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Antonietta Sandro; Mazzette Roggio
A chi serve il polo multifunzionale di Sestu?
13 Aprile 2006
Il territorio del commercio
Il nuovo Outlet Village per la Sardegna e le polemiche che genera, in due interventi critici dal Centro di Studi Urbani dell’Università di Sassari (f.b.)

A chi serve il polo multifunzionale di Sestu?

di Antonietta Mazzette

(coordinatrice del Centro di Studi Urbani dell’Università di Sassari)

A chi serve un centro Multifunzionale che ha già costruito oltre 60.000 mq ma che - come rilevato dal sito web SARDINIA OUTLET VILLAGE (gruppo Policentro) -, punta ad avere ben altre superfici di struttura commerciale, Factory Outlet, hotel (2), parcheggi (posti auto 3.046), attività comprendenti Shopping Center, attività di Entertainment, attività di ristorazione, e ancora, di Ipermercato, Parco commerciale, e così via?

Serve ad una regione che, in termini di consumo, può essere paragonata, dato lo scarso peso demografico, ad un quartiere di Roma? Certo anche la Sardegna, come il resto del Paese, ha assunto il consumo come tessuto connettivo principale (in molti casi come unico) della produzione, del lavoro e della vita sociale. Consumo peraltro alimentato dalle nuove cattedrali quali quella in oggetto e tante altre ancora: la Sardegna si colloca ai primi posti tra le regioni italiane per superficie di vendita per abitante.

Serve a riqualificare il territorio? Ricordiamo che gli insediamenti commerciali sono stati collocati prevalentemente nei pressi delle grandi arterie stradali, sulla scia di altre esperienze (Milano, Genova, Torino, Firenze, Roma), per beneficiare dei flussi di traffico dall’hinterland verso i sistemi urbani (è il caso di Cagliari e Sassari) e nelle città a forte espansione turistica (come Olbia).

Serve alle imprese minori? Che difficilmente possono contrastare l’azione della grande distribuzione nel ruolo di attrazione principale, sia perché non c’è una tradizione di consorzi e associazionismo tra piccole imprese, ma soprattutto perché è pressoché impossibile adeguarsi alle formule commerciali affermate in campo internazionale e che stanno in un contesto fortemente competitivo, come nei casi delle multinazionali che rappresentano la spinta alla internazionalizzazione della distribuzione in Sardegna.

Serve per risolvere i problemi dell’occupazione? Problemi che l’Isola si trascina con crescente fatica? I sostenitori del polo commerciale utilizzano, anch’essi come molti hanno fatto in passato, la bandiera dell’occupazione, dimenticandosi però che, a fronte di qualche centinaio di occupati oggi, migliaia di persone in quei territori domani perderebbero sicuramente il loro posto di lavoro se si desse luogo per davvero all’apertura della CORTE DEL SOLE. Nome intrigante questo, forse perchè con esso si è voluto rinviare all’artificio della Corte del Re Sole, o chissà alla stessa Città del Sole di Campanella. Rinviando, in entrambi i casi, ad un’utopia nel nome e ad un’illusione di città nella pratica.

Serve ai comuni che gravitano nel sud della Sardegna? Comuni che cercano faticosamente di conservare tutte le loro qualità di insediamenti urbani, compresa quella del commercio. Naturalmente no, e gli amministratori di questi comuni lo sanno talmente bene che hanno unito le loro forze per protestare contro l’apertura del polo commerciale di Sestu.

Serve alla città di Cagliari? Che in questi ultimi anni sta tentando di riassegnare qualità e funzioni al suo patrimonio storico-culturale; di ridare un volto nuovo al suo centro storico; di attrarre visitatori, consumatori, turisti; attività economiche per lo più legate allo svago seguendo i dettati della “ golden age of entertaninment”? Sembrerebbe di no, anche perché un’illusione di città dell’acquisto finirebbe inevitabilmente per svuotare la città reale.

Noi sappiamo che l’assunzione del consumo come funzione centrale e la marginalizzazione della produzione materiale, sono le prime cause della crisi delle nostre città e del resto dell’Isola. Ma il decollo di un ulteriore polo commerciale alimenterebbe la crescita disordinata e le numerose fratture di cui è piena la Sardegna.

Non voglio entrare nel contenzioso formale tra la Regione e la società, ma, lo confesso, ho salutato con gioia il decreto di sospensione dei nuovi mega insediamenti commerciali che la giunta Soru aveva così coraggiosamente istituito all’indomani della sua vittoria elettorale. E ciò innanzitutto perché la Sardegna troppo spesso e altrettanto troppo rapidamente ha trasformato vaste superfici a ridosso delle aree urbane e metropolitane in Centri Commerciali Integrati, parodie delle città del consumo e del divertimento del Nord-America. Questa presenza massiccia è stata realizzata in poco tempo, a fronte di una popolazione a dir poco esigua e che appare destinata a non aumentare. E proprio per questo, ogni volta che si è messo su un centro commerciale, lo si è fatto in riferimento ai milioni di turisti che assocerebbero il caldo sole delle spiagge con l’ombra ad aria condizionata di questi centri. Non è un caso che anche stavolta i rappresentanti del polo commerciale si siano riferiti ai 3.500.000 turisti potenziali consumatori e clienti della mitica Corte del Sole, perché se l’avessero dovuta riferire ai residenti di quell’area avrebbero avuto ben poche ragioni per investirvi.

