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Paolo Berdini
Com'era bella la mia città
13 Giugno 2007
Roma
Le nostre città: da bene comune a risorsa finanziaria. La lucida analisi delle conseguenze di due lustri di svuotamento e depotenziamento di regole, ruoli e competenze. Un altro intervento al convegno romano in ricordo di Antonio Cederna (m.p.g.)

L'intervento è stato tenuto in occasione del convegno: “Politiche culturali e tutela: dieci anni dopo Antonio Cederna”. Sull'iniziativa, che si è svolta a Roma, nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme, il 6 giugno 2007, occasione di ricordo di Antonio Cederna, ma anche di discussione sugli attuali problemi della difesa del patrimonio culturale e paesaggistico e sulla situazione dell'urbanistica italiana ed in particolare romana, v. su eddyburg

Il bel volume sulla figura di Antonio Cederna non solo ci restituisce un profilo di grande interesse, ma contiene anche un’indicazione di metodo che ritengo oggi particolarmente importante. Afferma infatti Maria Pia Guermandi nella sua introduzione che “ Sull’attualità di Cederna non tutti convengono…..Eppure il dibattito politico di questi ultimi mesi ha riproposto il tema del bene pubblico, dell’interesse generale …”.

La città appartiene certamente ai beni comuni. La storia delle città, il loro fascino e la loro bellezza è inscindibilmente legata al perseguimento del bene comune, ma dalla morte di Cederna ad oggi, il quadro delle culture e delle regole che sovrintendono alla trasformazione delle città è completamente mutato: è dunque importante prenderne atto criticamente per poter essere in grado di recuperare strumenti di lettura della realtà e di intervento adeguati ai tempi.

Il cambiamento epocale riguarda l’affermazione della cultura economicista nel governo delle città. Gli interventi urbani non vengono misurati in relazione degli effetti che provocano, ma esclusivamente riguardati sotto il profilo dell’aumento del reddito. Non era mai accaduto nella storia delle città. Gli interventi erano certo valutati anche sotto il profilo economico, ma senza mai dimenticare il contesto, le relazioni urbane e le più generali esigenze di benessere sociale. Le città appartenevano al “bene comune”.

Oggi questo orizzonte non esiste più e per rendersene conto basta fare pochi passi da qui ed arrivare a piazza Esedra. In uno dei rari concorsi per architettura che si sono svolti nella città (oggi vige la prassi dell’affidamento diretto alla star più in voga del mondo dell’architettura) Gaetano Koch vinse nel 1888 con il progetto che prevedeva due edifici simmetrici che riprendono il sedime delle terme di Diocleziano e che vennero coronati con due balaustre di travertino a chiusura delle terrazze praticabili.

Uno dei più importanti gruppi italiani del turismo internazionale, Boscolo, e non la classica figura dell’abusivo tanto diffusa a Roma, non ha trovato di meglio che chiudere la terrazza con una struttura in metallo e rivestimento plastico per ricavarne una piscina e dei locali. Un edificio storico è stato manomesso per ricavarne ricchezza. Aumentano gli utili del gruppo, il Pil nazionale aumenta ma la città, la ricchezza collettiva, perde di valore.

A nulla sono valse proteste e richieste di intervento dell’autorità comunale. La risposta era sempre la stessa: era un edificio degradato (cosa vera) e se si trova un imprenditore che se ne fa carico non bisogna guardare tanto per il sottile. C’era bisogno insomma di un “aiutino”, di poter aumentare la rendita immobiliare anche a scapito dell’integrità della memoria storica della città.

Questo fatto ci indica i tre elementi di novità con il periodo in cui Antonio Cederna denunciava le malefatte degli “energumeni del cemento”. Il primo è relativo alla cancellazione delle regole urbanistiche. Oggi le trasformazioni si attuano attraverso l’accordo di programma. Se prima con le procedure pubblicistiche dei piani regolatori si poteva conoscere in anticipo quanto sarebbe accaduto, svelarne gli effetti e denunciarne i pericoli, oggi con la nuova prassi veniamo a conoscenza dei nuovi intervento soltanto quando iniziano i cantieri edilizi. L’accordo di programma prevede soltanto la procedura di ratifica da parte dei consigli comunali. E la ratifica arriva in un momento in cui non è quasi più possibile opporsi o cambiare i progetti: prima di quel voto, infatti, si sono consolidati interessi e attività progettuali che è difficile contrastare in fase conclusiva.

