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Luigi Scano
2007. La tutela dei “beni paesaggistici” nel “Codice” e nei provvedimenti della Toscana
20 Giugno 2007
Toscana
Il testo dell’intervento al convegno "Lo sviluppo in-sostenibile - Il governo del territorio in Toscana”, Fiesole, 11 marzo 2007

Innanzitutto, va rammentato che secondo la (relativamente) recente, ma ormai consolidata, giurisprudenza costituzionale [1], il “Codice dei beni culturali e del paesaggio", approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, e successivamente modificato e integrato, per quanto di interesse di questa comunicazione, con decreto legislativo 24 marzo 2006, n.157 (in prosieguio per brevità denominato semplicemente “Codice”), contiene, contestualmente, disposizioni riconducibili sia alla “materia” denominata “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, appartenente alla legislazione esclusiva dello Stato (comma secondo, lettera s., dell’articolo 117 della Costituzione come riscritto per effetto della legge costituzionale 3/2001), sia alle “materie” denominate “governo del territorio” e “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, appartenenti alla legislazione concorrente, in cui “spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (commi terzo e quarto del novellato articolo 117 della Costituzione).

Per cui, ha affermato la Corte, relativamente all’insieme delle disposizioni del “Codice”, le regioni “devono sottostare nell'esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente a una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato”[2]. Giacché “la tutela tanto dell'ambiente quanto dei beni culturali è riservata allo Stato […], mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente […]: da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, e, dall'altro, le leggi regionali, emanate nell'esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato” [3]. Cosicché, ha concluso sul punto la Corte, “appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l'intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell'interesse ambientale” [4]. Fermo sempre restando che le regioni debbono “conformarsi” alla “disciplina dettagliata” [5] della Parte III del “Codice”, per quanto essa intersechi la predetta materia denominata “governo del territorio”.

Tutto ciò premesso, si possono ora ricapitolare i prescritti connotati della pianificazione paesaggistica secondo il "Codice”, la dottrina interpretativa in merito sinora conosciuta, e le pronunce della Corte costituzionale. Il "piano paesaggistico" (per esso intendendosi sia la figura pianificatoria così denominata e tipizzata che il "piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici") deve essere formato dalla regione e riguardare “l'intero territorio regionale” [6]. Esso, conseguentemente, deve disciplinare sia gli immobili "vincolati" (a seguito di specifici provvedimenti amministrativi, ovvero ope legis) che ogni altro immobile, ivi compresi quelli ricadenti nelle aree gravemente compromesse o degradate [7].

Il piano deve riferire le sue disposizioni sia a elementi territoriali, individuati in base ai loro caratteri identitari distintivi (boschi, praterie, spiagge, dune, falesie, alvei fluviali, golene, paludi, colline, sommità montane, ecc. ecc.) [8] che ad ambiti (definiti con criteri olistici, in relazione ai profili fisiografici, vegetazionali, di sistemazione colturale, di modello insediativo, e simili, valutati anche in relazione alle dinamiche pregresse e previste, e soprattutto in relazione all'intensità specifica delle interrelazioni tra gli elementi territoriali in essi ricadenti) [9].

Le disposizioni del piano possono avere efficacia sia immediatamente precettiva e direttamente operativa (presumibilmente, buona parte di quelle riferite agli elementi territoriali) che efficacia di direttive necessitanti, per trovare applicazione, della mediazione di uno strumento di pianificazione sottordinato (presumibilmente, la più gran parte di quelle riferite agli ambiti)[10]. In ogni caso, tutte le disposizioni del piano sono tassativamente vincolanti per la pianificazione sottordinata (provinciale e comunale, nonché di qualsiasi altro soggetto, ivi compresi gli enti di gestione dei parchi e delle altre aree protette) [11].

