anche in architettura, la vita, quella vera, non è una sfilata di moda.

Nota: sul tema, notoriamente più ampio e complesso, della partecipazione, qui su Eddyburg una completa Visita Guidata a cura di Carla Maria Carlini (f.b.)

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