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Antonio- Cederna
1965, Premessa a Mirabilia Urbis
26 Agosto 2006
Scritti di Cederna
Roma. La denuncia, dolente e furente, dei guasti della retorica 'romanista' fascista e dell'arrembante speculazione edilizia post-bellica. Da Mirabilia Urbis, Torino, Einaudi, 1965, pgg. VII-XI. (m.p.g.)

Roma antica, e lo sconfinato campo delle sue rovine, ha funzionato nei secoli da stimolo etico sulla cultura europea. Partecipazione commossa della memoria, sgomento di una tragedia universale, sospensione di ogni interesse pratico , lacrimae rerum: la rievocazione della grandezza passata nasceva direttamente dal disfacimento presente, quel gran «cadavere» era l'ammonimento, il freno contro ogni esaltazione viziosa.

Con l'affacciarsi dell'Italia al mondo moderno e l'unificazione nazionale, è invece l'interpretazione deteriore della romanità, ricorrente nella cultura italiana, che diventa sentimento e letteratura comune: la romanità diventa oggetto di nostalgia reazionaria e incentivo a velleità di potenza, viene degradata a eccitante di avventura e di boria nazionalistica. Giunta tardi e senza tradizioni alla dignità nazionale, la borghesia italiana si specchia impotente nella gloria passata, tenta di trarne gli auspici, comincia a sognare ritorni impossibili: Roma, ovvero l'immagine stravolta di essa, diventa la Medusa che pietrifica chi si volta a guardarla, remora ad ogni progresso civile. E’ in nome di Roma che Mussolini annienta lo Stato.

Mentre il progresso del mondo imponeva di riguardare al passato con la nuova prospettiva e il distacco offerto dalla cultura critica e storica, e mentre occorreva concentrare gli sforzi per affrontare con strumenti adeguati i grandi problemi posti alle nazioni moderne dalle trasformazioni economiche, sociali, territoriali, da noi si instaurava una mitologica continuità tra il presente e i fantasmi di una civiltà sepolta. La sorte patita da Roma sotto il fascismo è esemplare. Nell'ignoranza di tutti i mutamenti intervenuti nella storia delle città con la rivoluzione industriale, si pretese di «adeguare» semplicisticamente, meccanicamente la città vecchia alla vita moderna, per via di sventramenti e di addizioni successive, fino a cancellarla dalla faccia della terra: come sarebbe accaduto se si fosse realizzato interamente il piano regolatore del 1931, in cui si era espressa tutta la cultura ufficiale del tempo.

Così facendo il fascismo, mentre esaudiva i voti di una generazione di retori, di archeologi e di decadenti, manifestava la sua incultura e il suo carattere anacronistico: Roma veniva considerata un immenso deposito alluvionale da setacciare, alla ricerca dei ruderi più antichi, facendo piazza pulita di tutto quanto si era venuto frapponendo tra essi e noi, cioè della storia stessa. Al rito negromantico della «risurrezione» di Roma (« e Roma rinascerà più bella e più superba che pria », dirà il Nerone di Petrolini), alla ricostituzione di colossali «denti cariati», di scheletri monumentali entro uno spazio metafisico, poi subito sommersi dal traffico e dagli edifici di speculazione, tutti, italiani e stranieri, applaudirono: ci si dimenticò soltanto di costruire la Roma nuova, la Roma moderna, la città per gli uomini e per le loro esigenze di vita.

La montatura romanistica degli anni trenta è stata la manifestazione vistosa di un atteggiamento congenito di gran parte della classe dirigente italiana: la sordità ai problemi del progresso, il ripiegamento su un assetto politico-economico arcaico, il rifiuto della cultura e della tecnica, di ogni pianificazione nell'interesse pubblico. L'esaltazione isterica della romanità, a fini retorici e di propaganda politica, non è stata che il diversivo sentimentale dell'unico culto autentico praticato dalla società italiana, il culto del lotto e delle aree fabbricabili, nel sostanziale disprezzo per l'uomo. Roma divenne oggetto di mercato, fu abbandonata come una carogna al sole al saccheggio privato. Ai fantasmi melodrammatici dei ruderi raschiati corrisposero immediatamente le borgate e i ghetti, gli spaventosi concentramenti della periferia, la congestione e il sovraffollamento, lo sgangherato espandersi della città, in esclusivo omaggio alla furente speculazione edilizia: via via fino ai nostri giorni, fino a quella sinistra bancarotta dell'urbanistica romana degli anni cinquanta, che non ha riscontro nella storia di nessun'altra città del mondo, e che ha avuto effetti peggiori di una qualsiasi calamità naturale.

Roma presenta oggi un centro storico degradato e impraticabile, incrostato in mezzo a un'immensa, informe agglomerazione, squallida e sterminata periferia, sorta nel segno della violenza privata e della complicità pubblica, che tutto si può chiamare fuor che città. La stessa configurazione fisica di Roma è stata distrutta: un unico tavoliere di cemento, uno stomachevole, soffocante magma di «palazzine» e «intensivo », colma le valli, ricopre le colline, sommerge la campagna, grazie allo sfruttamento dell'ultimo metro quadrato disponibile, quasi ci si fosse proposti di impedire a chiunque di dire: questa era Roma.