Venendo alla Regione Toscana, va detto innanzitutto che il dianzi sunteggiato insieme di precetti del “Codice” non potrebbe trovare traduzione operativa nell’attività pianificatoria di tale Regione, e, susseguentemente, in quella, di adeguamento alla prima, degli enti locali subregionali, in assenza di una rivisitazione, magari non estesa, ma certamente profonda, della vigente legge regionale per il governo del territorio, la legge regionale 3 gennaio 2005, n.1.

Tale legge regionale, innanzitutto, definisce in termini alquanto diversi da quelli desumibili dagli obiettivi e dalle intenzionalità del “Codice” i contenuti dello strumento di pianificazione di competenza regionale, il Piano di indirizzo territoriale (e ciò al di là di talune stucchevoli trascrizioni letterali di parti di norme dello stesso “Codice”[12]). E soprattutto ne determina in modo tutt’affatto diverso le efficacie. Secondo la suddetta legge regionale, infatti, gli strumenti di pianificazione sovraccomunali (nonché il piano strutturale comunale) non hanno, sostanzialmente, mai efficacia immediatamente precettiva, e direttamente operativa. Né tampoco efficacia realmente cogente nei confronti della pianificazione sottordinata, in conformità a quel “modello rigidamente gerarchico” che, secondo la Corte costituzionale, costituisce un “principio fondamentale” in materia di “governo del territorio”, quantomeno per quanto afferisce ai contenuti della pianificazione riguardanti la tutela dell’”identità culturale” del territorio stesso. Ciò in quanto la legge regionale toscana 1/2005 è interamente e rigidamente improntata all’assunto per cui, a seguito dell’entrata in vigore del novellato Titolo V della Costituzione, comuni, province, città metropolitane, regioni, e Stato sarebbero soggetti “equiordinati”, e altrettanto “equiordinati” sarebbero gli strumenti di pianificazione di competenza di tali livelli e soggetti istituzionali. Con la conseguenza che il rimedio esperibile nei casi di strumenti di pianificazione comunali difformi (anche clamorosamente) dalla pianificazione della provincia territorialmente competente (o dalla pianificazione regionale), ovvero di strumenti di pianificazione provinciali difformi (anche clamorosamente) dalla pianificazione regionale, consiste nel rivolgersi a una “conferenza paritetica interistituzionale”, alle cui pronunce il soggetto pianificatore responsabile della formazione degli strumenti difformi può peraltro non adeguarsi, residuando al soggetto responsabile dello strumento di pianificazione contraddetto la potestà di approvare “specifiche misure di salvaguardia” che comportano la “nullità di qualsiasi atto con esse contrastanti”.

La Corte costituzionale è stata chiamata dal Governo [13] a pronunciarsi soltanto su tre norme della legge regionale toscana 1/2005, delle quali solamente una, a ben vedere, concerneva (anche) gli ora indicati elementi strutturali della pianificazione territoriale, di pretesa valenza (anche) di tutela “paesaggistica”. Assai più numerosi, a mio parere, erano, come sono, i contenuti della legge regionale toscana 1/2005 che potrebbero essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, anche limitatamente a motivi di contrasto con il “Codice”, e ciò sia con riferimento ai profili “pianificatori” che ai profili “gestionali” della “tutela” dei “beni paesaggistici”. Essi non hanno costituito, a suo tempo, e nei termini, oggetto di ricorso governativo, il che non toglie che le relative questioni di legittimità costituzionale possano essere sollevate, in via incidentale, da chiunque vi abbia interesse. Ad ogni buon conto, la Regione Toscana si è ben guardata dal procedere a modificare le norme puntualmente dichiarate costituzionalmente illegittime [14].

Sulla base (anche) delle quali, nonché d’ogni altra norma della legge regionale 1/2005, la Giunta regionale della Toscana ha proceduto, con decisione del 15 gennaio 2007, n.9, a fare propri i predisposti elaborati del nuovo Piano di indirizzo territoriale, e a proporli al Consiglio regionale per l’adozione.

