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Giovanni Valentini
Val di Noto, lo spettro dell´oro nero
24 Aprile 2007
Articoli del 2006-2007
I capolavori del barocco minacciati dalle trivelle, con un assenso politico bypartisan. Da la Repubblica, 23 aprile 2007 (m.p.g.)

Il commissario Montalbano contro i texani. Il rude e intraprendente poliziotto, partorito dalla fantasia dello scrittore Andrea Camilleri, alla scoperta dell´oro nero e dei traffici più o meno leciti che si svolgono nella terra in cui sono ambientate le riprese televisive delle sue gesta, riproposte da un tour operator locale in un itinerario di cinque giorni. Dalla fantasia alla realtà, servirebbe proprio un paladino come lui per fermare la dissennata ricerca del petrolio che minaccia di sconvolgere la Sicilia sud-orientale, l´equilibrio naturale del suo territorio, la sua vocazione turistica e culturale.

Le trivelle, fortunatamente, ancora non si vedono. Ma per grazia ricevuta i capolavori del Barocco si possono vedere e ammirare in tutto il Val di Noto - al maschile, da vallo - più o meno come furono costruiti, o meglio ricostruiti, dopo il terremoto del 1693. Sono lì da tre secoli, incastonati come gioielli in un´area pari a un terzo di tutta l´isola, distribuiti dalle prodighe mani dell´arte e della storia in un arco di otto Comuni: da Catania a Noto, Ragusa, Caltagirone, Militello, Modica, Scicli e Palazzolo Acreide. Un tesoro unico al mondo, irripetibile e inestimabile, dichiarato dall'Unesco patrimonio mondiale dell´umanità.

Oggi i palazzi e i monumenti del tardo Barocco siciliano non tremano per i movimenti della terra, ma per la minaccia delle ricerche petrolifere sottoterra che la società americana "Panther Eureka" è stata autorizzata a effettuare dalla Regione. O per l´esattezza, dall´ex assessore all´Industria, Marina Noè, in aperto conflitto con i suoi interessi imprenditoriali nei cantieri navali di Augusta, il porto del Petrolchimico. E il pericolo incombe nonostante che successivamente la stessa Giunta regionale, presieduta dal discusso governatore Totò Cuffaro, abbia deciso il 20 maggio 2005 di sospendere il rilascio dei permessi, su proposta dell´ex assessore ai Beni culturali, Fabio Granata, esponente di quella "nuova destra" che cresce sotto le insegne di Alleanza nazionale. Impugnata davanti al Tar, la delibera è stata poi annullata per un paradosso giudiziario, perché non recava la firma dell´assessore che aveva rilasciato "motu proprio" i permessi.

Eppure, il documento della Giunta regionale non lascia dubbi di sorta. Si parla, testualmente, di «straordinaria rilevanza del patrimonio ambientale, paesaggistico e monumentale» e per contro di «alto rischio che i progetti di prospezione, ricerca e sfruttamento degli idrocarburi possano arrecare danni irreversibili». La delibera ricorda inoltre che l´Unesco, per concedere il suo riconoscimento, ha chiesto come condizione imprescindibile un «piano di gestione» che vincoli il territorio e il suo sviluppo a «un uso compatibile e sostenibile». E infine, viene sancito esplicitamente che tutto ciò non è compatibile con lo «sfruttamento di eventuali giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi».

Respinti con voto segreto da un inedito asse trasversale Forza Italia-Ds i due articoli con cui Granata tendeva in extremis a vietare le trivellazioni petrolifere, durante un rimpasto della Giunta lo scomodo ex assessore ai Beni culturali venne trasferito - "promoveatur ut amoveatur", come si dice in linguaggio curiale - al Turismo e qui reso praticamente inoffensivo. Poi, pur avendo raccolto circa novemila preferenze alle ultime regionali, una maligna compilazione delle liste lo ha privato a sorpresa della rielezione. E così, Gianfranco Fini gli ha affidato la responsabilità del settore culturale di Alleanza nazionale, chiamandolo a Roma, dove si divide con l´incarico di vice-sindaco di Siracusa, la città di Archimede e del Teatro Greco.