Il primo impegno che deve essere dunque perseguito è quello del ristabilimento delle regole liberali, dei piani regolatori e della parallela abolizione dell’uso dell’accordo di programma come strumento per variare i piani urbanistici. Va in questa direzione la proposta di legge elaborata dagli amici di Eddyburg che sta iniziando l’iter parlamentare e che trovate nello straordinario sito di Edoardo Salzano ( www.eddyburg.it).

La seconda novità riguarda il mutamento dei caratteri dei bilanci comunali. A partire dal 1993, non solo i trasferimenti dello Stato verso le autonomie locali si sono ridotti in maniera consistente, ma si può affermare che oggi i comuni traggano le possibilità di vita dal comparto dell’edilizia. Pochi mesi fa la Provincia di Roma nel quadro delle elaborazioni per redigere il piano provinciale di coordinamento, ha diffuso i dati ufficiali sulle caratteristiche dei bilanci comunali. La tassa sugli immobili (ICI) rappresenta in media il 41% dei bilanci comunali con punte massime fino al 76% per i comuni minori.

Va sottolineato che queste somme servono esclusivamente per il normale funzionamento della macchina amministrativa, e cioè per il pagamento degli stipendi del personale e per i servizi. Quando i comuni devono investire in infrastrutture o per la realizzazione dei servizi –e l’arretratezza delle strutture comunali sta lì a ricordarci quanto sia importante questa esigenza- non possono oggi far altro che incrementare l’edificazione, promuovendo la serie interminabile dei programmi complessi che si fondano proprio sullo scambio ineguale tra pubblico e privato.

In buona sostanza, nuovi servizi e nuove infrastrutture si possono realizzare soltanto con i proventi derivanti dall’edilizia: un meccanismo perverso che deve essere invertito al più presto. Il secondo obiettivo dell’azione di chi ha a cuore i destini delle città e dei territori è dunque quello di tornare a bilanci comunali svincolati dalla rendita immobiliare e in grado di consentire ai comuni di risparmiare la risorsa suolo. Il terzo elemento che segna una novità rispetto al periodo di Cederna riguarda la progressiva opera di depotenziamento delle funzioni degli organi dello Stato preposti alla tutela, in primo luogo le soprintendenze. Si tratta di un’azione ben nota che ha riguardato provvedimenti legislativi e ostacoli al funzionamento della struttura. Francesco Scoppola ha scritto spesso su quest’ultimo tema: posso dunque limitarmi a ricordare che se non interverranno inversioni di tendenza -e non si vedono elementi che vadano in questa direzione- le soprintendenze si avviano verso una inarrestabile marginalizzazione.

Per quanto riguarda le difficoltà all’azione di tutela poste dal susseguirsi della legislazione, ricordo che l’ultima battaglia condotta da Cederna fu quella per la salvaguardia del comprensorio di Tormarancia. L’azione di denuncia da lui svolta sulla stampa e quella scientifica svolta per conto della soprintendenza archeologica da Carlo Blasi, Vezio De Lucia e Italo Insolera non avrebbe avuto successo se non fosse intervenuta l’apposizione del vincolo da parte della medesima soprintendenza. Oggi, con i mutamenti introdotti nella legislazione ciò non sarebbe più possibile. Emerge così la terza linea di azione che riguarda la ricostruzione delle funzione pubblica nel campo della tutela.

Ricostruzione delle regole urbanistiche, restituzione ai comuni della capacità di intervento sulle città, restituzione del ruolo alle strutture preposte alla tutela sono i tre grandi obiettivi per recuperare un’azione efficace di governo delle città e dei territori nella chiave della salvaguardia della memoria storica dei luoghi, come affermava Cederna.

E proprio a Roma, dove una sciagurata politica urbanistica sta portando alla cancellazione dell’agro romano, e cioè di quei luoghi di straordinaria stratificazone storica e archeologica, si può tentare di invertire la china. All’inizio degli anni ’90, l’allora soprintendente Adriano La Regina propose di costruire un provvedimento legislativo che consentisse la tutela della campagna romana, vista sotto l’inscindibile connubio di storia natura e archeologia. Credo che oggi dobbiamo riprendere quella proposta per arrestare la dilagante cementificazione. Dei 70 milioni di metri cubi di cemento che prevedeva il piano regolatore, almeno 50 sono stati realizzati o sono in corso di realizzazione attraverso l’uso dell’accordo di programma, nonostante il fatto che il piano non è stato ancora approvato. Altri 15 mila ettari di territorio agricolo sono stati cancellati e ormai la meta dell’immensa estensione della città (129.000 ettari) è occupata da asfalto e cemento. La campagna romana sta scomparendo: Cederna ne aveva fato una ragione di vita e dobbiamo oggi, nelle mutate condizioni, portare avanti la sua battaglia.

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