Tra tali elaborati, quello denominato “disciplina del Piano”, per dichiarazione dello stesso, “qualifica il Piano di indirizzo territoriale come strumento di pianificazione territoriale” [15], “definisce lo Statuto del territorio toscano e formula le direttive, le prescrizioni e le salvaguardie concernenti le invarianti strutturali che lo compongono e la realizzazione delle agende di cui lo Statuto si avvale ai fini della sua efficacia sostantiva” [16], “definisce lo Statuto del territorio toscano mediante l’individuazione dei metaobiettivi - unitamente agli obiettivi conseguenti - che ne compongono la agenda statutaria”, fermo restando che “la definizione quali invarianti strutturali dei suddetti metaobiettivi e delle invarianti attinenti alle infrastrutture e ai beni paesaggistici di interesse unitario regionale, insieme alle linee di azione necessarie a conferire effettività all’agenda statutaria, costituiscono il contenuto sostantivo dello Statuto del territorio [17]“, “definisce le invarianti strutturali e individua i principi cui condizionare l’utilizzazione delle risorse essenziali [18]“, e “contempla come sua parte integrante la disciplina dei paesaggi che assumerà valore di piano paesaggistico [19]“.

Gli altri elaborati del Piano di indirizzo territoriale sono denominati “documento di Piano” e “Quadro conoscitivo” (costituito, tra l’altro, da “quadri analitici di riferimento” e da un “Atlante ricognitivo dei paesaggi”[20]. Mentre è detto che “integrano […] la presente disciplina”, tra l’altro, “gli indirizzi e le prescrizioni per la pianificazione delle infrastrutture dei porti e degli aeroporti toscani”[21] [i corsivi sono miei. N.d.r.].

Da quanto riportato, si dovrebbe ordinariamente dedurre che quello denominato “disciplina del Piano” costituisca (con le integrazioni da ultimo dette) l’unico elaborato del Piano di indirizzo territoriale avente contenuto precettivo (essendo il valore degli altri, essenzialmente, oltre che espositivo, motivazionale e di supporto).

Conoscendo le modalità espressive consuete degli organi della Regione Toscana, non me la sento di asserire perentoriamente che così sia nelle intenzioni dei rappresentanti pro tempore di tali organi, sia tecnici che politici. Ma, per converso, ritengo che, invariate restando le espressioni utilizzate, nella loro singolarità e nel loro complessivo contesto, difficilmente eventuali intenzioni dei predetti organi radicalmente diverse dall’interpretazione da me appena sopra suggerita sarebbero avvalorate dalle istanze della giustizia amministrativa, nei casi di contenzioso.

Ad ogni buon conto, l’elaborato denominato “disciplina del Piano” proclama che “il presente Piano tutela i beni del paesaggio” [22] e specifica [23] che “la disciplina dei beni paesaggistici prevede”:

- “la ricognizione analitica dell’intero territorio nelle sue caratteristiche storiche, naturali, estetiche e nelle loro interrelazioni unitamente alla conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare, così come contemplata nell’elaborato intitolato I territori della Toscana che è allegato al quadro conoscitivo del presente Piano”;

- “l’analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l’individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, nonché l’analisi comparata delle previsioni degli atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo”, e “l’individuazione degli ambiti paesaggistici”, entrambe contenute “nell’Atlante dei paesaggi toscani che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.] per la disciplina paesaggistica”;

- “la individuazione” delle aree “vincolate” ope legis “insieme alle norme per la loro tutela e valorizzazione”, “la definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l’uso del territorio compreso negli ambiti individuati”, “la determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico”, “l’individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione”, “l’individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate”, “la tipizzazione e l’individuazione […] di singoli immobili o di aree […] da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione”, le quali tutte “risultano dalla disciplina paesaggistica dei piani territoriali di coordinamento delle Province, assunta dal presente Piano e descritta nel documento intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC, che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.] per la disciplina paesaggistica.

