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Fabrizio Bottini
Urbanisti e Legge Urbanistica
1 Settembre 2006
1942, la Legge Urbanistica
Pagine di Storia: la Legge del 1942. Introduzione, il percorso disciplinare e culturale che conduce alla legge urbanistica. Da Storia dell'Architettura Italiana - Il Primo Novecento, a cura di G. Ciucci e G. Muratore, Electa 2004

L’affermazione di una certa idea di urbanistica, e di piano regolatore, è il risultato di un conflitto, che si sviluppa in Italia parallelamente al trionfo del fascismo, ed insieme il frutto di una precisa scelta “politica” tra due opzioni. La storia della legge urbanistica nazionale, che introduce l’idea di piano generale esteso indefinitamente nel tempo e nello spazio, è insieme anche la storia del prevalere di un’opzione su un’altra, e del sostituirsi di nuove contraddizioni a quelle antiche, che avevano generato il conflitto.

Negli anni del primo dopoguerra, cresce l’interesse per le città, per il loro futuro, per le strategie da adottare e le relative conoscenze scientifiche e tecniche da mettere in campo. Due punti di vista si fronteggiano. Da un lato un approccio vicino alle esigenze dei municipi, attento alla multidisciplinarità, ma che eredita le “colpe” di una cultura accusata di essere burocratica, tecnicista, poco sensibile alla storia e alle istanze sociali emergenti. D’altro canto, gli architetti, portatori di un punto di vista maturato lentamente a cavallo tra i due secoli, ma che ora ha una nuova legittimazione professionale, che intende allargare al campo della città nel suo insieme. [1] Chiameremo urbanismo l’approccio municipalista allo studio della città, per distinguerlo dalla urbanistica degli architetti.

La Mostra di Attività Municipale di Vercelli del 1924 [2], o il congresso di “urbanesimo” di Torino del 1926 [3], sono occasioni di visibilità e rilancio dell’ urbanismo. A Torino il segretario comunale Silvio Ardy propone una scuola/associazione di funzionari a scala nazionale, [4], e parallelamente su iniziativa di Cesare Albertini si costituisce a Milano con riconoscimento internazionale la Associazione Nazionale per l'Abitazione e i Piani Regolatori[5].

Semplificando al massimo, l’ urbanismo si articola secondo dodici linee di azione, tante quante dovrebbero essere le sezioni dei servizi tecnici comunali [6]. In questo spazio si colloca l’azione delle varie professionalità, interne o esterne all’amministrazione ma con ruoli ben distinti, ferma restando la centralità del ruolo decisionale politico. L’unitarietà di azione è quindi da ricercarsi nell’equilibrio con cui i vari aspetti progettuali e gestionali si collocano via via nel processo di attuazione, piuttosto che nella sola “organicità” di un’idea prefigurata di spazio fisico.

Al “dodecalogo” dell’ urbanismo, Gustavo Giovannoni indirettamente contrappone in un “decalogo” l’idea di piano degli architetti/urbanisti: piano regionale; piano regolatore generale comunale; piano dei quartieri di espansione; piano di diradamento e valorizzazione del centro storico; distribuzione delle funzioni per zone; coordinamento del piano stradale e di azzonamento con un piano del traffico [7]. Sono gli elementi base della “ricetta” che si sta imponendo nell’approccio alla città, e negli anni a venire sarà perfezionata, prima nel Bando tipoper concorsi di piano regolatore, poi nel dibattito per la legge urbanistica.

La prevalenza dell’ urbanistica sull’ urbanismo ha sanzione ufficiosa al XII Congresso Internazionale dell'Abitazione e dei Piani Regolatori, convocato a Roma sul tema dei centri antichi nel 1929. L'intervento di Cesare Chiodi ben riassume lo stato del dibattito nazionale: buone intenzioni, rare esperienze concrete, nessuna azione istituzionale. Oltre e sopra i confini amministrativi, agiscono le forze economiche, occorre affrontare la questione spostandola dalla scala comunale a quella metropolitana [8]. La “regione” posta da Giovannoni in apertura al suo decalogo diventa così elemento costante di riferimento, senza che si discuta delle questioni amministrative, o semplicemente geografiche. Questi temi, affrontati a Torino nel 1926, resteranno, semplicemente, in sospeso.