Tutti questi interrogativi ci danno come unica risposta che nessuno degli interessi sopra richiamati riguarda l’isola, anzi ognuno di essi rappresenterebbe un ulteriore elemento di impoverimento per la Sardegna perché le ricchezze prodotte andrebbero comunque altrove.

Soru sta facendo il suo mestiere, quello che le regole valgano per tutti e quello di rappresentare gli interessi dei sardi.

Modello culturale e contesto ambientale dell'Outlet

di Sandro Roggio

(Centro di Studi Urbani- Università di Sassari)

L’evoluzione delle tipologie dei grandi centri commerciali si relaziona ai modi recenti di espansione della città, quindi allo “sprawl”: il fenomeno dell’insediamento diffuso, “sdraiato”, che ne ha agevolato la crescita.

Qualunque sia il loro carattere, i grandi centri commerciali sono in antitesi alle città . Non hanno interesse a mettersi in continuità con il racconto urbanistico perché non traggono vantaggio dai sistemi urbani coesi. Sono altro dalla città perché è nei territori incerti, postmoderni, che allignano facilmente. Sono estranei alla città anche quando cercano di darsi un’immagine che richiama le piazze e le strade dei vecchi centri abitati (che le denominazioni – il borgo, il villaggio, il vialetto, il portico – enfatizzano con vezzeggiativi : un indizio su cui occorre riflettere ).

Se il modello si è diffuso con un ritmo intenso negli ultimi decenni, si deve alle strategie del commercio(e ai modi, sempre accuratamente osservati, con cui cambiano i consumatori). E all’uso abnorme dell’ automobile, il mezzo che ha consentito alla città di estendersi e frammentarsi assumendo forme dilatate, tentacolari.

La tendenza ben nota in America (le cui esemplari espansioni “sdraiate”, la coppia drugstore- autostrada, sono scenari di tantissimi telefilm), è arrivata in Europa.

Così anche in Italia i supernegozi hanno attecchito e specializzato il loro multiforme modo di essere ( tante le tipologie: mall, lifestyle, big-box, outlet) con diverse misure e strategie di dislocazione (di scala urbana, di quartiere, regionale e interregionale). Le norme statali e regionali e i piani delle amministrazioni locali ne hanno assecondato a lungo e acriticamente la diffusione per dare risposte tempestive alle richieste di modernizzazione.

Grave errore. Il commercio, intrecciandosi con la vita di tutti i giorni ha dato vita a luoghi che sono tra le invenzioni più suggestive dell’umanità: le piazze pensate per lo scambio di merci sono diventati luoghi per la socialità, per l’incontro di culture e esperienze diverse. Quando poi il commercio si è separato dalle altre funzioni urbane c’è stato uno scadimento progressivo della vita nei vecchi centri

Oggi si parla di saturazione del fenomeno e qualche osservatore ritiene che il loro gradimento da parte del pubblico stia diminuendo, ma come tutte le cose ben avviate e vantaggiose per il mercato sembra difficile intervenire per fermarne l’ascesa.

Le grandi strutture di vendita sono arrivate in Sardegna e ogni città grande o media ha dovuto farci i conti. Ora è la volta di Sestu. “La corte del sole” è un intervento di scala regionale di oltre 60.000 mq. di negozi e subito fa riflettere la sua dimensione a fronte di un piccolo bacino di utenti. I consumatori, la quota del popolo sardo acchiappabile, sarebbero poco più 800.000, suddivisi per “ fasce di avvicinamento” , ossia “isocrone” come fa sapere il gruppo PoliCentro. Un target neppure ricco come si sa, ma si fa conto da parte di chi lo realizza, sulle molte presenze di villeggianti nel sud dell’isola.

Questa impresa globale ( la società ha realizzato e sta realizzando cose simili oltre che in Italia, in Russia, in Croazia) contribuirà a depotenziare la vitalità non solo dei centri dell’hinterland cagliaritano ma di quelli dell’intera isola, intercettando i flussi turistici meno propensi a entrare in contatto con la Sardegna vera. Contribuirà, ma a questo siamo abituati e un po’ rassegnati, a omologare la Sardegna a quei luoghi che invece sarebbe meglio non prendere ad esempio.

Per questo l’iniziativa di Soru (per gli aspetti relativi alle autorizzazioni comunali) assume un valore simbolico che si collega alle altre iniziative sul governo del territorio. Una linea che va sostenuta, perché bisogna almeno provarci a governare la globalizzazione.

Non si capisce il consenso che da qualche parte arriva a “La corte del sole” che sarebbe fondato sui livelli occupazionali garantiti, dimenticando che nella migliore delle ipotesi per ogni nuovo addetto nella grande distribuzione se ne perdono tre della rete tradizionale. Si capisce ancora meno o nulla se, come sembra, la realizzazione di questa struttura è stata resa possibile dalla trovata di sommare tante piccole autorizzazioni per piccoli negozi che tutti insieme sono un negozio di sei ettari.

Nota: sullo stesso tema (con link ai materiali) un recente articolo di Nicola Pisu su Il Sardegna (f.b.)

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