L’elaborato intitolato I territori della Toscana, allegato, come detto, al quadro conoscitivo del Piano, ovvero, come parimenti detto altrove (sempre nella “disciplina del Piano”), costitutivo del quadro conoscitivo del Piano, in quanto “quadro analitico di riferimento”, associa a sintetiche descrizioni, sia sincroniche che diacroniche, di un rilevantissimo numero di articolazioni del territorio regionale, l’ancora più sintetica indicazione dei relativi “punti di forza” e “punti di debolezza”, escluso comunque restando qualsiasi suggerimento vagamente precettivo.

L’elaborato intitolato Atlante dei paesaggi toscani, che, come detto, è parte degli allegati documentali, ovvero, come parimenti detto altrove (sempre nella “disciplina del Piano”), è elemento costitutivo del quadro conoscitivo del Piano, denominandosi Atlante ricognitivo dei paesaggi, si configura come un abbastanza pregevole “album di cartoline”, riferito a un (diverso) rilevantissimo numero di articolazioni del territorio regionale, e corredato di notazioni, estremamente sintetiche, sia fotografiche che testuali (didascalie, in buona sostanza), afferenti le voci: geomorfologia, idrografia naturale, idrografia antropica, mosaico forestale, mosaico agrario, insediamento storico, insediamento moderno e contemporaneo, reti e impianti viari e tecnologici, alterazioni paesistiche puntuali profonde, alterazioni paesistiche indotte, emergenze paesistiche. Anche in questo caso, non è dato rintracciare qualsivoglia suggerimento vagamente precettivo.

L’elaborato intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC, che, come detto, è parte degli allegati documentali, e che, altrove, nell’elenco degli elaborati costitutivi del Piano di indirizzo territoriale (sempre nella “disciplina del Piano”), non è neppure partitamente citato, costituisce un “florilegio”, come avrebbero detto ai tempi di mio nonno, ovvero un’”antologia”, delle disposizioni attinenti alla tutela del “paesaggio” (o, più latamente, dell’”identità culturale del territorio”) contenute nelle diversissime normative dei piani territoriali di coordinamento delle dieci province toscane.

La stragrande parte delle indicazioni che, secondo le dianzi letteralmente riportate espressioni della “disciplina del Piano”, dovrebbero “risultare dalla disciplina paesaggistica dei piani territoriali di coordinamento delle Province”, in realtà non risultano affatto in tale disciplina, e meno che mai in quella – selettivamente - “descritta nel documento intitolato Le qualità del paesaggio nei PTC”. In quest’ultimo documento, comunque, si evita scrupolosamente di riprodurre quei precetti, pur presenti nella disciplina dettata dai piani territoriali di coordinamento delle province, che abbiano corrispondenza biunivoca con specifiche categorie di elementi territoriali individuati in elaborati cartografici in scala adeguata, cioè le disposizioni puntualmente relazionate alle specifiche e peculiari caratteristiche conformative, meritevoli di tutela conservativa, dei concreti elementi territoriali considerati (non foss’altro che perché in tale documento non compaiono elaborati cartografici idonei a individuare tali elementi territoriali).

Quanto appena ora precisato è stato evidenziato in relazione all’assunto, ammesso per amor di dialettica, ma assolutamente non concesso, per cui a un documento qualificato come allegato documentale l’elaborato del Piano di indirizzo territoriale denominato “disciplina del Piano” potrebbe aver conferito efficacia precettiva, obbligante nei confronti dell’attività di pianificazione provinciale (che, sia detto per inciso, dovrebbe adeguarsi a sé medesima, venendo i suoi contenuti di molti anni addietro “congelati” nella nuova pianificazione regionale) e comunale.

Sempre ammesso e non concesso l’assunto predetto, esso ben difficilmente potrebbe ritenersi non confliggente con la dottrina della Corte costituzionale afferente alla pianificazione paesaggistica, la quale ha affermato [24] che il piano paesaggistico “deve essere unitario, globale, e quindi regionale”, e che a esso “deve sottostare la pianificazione urbanistica ai livelli inferiori”,e che “l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica” deve essere “assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme […]: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali” [i corsivi sono miei. N.d.r.].