Resta comunque, ancora da tradurre in legge qualunque idea di piano, regionale e non, diversa da quella del 1865, via via definita e innovata per frammenti, in modo insoddisfacente, a definire un piano tutt’altro che “generale”. Gli studi sulla riforma dell'esproprio per pubblica utilità, pubblicati nel 1928 [9], deludono la cultura urbanistica italiana. Ci si aspettava uno stimolo a procedere in direzione almeno di un abbozzo di legge “urbanistica”, ma lo sviluppo delle città è quasi ignorato dai legislatori [10]. Appare evidente che per la legittimazione della disciplina uno stretto collegamento con i meccanismi gestionali rappresenta una tara: molto meglio scorporare le norme sui piani regolatori da quelle sull’espropriazione, e affermare almeno in linea di principio la nuova idea di città [11].

Gli urbanisti ritengono improcrastinabile una legge generale, meglio se modellata sul “decalogo” disciplinare. Solo per fare un esempio pratico di questa urgenza, a cinquant’anni dal dibattito sul risanamento di Napoli esiste ancora all’ordine del giorno una urgente questione igienica urbana, al punto che «si comprende come l'urbanista e il medico sociale siano dei veri alleati» [12]. Il tema della città “malata”, richiama la questione del decentramento, dei relativi piani regionali: unico concreto strumento di bonifica, attraverso la modernizzazione delle campagne e l’eliminazione del divario tra le qualità della vita [13]. Una singolare proposta in questo senso, è quella sostenuta da L’Industria, che propone, né più né meno, un modello decentrato per company towns[14]. È un’interpretazione nemmeno troppo forzata del pensiero di Giovannoni: là dove nelle «Questioni urbanistiche» si indicava la centralità dell’impresa nel determinare il successo o il fallimento di un piano, ora L’Industria propone l’interesse privato anche come promotore/controllore dello sviluppo. In questo contesto nasce l’Istituto Nazionale di Urbanistica, e si emargina in buona parte l’ urbanismo, centrato sulle professionalità interne ai municipi. Contemporaneamente, assumono grande visibilità i concorsi di piano regolatore, le prime realizzazioni nei centri cittadini, e nei nuclei di fondazione, la richiesta di una legge. Su quest’ultimo aspetto, si concentra la maggior parte delle aspettative.

Istituzioni e associazioni lavorano alacremente [15], sostenute dal ministro dei Lavori Pubblici, Araldo Di Crollalanza, che istituisce una Commissione ad hoc[16] con il compito di dare forma di articolato alla nuova idea di città e di urbanistica [17], Il piano della città moderna, della città fascista, dovrà articolarsi secondo tre zone distinte: l’area edificata, indicando le trasformazioni degli spazi saturi e di quelli ancora disponibili; l’espansione, studiando in base all’incremento demografico le linee generali dei nuovi quartieri; l’area rurale, soggetta o meno a futura urbanizzazione. Né più, né meno, che lo schema di massima del “decalogo”, o di uno qualunque dei bandi di concorso che le riviste pubblicano ogni mese. Uno schema di ampio respiro che accoglie, anche se in forme piuttosto confuse, l’idea di regional planning[18], per lo sviluppo delle grandi reti infrastrutturali, il sistema dei centri minori, la localizzazione produttiva, la tutela ambientale. Le aspettative dell’INU sulla legge urbanistica, però, devono fare i conti con le necessità di carriera politica del suo maggiore sponsor: per evitare un controproducente scontro con interessi confliggenti (militari, industriali, ferrovie), Crollalanza ritira il progetto.

Fallito il primo approccio istituzionale, l’urbanistica punta sull’ampliamento del consenso sociale. I concorsi di piano regolatore si trasformano in una sorta di laboratorio, e la città italiana sembra vivere soprattutto sulle pagine delle riviste specializzate dove si restringe lo spazio dedicato alle questioni teorico/istituzionali, mentre si dilata e ristruttura quello dedicato alle singole città, alle mostre degli elaborati presentati ai concorsi, alle spigolature dei giornali locali [19]. Questa strategia, anche se in piccolo, necessita di strumenti normativi e di unificazione nazionale, come il Bando Tipo per concorsi di piano regolatore, e l' Annuario delle Città Italiane[20], per il controllo qualitativo dei piani, e una relativa garanzia “scientifica” nell’impostazione.

