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Paolo Berdini
Evviva, a Roma è Tempo di speculazione
22 Aprile 2006
Roma
“Roma ha inventato la creazione perpetua della rendita”: un altro episodio. Da Carta etc, aprile 2006

Proprio in questi ultimi giorni che hanno preceduto l’approvazione delle controdeduzioni al nuovo piano regolatore, l’urbanistica romana ha raggiunto uno straordinario record: il consiglio comunale ha infatti votato uno dei più vergognosi regali alla speculazione immobiliare che sia mai stato concretizzato nel panorama italiano. Autore di questo ennesimo scandalo è l’assessore Claudio Minelli, un passato da sindacalista Cgil che nella giunta Veltroni svolge il compito di raccordo con i grandi poteri. Il suo assessorato è appunto denominato ai “grandi progetti”.

La deliberazione comunale di cui parliamo approva un precedente atto della giunta municipale romana, il n. 85 del 2005, finalizzato a un “programma di interventi per la realizzazione della nuova sede del Municipio XX e di un complesso di residenze in via Flaminia nuova nonché di un incremento di volumetria residenziale nel piano di lottizzazione convenzionata Acqua acetosa-Ostiense”. La vicenda è questa. Lungo la via Flaminia c’è un gruppo di vecchi capannoni produttivi abbandonati da decenni. Sono di proprietà di Bonifici, un nome molto noto nella capitale poiché oltre ad essere uno dei più grandi costruttori è anche il proprietario del Tempo, quotidiano aprioristicamente schierato con la destra più estrema che spesso da spazio a voci apertamente forcaiole.

Il quadro è quello che abbiamo più volte evidenziato su queste pagine: a Roma l’urbanistica pubblica non esiste più, sostituita da un oscuro sistema di sotterranee contrattazioni con la proprietà immobiliare. Così Bonifici propone al comune di Roma di realizzare la sede del Municipio su una parte dell’area dove ricadono i capannoni. Ovviamente in cambio pretende un diluvio di cemento. Se è soltanto attraverso la rendita fondiaria che si possono realizzare servizi pubblici, i proprietari sono autorizzati ad avere in mano il destino delle città.

Utilizzando la legge per il Giubileo del 2000, la proprietà aveva ottenuto la possibilità di realizzare un albergo al posto dei capannoni abbandonati. L’albergo non è mai stato realizzato e quella legge affermava esplicitamente che le procedure straordinarie sarebbero decadute alla conclusione del Giubileo. Siamo nel 2006 e la proprietari fanno il furbesco tentativo di vantare ancora quell’ipotetica cubatura e tentano di trasformare i 105.440 metri cubi ottenuti nel 1999 in più remunerative residenze. Quella concessione era scaduta ma il comune non batte ciglio e accetta la contrattazione. E qui avviene un altro passaggio vergognoso.

Afferma infatti la deliberazione di Giunta che “a seguito delle verifiche preliminari di compatibilità urbanistico ambientale è emersa la necessità che comunque la volumetria che poteva essere realizzata sull’intera area andava ridotta e l’area opportunamente indagata sotto il profilo di presumibili preesistenze archeologiche quali il tracciato dell’antiva via Flaminia, di possibili resti di murature antiche e di un altro tracciato viario”. Un modo contorto per dire che la Soprintendenza archeologica aveva più volte segnalato che l’area è interessata dal tracciato della via Flaminia, già visibile ad appena poche centinaia di metri di distanza.

L’area non permette dunque la realizzazione delle cubature previste. In un paese civile le cubature sarebbero state tagliate, in coerenza con le esigenze di tutela. A Roma no. Non si può fermare l’economia ed umiliare la speculazione edilizia. Ecco pronta la ricetta: la parte eccedente delle cubature che non si possono realizzare vengono trasferite su un altro terreno del gruppo Bonifiaci, localizzate all’Eur e attualmente destinate a verde privato! Così ventimila metri cubi, oltre la nuova sede del municipio, verranno realizzati al Flaminio. La parte più rilevante, 75.000 metri cubi, andranno in un altro quadrante urbano.

Riepiloghiamo. Una concessione ormai scaduta viene arbitrariamente recuperata in aperta violazione della legge. La gigantesca cubatura che essa prevede non può essere realizzata poiché il sito è interessato da rilevanti preesistenze archeologiche. La parte eccedente di quella cubatura viene così compensata su altri terreni oggi inedificabili, ubicati nell’altro capo della città. Il trionfo della proprietà fondiaria.

Potrà sembrare incredibile, ma non è ancora tutto. Pur se ridotte, infatti, le cubature da realizzare sulla via Flaminia devono prevedere per legge la cessione delle aree per servizi pubblici. Afferma ancora la deliberazione comunale che quelle aree non sono sufficienti a fornire lo standard urbanistico. Ecco allora che si consente alla proprietà di ridurre la quantità di standard e di localizzarla su un altro terreno limitrofo ma non contiguo all’area edificabile. Questo terreno per il verde di quartiere e per i servizi è localizzato al di là di una ferrovia esistente ed è oggi destinato a uso industriale!

I lettori di Carta ricorderanno che uno dei punti più scandalosi della famigerata legge Lupi era relativo proprio all’abolizione dell’obbligatorietà della dotazione minima dei servizi e la sostituzione con l’ambiguo concetto della “prestazionale di qualità”. Roma, vera avanguardia dell’urbanistica liberista, ha dato concreta dimostrazione dell’oscuro concetto di qualità dei servizi: si mettono in misura ridotta al di là di una ferrovia. Ma c’è sempre il lieto fine. E’ lo stesso Bonifici che si propone di realizzare il sovrappasso sulla linea ferrata: i palazzinari hanno un cuore, mica sono selvaggi. E’ ovvio che per realizzare questo ponte pedonale si dovranno spendere soldi e dunque si devono aumentare le cubature da realizzare. Roma ha inventato la creazione perpetua della rendita.

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