L’elaborato denominato “disciplina del Piano” afferma quindi [25] che “la Regione […] provvede a implementare la disciplina paesaggistica contemplata nello Statuto di cui al presente Piano attraverso accordi di pianificazione […] con le Amministrazioni interessate”.

Ma, quantomeno in invarianza della legge regionale 1/2005, la definizione degli strumenti di pianificazione subregionali attraverso conferenze e accordi di pianificazione costituisce un possibile percorso procedimentale, alternativo a quello ordinario per cui ogni soggetto istituzionale competente procede alla formazione dei propri strumenti di pianificazione (e atti di governo del territorio) entro il circuito dei propri organi decisionali, essendo tenuto ad attivare la procedura della conferenza e dei susseguenti accordi di pianificazione “qualora emergano profili di incoerenza o di incompatibilità rispetto ad altri strumenti della pianificazione territoriale”, e non si intenda procedere a un mero adeguamento[26]. Altrimenti detto, qualsiasi soggetto istituzionale sub-regionale potrebbe tranquillamente ritenere, e agevolmente sostenere, che i contenuti dei propri strumenti di pianificazione (e atti di governo del territorio) non presentano alcun “profilo di incoerenza o di incompatibilità” con uno strumento di pianificazione regionale che non avesse, come emerge chiaramente essere nel caso del nuovo Piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana, pressoché alcun reale contenuto precettivo. E conseguentemente non si vede perché dovrebbe attivare conferenze e accordi di pianificazione.

Sempre l’elaborato denominato “disciplina del Piano” stabilisce [27] che “l’autorizzazione [paesaggistica] è rilasciata sulla base della valutazione di compatibilità degli interventi rispetto al vincolo paesaggistico quale risulta dalla schede contemplate nel documento intitolato Schede dei vincoli paesaggistici, che è parte degli allegati documentali [il corsivo è mio. N.d.r.]., e che “costituiscono comunque riferimento per l’esercizio dell’attività autorizzativa […] le prescrizioni e le direttive contenute negli articoli 22, 23, 24, 25, 27 e 28 della presente disciplina”.

Premesso che è oscura la ragione per cui elaborazioni tanto – presuntivamente – rilevanti debbano costituire riferimento soltanto, a valle, per l’attività autorizzativa, e non, prioritariamente, a monte, per quella pianificatoria, occorre fare presente che le schede relative ai “vincoli paesaggistici” disposti con specifici provvedimenti amministrativi contengono esclusivamente sommarissime descrizioni dei valori riconosciuti nei siti interessati, così come i provvedimenti di istituzione del “vincoli”, ai quali provvedimenti soltanto il “Codice” ha imposto, a far data dalla sua entrata in vigore nel 2004, di recare anche precetti sostanziali [28]. Quanto alle prescrizioni e alle direttive contenute negli articoli puntualmente enumerati del medesimo elaborato denominato “disciplina del Piano”, si tratta delle disposizioni afferenti il “patrimonio collinare” e il “patrimonio costiero” della Toscana: disposizioni che i limiti quantitativi massimi imposti a questa comunicazione mi impongono di qualificare apoditticamente come rientranti in quella categoria di precetti che Bruno Visentini chiamava “norme che dispongono di volere bene alla mamma” (le quali, scontatamente, non vengono, in sede teorica, rifiutate neppure da Pietro Maso e da Erika Di Nardo).

Conclusivamente, trova ampia conferma, sulla base di una seppure ancora sinteticissima analisi critica dei suoi elaborati definitivi, il giudizio sommario sul nuovo Piano di indirizzo territoriale toscano pronunciato un paio di mesi or sono da Edoardo Salzano, dopo avere dato una veloce scorsa ai suoi elaborati provvisori: “un piano di chiacchiere”.