La neonata urbanistica rurale convive con l’idea secondo cui «L'urbanesimo è il fenomeno che accompagna l'ascendere della nostra civiltà e l'intensificazione di tutte le manifestazioni umane ... annientarlo vorrebbe dire retrocedere» [21]. Ma l’antiurbanesimo sarà il tema centrale, se non altro per visibilità, al primo Congresso nazionale INU, convocato a Roma nel 1937 [22]. Anche l'intellettuale progressista Giuseppe Bottai, propone «l'urbanistica come antiurbanesimo, come antidoto dell'urbanesimo» [23]. In generale, il Congresso potrebbe apparire il sintomo di uno stallo nel dibattito. La stessa urbanistica rurale è presentata come «sistemazione igienico-edilizia e organizzazione dei servizi pubblici nella campagna nell'ambito del piano regionale» [24]: definizione ineccepibile, ma piuttosto generica in una sede di dibattito specializzato. Ma va considerato che il senso del congresso è, soprattutto, politico. Le forze tecniche e culturali italiane si contano: ai funzionari, accademici e professionisti, si affiancano ora amministratori, tecnici, intellettuali, la pubblica opinione più informata.

Con accresciuto potere contrattuale, si invoca l'approvazione della legge nazionale che ora, indipendentemente dai contenuti, appare anche come spazio di interazione delle diverse anime della cultura urbanistica cresciute in questi anni. È del 1938 un significativo cambio di “nome”: visto che la dizione “piani regionali” disturba la cultura centralistica di qualche gerarca, ci si affretta a ribattezzarli “territoriali” [25], senza chiarirne ancora una volta estensione e autorità preposte.

La fine degli anni Trenta sancisce il ritorno dei temi istituzionali al centro del dibattito [26], ma anche una vera e propria rivincita della città, ovvero dei temi che oltre la cortina fumogena dell’antiurbanesimo occupano la maggior parte delle ragionevoli aspettative professionali. Basta osservare, ad esempio, la Tavola sinottica dell'urbanistica che Piero Bottoni propone alla Triennale [27], e l’interpretazione del tema del decentramento nel Piano provinciale per l'abitazione operaia[28], che della tavola è figlio legittimo, per toccare con mano il nocciolo di buona parte della cultura del piano italiana. Non borghi rurali né idilli pastorali, ma immagini decisamente urbane, pur nella logica della bassa densità, dell’integrazione agro-industria, insomma di quanto intelligentemente era stato definito intercittà al congresso INU. I centri urbani, anche quelli medi, crescono in termini di popolazione, e di ruolo, e questo non scandalizza, anzi è considerato dagli operatori economici tutto sommato un buon segno [29]. Critica Fascista, diretta da Giuseppe Bottai, esamina la questione urbana, con una serie di articoli dedicati alla «funzione sociale dell'urbanistica», ospitando tra gli altri due contributi di Vincenzo Civico, che ripercorrono l'intero arco del rapporto tra deurbanamento, ideologia, sviluppo economico, e recuperano i temi della localizzazione industriale e del piano regionale [30]. Non sembra più l’epoca della Urbanistica Rurale = Urbanistica Fascista, come Civico stesso aveva intitolato un suo intervento nel 1937. Ora, molto più ragionevolmente, egli sostiene che un piano deve tenere massimo conto delle attività produttive e della scala a cui operano le maggiori forze economiche. Finita l’epoca della radicalità, dei proclami, è il momento del realismo e della contrattazione, come ben sa l’ingegner Giuseppe Gorla, neoministro dei Lavori Pubblici che ha deciso di farsi carico dell’antico progetto Di Crollalanza per una legge urbanistica nazionale.