Roma ripercorre a ritroso la storia delle città straniere, e ogni decennio segna un'ulteriore fase di decadenza: gli stessi problemi elementari posti dal traffico motorizzato sono stati semplicemente ignorati a vantaggio dei padroni del suolo. II risultato piuttosto di un'ormai secolare insipienza, ed esperienza quotidiana per tutti, è il caos e il disagio della circolazione nei nuovi quartieri, più inadatti alla vita moderna di quelli di età barocca, con una rete stradale che sembra tracciata da un branco di deficienti, in un'inconcepibile confusione di attività e di funzioni. Quanto si costruisce oggi - ha scritto un giornalista straniero - sono gli slums di domani: ai baraccati e ai segregati delle bidonvilles non resta che la prospettiva del carcere a vita nelle inumane concentrazioni dell'intensivo destinate, queste sì, a durare nei secoli.

La grande invenzione dell'urbanistica moderna, vanto delle città dei paesi civili, gli spazi naturali liberi e attrezzati per la ricreazione e lo sport, il verde pubblico non entrano nelle previsioni, sono stati sadicamente eliminati: lo spettacolo quotidiano, l'indice maggiore della criminalità della politica seguita fin qui, sono bambini, ragazzi e giovani costretti a trascinarsi nelle strade, tra l'immondizia e il traffico, a giocare nella polvere o nella sterpaglia dei lotti non ancora fabbricati. In nome degli eterni valori, anzi del plusvalore delle aree, la generazione nata e cresciuta col «miracolo» e il boom edilizio è stata con- dannata alla nevrosi, alla menomazione psichica e fisica.

Roma non è altro oggi che l'espressione topografica della distribuzione della proprietà fondiaria, il suo paesaggio urbano la proiezione dell'abuso e dell'illegalità, traduzione puntuale dei voleri delle società immobiliari, di una banda di imprenditori improvvisati e ladri. Ogni piano regolatore ha finito con l'essere la sanatoria di fatti comunque compiuti,. il rifiuto degli strumenti messi a disposizione dalla scienza, il disprezzo per le norme elementari dell'urbanistica moderna, l'ignoranza dei problemi sociali ed economici di una città in espansione, il perseguimento del vantaggio privato a scapito dell'interesse comune: questi e non altri sono i criteri adottati dalle forze politiche dominanti, che hanno basato le loro fortune sulla rapina del suolo, e quindi provocato, sempre in nome dei sacri principi dell'appropriazione indebita, il colossale fallimento delle finanze pubbliche.

E’ dunque lo spettacolo della nuova Roma che si impone oggi alla meditazione del visitatore esterrefatto. Alle rovine create in passato dall'Invidia del Tempo abbiamo sostituito le macerie della nostra ignoranza: all' antico lamento sulla Varietà delta Fortuna dobbiamo oggi opporre l’azione politica contro una società irresponsabile e nemica del pubblico bene. Quella che ci sta davanti e che, come è stato ben detto, continuiamo a chiamare Roma per una pietosa convenzione fonetica, è un'orrenda contraffazione di città: e in essa, inconsapevoli dei loro diritti e condizionati da decenni di propaganda corruttrice, vivono due milioni e mezzo di uomini e donne, di bambini e di ragazzi, di adulti e di vecchi, di sani e di malati.

L'interesse delle persone sensate muta ormai di oggetto e dimensione. I nomi prestigiosi che sono stati un riferimento della cultura del mondo non hanno quasi più senso, se non per le esercitazioni sentimentali o erudite: altri nomi fatidici, altri itinerari, un'altra topografia si offre a chi vuole capire la situazione presente. Sono i nomi delle scandalose decisioni municipali, i nomi del vandalismo organizzato, del sudiciume e dello sfarzo, i nomi delle concentrazioni edilizie omicide, della sofferenza e dell'umiliazione quotidiana. Quartiere Trionfale, Monte Mario, Albergo Hilton, Monti della Farnesina, Vigna Clara, quartiere Africano, Aniene e Conca d'oro, Tufello, Pietralata, San Basilio, Prenestino, borgata Gordiani, Centocelle, Acqua Bullicante, Tor Pignattara, Tuscolano - Don Bosco, Appia Antica e Caffarella, Cristoforo Colombo, Torvaianica, Fiumicino, Viale Marconi, Donna Olimpia e Monteverde Nuovo, via Olimpica, eccetera eccetera: tanto per illustrare la varia casistica delle malversazioni, lungo tutto l'arco dell'orizzonte.

Questi i nuovi Mirabilia Urbis: questo il nuovo tour di Roma che occorre intraprendere, per misurare l'entità del disastro e riconoscerlo finalmente intollerabile per una nazione civile.

La situazione romana, nella sua particolare atrocità riproduce e riassume ovviamente la situazione nazionale: di un paese cioè che quasi tutti coloro che hanno una qualche responsabilità, politici, architetti, intellettuali, artisti, uomini di legge, «operatori economici» e via dicendo, concordano nel massacrare e nel trasformare nel repellente ritratto di un volgo disperso e senza nome: per cattiva cultura, distrazione, frivolezza o diretto interesse. E’ una realtà che va finalmente conosciuta, studiata e divulgata perchè si possa cominciare a sperare in qualche cosa di diverso: una realtà che, mentre ci distanzia sempre più dai paesi civili, dovrebbe servire almeno ad aprire gli occhi della gente sulla necessità di rinnovare radicalmente il nostro preistorico assetto giuridico in materia urbanistica e di proprietà del suolo. La nuova legge urbanistica è la riforma di fondo che andava fatta prima di ogni altra, e che non va in porto, e contro cui si è scatenata la indegna cagnara di tutta la destra politica ed economica: di tutti coloro cioè che, mentre si arricchiscono in danno della salute e delle finanze pubbliche e mentre impuniti devastano il territorio nazionale, usano invocare ogni momento il mito e il primato di Roma e d’Italia. Un mito e un primato che tra poco non significheranno altro che smentita alla civiltà, utopia alla rovescia, scandalo permanente di fronte al mondo. […]

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