Il fatto è che questa "guerra di Noto", per dire la contrapposizione fra chi vuol difendere le antiche ricchezze del Barocco in superficie e chi vuole cercarne invece altre nel sottosuolo, scaturisce da un´infausta legge regionale approvata nel 2000, sotto la presidenza di Angelo Capodicasa, oggi viceministro delle Infrastrutture, deputato dell´Ulivo. Fu quel provvedimento a liberalizzare le trivellazioni gas - petrolifere in nome della «pubblica utilità», aprendo la strada all´assalto del territorio in spregio alla normativa ambientale, nazionale e comunitaria. Tant´è che a luglio il ministro dell´Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, ha dovuto inviare un altolà all´attuale presidente della Regione siciliana per ricordargli che, in base alla "Direttiva Habitat", è lo Stato a rispondere di eventuali violazioni. E il 12 marzo scorso il Wwf ha chiesto ufficialmente al ministro la revoca delle autorizzazioni, perché prive di Valutazione di impatto ambientale e Valutazione di incidenza.

Al colmo del paradosso, come ricorda sconfortato l´ex assessore regionale Granata, c´è il dato che - tra il 2001 e il 2006 - l´Unione europea ha investito 380 milioni di euro in quest´area, per promuoverne la valorizzazione turistica e culturale. Un mare di soldi che ora rischia di essere inquinato dal petrolio, ammesso poi che si trovi veramente. Nel frattempo, il danno economico e d´immagine sarebbe comunque gravissimo: le trivelle e i pozzi di petrolio respingerebbero un flusso turistico in ripresa, invertirebbero una tendenza in atto e condannerebbero definitivamente questa parte della Sicilia a un destino estraneo alla sua storia e alla sua tradizione.

Poi - avverte il presidente del circolo locale di Legambiente, Nuccio Tiberi - c´è anche il problema dell´assetto idrogeologico. «Le perforazioni del terreno minacciano di inquinare le falde freatiche. E senz´acqua, i contadini abbandonerebbero presto le campagne, aumenterebbero i rischi di incendio e il degrado sarebbe inevitabile». Per quanto apocalittica possa apparire, non è certamente una prospettiva da trascurare.

È per tutte queste ragioni che, sabato 17 marzo, duemila persone sono scese in piazza armate di striscioni, bandiere, palloncini e tamburi, nel tentativo di mobilitare l´opinione pubblica locale contro l´invasione dei texani. Si chiama "No-Triv", per assonanza con il fronte "No-Tav" della Val di Susa, si chiama il comitato popolare guidato dal battagliero Vincenzo Moscuzza. Ma forse, come ha auspicato durante la manifestazione il vescovo di Noto, monsignor Giuseppe Malandrino, sarebbe meglio ribattezzarlo "Pro-Svil", cioè a favore dello sviluppo. O meglio ancora, "Sì-Cult", a favore della cultura, dell´ambiente e del turismo.

«A volte - confida Corrado Valvo, sindaco di Noto per Alleanza nazionale - abbiamo la sensazione di fare i donchisciotte. Ma questa non è una battaglia politica, va al di là degli schieramenti. È nell´interesse di tutta la popolazione». E perciò ha concesso uno spazio per un banchetto del comitato "No-Triv" nell´ingresso del Municipio, lo storico palazzo Ducezio, proprio di fronte alla maestosa Cattedrale che sta per essere riaperta al pubblico dopo un lungo restauro.

Certo, l´opposizione popolare è importante e può avere i suoi effetti. Ma evidentemente non basta per fermare l´avanzata delle trivelle: anche perché qui si tratta di un caso che travalica l´ambito locale, un caso d´interesse nazionale o addirittura internazionale, se è vero che la Sicilia è la regione con la più alta concentrazione di siti inseriti nella World Heritage List dell´Unesco, il più grande giacimento culturale dell´intero pianeta.

«A questo punto - sollecita Granata - spetta alle Sovrintendenze di Siracusa e di Ragusa intervenire per porre un vincolo paesaggistico». Poi, la partita passerà nelle mani del nuovo assessore ai Beni culturali, Nicola Leanza, esponente del movimento autonomista. E se la Sicilia non riesce a rivendicare e a salvaguardare la propria autonomia su questo fronte, non si vede proprio su quale altro potrà più difenderla.

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