Riecheggiano le precisazioni del decalogo giovannoniano: «non sono gli ingegneri o gli architetti a dar vita ad un piano regolatore, ... ma le provvidenze amministrative e le combinazioni finanziarie» [31]. A queste “provvidenze” e “combinazioni”, come aveva imparato Crollalanza e come ben sa Gorla, si aggiunge l’intreccio di interessi pregiudizialmente contrari all’idea di piano sottesa alla legge urbanistica. Ma al contrario del Crollalanza, politico “puro”, Gorla è indirettamente coinvolto nella cultura urbanistica, e ritiene di aver ricevuto in questo senso un mandato pieno [32]. Così, pur tra numerosi conflitti, non solo si affermano i principi generali già maturi nel progetto del 1932, ma la struttura della legge arriva a coincidere quasi perfettamente con il decalogo del Giovannoni, con gli schemi dei bandi di concorso, insomma con la raffigurazione del piano ideale, così come almeno quindici anni di dibattito hanno contribuito a perfezionare. Ma, insieme a questa struttura, la legge si porta appresso anche una tara ideologica, figlia tra l’altro anche dei conflitti che, alla fine degli anni Venti, avevano visto l’ urbanismo municipalista sconfitto dall’ urbanistica dei professionisti. Forse anche a questa tara è da attribuirsi l’isolamento che circonda la legge dopo l’approvazione e che proseguirà [33]: «una legge che si ponga al di là dei traguardi già conseguiti dai conflitti sociali ... è destinata a rimanere sulla carta» [34].

NOTE

[1] Cesare Chiodi, ritiene che non sia possibile «concepire l’Urbanismo come un dominio esclusivo dell’architetto o del costruttore di città … Il problema è più vasto, si estende a tutte le condizioni infinite dell’esistenza umana, e principalmente – ma non esclusivamente – nelle agglomerazioni sovrappopolate e pulsanti che l’industria sviluppa sotto i nostri occhi». Cesare Chiodi, «Per la istituzione di una scuola di urbanismo», La Casa, febbraio 1926, p. 81. Commentando questo e altri tentativi di reazione (i vari convegni che negli anni Venti si organizzano soprattutto al nord per un’urbanistica non egemonizzata dagli architetti), è stato osservato che «prende … corpo lungo il fronte Torino-Vercelli-Milano l’ultima offensiva ufficiale contro le “teorie estetizzanti degli architetti” e del “loro preteso dominio sulle questioni urbanistiche”. Ma i “giochi” si decideranno a Roma». Guido Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, Milano 1989, p. 141. Lo stesso scontro ideologico e professionale, esteso all’intero arco della formazione e professione dell’architetto, è la tesi di: Paolo Nicoloso, Gli architetti di Mussolini. Scuole e sindacato, architetti e massoni, professori e politici negli anni del regime, Franco Angeli, Milano 1999.

[2] Cfr. Cesare Albertini, «L’attività municipale a Vercelli», Le Vie d’Italia, dicembre 1924; «La premiazione alla prima Mostra italiana di attività municipale», Il Rinnovamento Amministrativo, n. 2, 1925

[3] Cfr. «Congresso di Urbanesimo a Torino, La Casa, marzo 1926.

[4] Cfr. Silvio Ardy, Proposta di creazione di un Istituto di Urbanesimo e di Alti Studi Municipali, Congresso Internazionale dell’Urbanesimo, Torino, 28 maggio 1926, IV Tema, S.AV.I.T., Vercelli 1926. La critica più radicale a questo progetto, e insieme una proposta alternativa (e vincente): Alberto Calza Bini,Per la costituzione di un Centro di Studi Urbanistici in Roma, Estratto dagli Atti del I Congresso Nazionale di Studi Romani, Roma 1928.

[5] Cfr. Cesare Albertini, «L'Associazione Nazionale dell'Abitazione e dei Piani Regolatori», La Casa, maggio 1926

[6] Anche se certo non riassume la complessità dell’urbanismo, la ripartizione in dodici sezioni può essere presa a utile metro di paragone. Cfr. Silvio Ardy, «Rassegna Urbanistica», Grande Genova, gennaio 1928