A chi voglia contestare questa mia conclusione, come a chi voglia confermarla, e soprattutto a chi voglia, laicamente, verificarla, propongo di effettuare la “prova della bontà del budino”, che, come dicevano i vittoriani inglesi, consiste nel mangiarlo.

Nella fattispecie, potrebbe consistere nel rintracciare, in tutti gli elaborati del nuovo Piano di indirizzo territoriale, un solo precetto che, domani, divenuto vigente tale piano, inibirebbe drasticamente la previsione e la realizzazione della famosa lottizzazione di Monticchiello (o di uno degli altri “schifi” che sono stati denunciati, e talvolta riconosciuti per tali dai vertici politico-istituzionali della Regione Toscana).

Che le inibirebbe, voglio dire, non a seguito di pressioni discrezionali, di contrattazioni tecniche e politiche, di scambi di varia natura, tra soggetti istituzionali e, concretamente, tra i loro reggitori pro tempore, il tutto sotto l’usbergo del vaniloquio sulla “equiordinazione” delle istituzioni, ma, invece, sulla base del (sacrosanto) principio fondamentale, introdotto nell’ordinamento repubblicano a far data dall’entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n.142, per cui la formazione degli strumenti di pianificazione non è più un “atto complesso ineguale”, ma, invece, vede subordinata la sua conclusione alla verifica della conformità degli strumenti, oltre che agli atti aventi forza di legge, alle disposizioni espressamente poste dai soggetti istituzionali sovraordinati nei propri strumenti di pianificazione.

[1] Si possono ricordare, per la loro precipua attinenza, le sentenze della Corte costituzionale 10 - 26 luglio 2002, n.407, 18 - 20 dicembre 2002, n.536, 19 dicembre – 20 gennaio 2004, n.26, 8 - 16 giugno 2005, n.232, 20 aprile – 5 maggio 2006, n.182; in http://www.cortecostituzionale.it..

[2] Sentenza della Corte costituzionale 182/2006, cit..

[3]Ibidem.

[4]Ibidem.

[5]Ibidem.

[6] Articolo 135, comma 1, del "Codice".

[7] Articolo 135, comma 3, lettera c), e articolo 143, comma 1, lettera g), del "Codice".

[8] Articolo 135, comma 3, lettera a), articolo 143, comma 1, lettere b) e f), nonché passim, del "Codice".

[9] Articolo 135, comma 2 e passim, e articolo 143, comma 1, lettere d) ed e), nonché passim, del "Codice".

[10] Articolo 142, comma 2, articolo 145, commi 3, 4 e 5, del "Codice dei beni culturali e del paesaggio".

[11] Articolo 145, comma 3, del "Codice dei beni culturali e del paesaggio".

[12] Si veda, per esempio, il comma 3 dell’articolo 33 della legge regionale 1/2005.

[13] Con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri in data 4 marzo 2005, notificato il 10 marzo 2005, e depositato il 15 marzo 2005.

[14] Con sentenza della Corte costituzionale 182/2006, cit..

[15] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 1, comma 1.

[16] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 1, comma 2.

[17] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 2.

[18] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettera b), primo “a linea”.

[19] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettera b), secondo “a linea”.

[20] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 6, lettere a) e c).

[21] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 2, comma 7, lettera b).

[22] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 31, comma 1.

[23] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 31, comma 3.

[24] Proprio nella sentenza con cui ha censurato la legge regionale toscana 1/2005, cioè nella sentenza 182/2006, cit..

[25] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 33, comma 1.

[26] Legge regionale 1/2005, articolo 16, comma 4, articolo 17, articolo 18, articoli 21, 22 e 23.

[27] PIT, Piano di indirizzo territoriale della Toscana, disciplina del Piano, articolo 34, commi 2 e 3.

[28] Articolo 138, comma 2, e articolo 140, comma 2, del "Codice".

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