[7] Cfr. Gustavo Giovannoni, «Questioni urbanistiche», L’Ingegnere, gennaio 1928. Giovannoni osserva anche che «A veder bene, non sono gli ingegneri o gli architetti a dar vita ad un piano regolatore, più o meno ben disegnato; ma le provvidenze amministrative e le combinazioni finanziarie ne rappresentano il vero elemento dinamico che ne avvia l'attuazione, non solo nello spazio, ma anche nel tempo, con un ordine di successione che può secondare o può annullare il concetto informatore del piano stesso». È un indiretto ma esplicito riconoscimento delle ragioni profonde della cultura “gestionale” dei municipalisti, ma questo apparentemente ovvio realismo rappresenta una posizione niente affatto scontata, anzi piuttosto isolata nella cultura degli architetti dell’epoca. Cfr. Paolo Avarello,Cinquant'anni di legge urbanistica in Italia, in ANCE, La città del futuro - nuove regole per la crescita urbana, ANCE, Roma 1993

[8] Cfr. Cesare Chiodi, Lo sviluppo periferico delle grandi città in Italia, in Atti del XII Congresso Internazionale dell'Abitazione e dei Piani Regolatori, Vol. I, International Federation for Housing and Town Planning, Roma 1929

[9] Cfr. Commissione Reale per la riforma della legge sulla espropriazione per pubblica utilità, Progetto di legge sulle espropriazioni per il pubblico interesse e sulle requisizioni, Libreria del Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1928

[10] Cfr. Virgilio Testa, Dispense del corso di «Legislazione Urbanistica», Facoltà di Architettura dell'Università di Roma, Anno accademico 1933-34

[11] Cfr. Edile, «La nuova legge sulle espropriazioni», La Casa, settembre 1928

[12] Guido Salvini, «Tubercolosi e urbanesimo», in Atti del II Congresso Internazionale di Tecnica Sanitaria e Igiene Urbanistica, Reale Società di Igiene, Milano 1931, p. 179

[13] Cfr. Cesare Chiodi, «Zone fabbricate e spazi liberi nello studio dei piani regolatori», ivi

[14] Gustavo Bullo, «Sui benefici dell'obbligatorietà dei piani regolatori», L'Industria, gennaio (I) e febbraio (II) 1931

[15] In dettaglio: «Le proposte della Sezione piemontese dell'Istituto Nazionale di Urbanistica per l'inchiesta promossa per lo studio della nuova Legge sui Piani Regolatori», Urbanistica, VI, 1932; «Studio dell'Ingegner Cesare Albertini, dirigente dell'Ufficio Urbanistica del Comune di Milano», Concessioni e Costruzioni, n.8, 1932 (articolo riportato anche su La Casa, novembre 1932, col titolo: «Per una legge sui piani regolatori»); «Intorno alla nuova legge sui piani regolatori», Architettura, ottobre 1932 (anche su L'Ingegnere, settembre 1932, col titolo: «Proposte in merito alla nuova Legge sui Piani Regolatori»); Federazione Nazionale Fascista della Proprietà Edilizia, Sulla disciplina giuridica dei Piani Regolatori, 2 Voll. Roma 1932; Sullo studio della FNFPE, si veda Cesare Albertini: «Per una nuova Legge sui Piani Regolatori», La Casa, aprile 1933

[16] Sulla figura di Crollalanza, e i suoi rapporti con la disciplina urbanistica Cfr. Rosa Angela Làera, Carmela Riccardi, Pianificazione urbana e territoriale nella politica di regime di Araldo di Crollalanza, in Giulio Ernesti (a cura di), La costruzione dell'utopia, Ed. Lavoro, Roma 1988

[17] In questo senso, ho dato conto alcuni anni fa della relazione generale, pubblicandone alcuni stralci ne «Dall’utopia alla normativa. La formazione della legge urbanistica nel dibattito teorico», Bollettino DU, n. 4, 1984; ora lo stesso saggio è riportato in G. Ernesti, op. cit. Anche la relazione è stata nel frattempo pubblicata integralmente, insieme ad altri documenti coevi, su Le riforme possibili. Le proposte dell’INU per la legislazione urbanistica a partire dalla formazione della legge del 1942, a cura di Luigi Falco, Urbanistica Quaderni, n. 6, 1995

[18] Cfr. Virgilio Testa, «Necessità dei piani regionali e loro disciplina giuridica», Urbanistica, luglio 1933

[19] Cfr. Lucia Nuti, Roberta Martinelli, Le città di Strapaese, la politica di fondazione nel Ventennio, F.Angeli, Milano 1981. Un importante osservatorio, per comprendere la trasformazione del dibattito sulle città, è la rubrica «Notizie e commenti di urbanistica», che Vincenzo Civico cura in questi anni sulle pagine de L'Ingegnere

[20] Il Bando Tipo è pubblicato su Urbanistica IV, 1933, con aggiornamenti in Vincenzo Civico, «Per la disciplina dei concorsi di piano regolatore», L'Ingegnere, gennaio 1935; l'Annuario delle città italiane, in due volumi di cui uno di appendice statistica, è pubblicato a cura dell'INU nel 1935

[21] Achille Bassetti, Le città giardino nei loro aspetti economico – igienico – sociale, in Atti del Convegno Lombardo per la Casa popolare nei suoi aspetti igienico-sociali, Reale Società di Igiene, Milano 1936, p. 125

[22] I pareri non sono unanimi, a questo proposito. Per esempio, Giorgio Ciucci sostiene che «Il tema dei piani regolatori e dei relativi vantaggi economici fu la questione centrale del congresso, alla quale erano collegate quelle dell’urbanistica coloniale e dell’urbanistica rurale», Giorgio Ciucci, Il dibattito sull’architettura e la città fasciste, in Storia dell’arte italiana, Parte seconda, dal Medioevo al Novecento, Volume terzo, il Novecento, Einaudi, Torino 1982, p. 371. È comunque certo che la grande mole ed estensione qualitativa dei temi e degli interventi consente molteplici letture del congresso

[23] Giuseppe Bottai, Discorso inaugurale, in Atti del I Congresso Nazionale di Urbanistica, INU, Roma 1937, Volume II, Discussioni e resoconto, p. 4

[24] Enzo Fidora, Scipione Tadolini, Mario Zocca, Criteri basilari per l'inquadramento dell'elemento rurale nel piano regionale, ivi, Vol. I, Parte II, Urbanistica Rurale, p. 53. Un po’ polemicamente, qualcuno si chiede anche: «Come si può far rientrare nell'etichetta di urbanistica il programma mussoliniano della casa pei contadini?», «Alcuni rilievi sull'urbanistica rurale», Concessioni e costruzioni, n.8, 1937

[25] Cfr. Vincenzo Civico, «Progressi dell'urbanistica italiana: dai piani regionali ai piani territoriali», L'Ingegnere, aprile 1939

[26] Cfr. Armando Melis, «Dopo il Congresso di Roma», in Urbanistica, III, 1937

[27] Cfr. Piero Bottoni, Urbanistica, Quaderni della Triennale, Hoepli, Milano 1938
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[28] Cfr. Redactor, «Un Piano Provinciale per la soluzione del problema dell'abitazione operaia», Lo Stile, marzo 1941

[29] Cfr. Giovanni Balella, «L'industria nell'Italia fascista», Concessioni e Costruzioni, gennaio 1940

[30] Cfr. Vincenzo Civico, «L'urbanistica come problema nazionale», Critica Fascista, marzo 1942; «Distribuire il lavoro per distribuire la popolazione», idem, maggio 1942

[31] Gustavo Giovannoni, «Questioni urbanistiche», cit., p. 9

[32] Cfr. Giuseppe Gorla, L'Italia nella Seconda Guerra Mondiale - Diario di un milanese Ministro del Re nel Governo di Mussolini, Baldini & Castoldi, Milano 1959

[33] A metà degli anni Cinquanta, un dirigente della Democrazia Cristiana, introducendo un convegno sui piani regionali, attribuirà - innocentemente quanto significativamente - al progetto professionale degli architetti, più che a una scelta politica del fascismo, la legge del 1942. Cfr. Atti del convegno internazionale sulla pianificazione provinciale e regionale (Passo della Mendola 3-7 novembre 1955), pubblicati a cura della Camera di Commercio di Trento

[34] Marco Romano, L'urbanistica in Italia nel periodo dello sviluppo - 1942-1980, Marsilio, Venezia 1980, p. 26

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