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Nerio Casoni
Verso un centro commerciale conviviale (1)
16 Marzo 2006
Il territorio del commercio
Un osservatore al tempo stesso interno ed esterno alla logica del puro consumo, propone una riflessione verso forme spaziali e sociali più complesse. E forse più convenienti per tutti. Articolo inedito per eddyburg_Mall, marzo 2006 (f.b.)

Negli ultimi anni l’accentuazione e l’attenzione posta al ruolo sociale, di relazione che viene sempre più attribuito alle strutture commerciali è oramai un dato di fatto.

Dopo la sbornia di “macchine per vendere” fatta negli anni 80’, vi è stato un graduale e progressivo spostamento verso una visione più umanizzante dell’attività del vendere e del modo in cui è considerato il punto vendita tout court che, ci si è accorti, mette i consumatori in relazione tra loro, facendoli sentire, appunto, persone. Ciò in realtà non viene ricercato, è una “conditio sine qua non”, lo si vuole piuttosto conosciuto e controllato, gestibile e condotto per mano, da fili invisibili, in cui marketing emozionale, marketing relazionale, antropologia del consumo sono solo alcuni tra gli strumenti che insieme ad altri scrutano dentro di noi e fuori di noi per vedere cosa facciamo, cosa pensiamo, cosa desideriamo ma soprattutto come, cosa, quando e quanto consumiamo.

Mettere a proprio agio il consumatore riuscendo a dare familiarità allo spazio di vendita ha permesso di sviluppare approcci in cui l’effetto mercato, il negozio nel negozio, la confusione programmata e pianificata, l’individuazione di spazi che ricordano i “vuoti” delle città, sono tutti tentativi , anche ben riusciti in molti casi, in cui si è cercato di dare risposte al bisogno emergente di semplicità., di genuinità. Ripresi questi argomenti dalla pubblicità più attenta ne assaporiamo la visione costellata di un’aurea ecologica armonicamente inserita in un mondo felice e rilassato.

Architettonicamente si sono sviluppati concept idonei e in particolare nel mondo dei centri commerciali o delle tipologie a loro assimilabili si è sempre più tentato di imitare l’atmosfera, il clima del paese, del borgo, in cui tutti si è amici e in cui si vive felici . Lo spazio commerciale diventa un falso luogo pubblico che permette solo comportamenti codificati e predeterminati. Bisogna acquistare, ci si può sedere in panchine strategicamente posizionate e non per troppo tempo, si può girovagare a vuoto, meno lo si fa meglio è, un centro commerciale con mall, oppure open air o life style o new town center o altro potrà essere visitato difficilmente potrà essere vissuto.

I tentativi sono molteplici e diffusi oramai in tutto il mondo occidentalizzato, è il trionfo, sembra, di un modello di sviluppo, di uno stile di vita, di una socialità che si ritrova alla fine solo in ciò che è predefinito predeterminato preconfezionato e previsto. Si assiste in questo ultimo periodo al tentativo di dare “risposte” ai problemi del centro storico, sembra un’operazione tautologica, si pongono al centro storico domande, o gli si attribuiscono problemi, ai quali si riesce a dare risposte preconfezionate con un unico intento: rendere il centro storico simile al centro commerciale, carpendone però il fascino che solo la sua storia può esprimere. Un artifizio, una piroetta per avvalorare la superiorità di un mercato che sembra oramai in grado di sussumere tutto, fagocitare tutto e apparentemente, non sembra a corto di idee e di novità.

Commercio e cultura, dopo il sopraffare del primo rispetto il secondo, devono, pena il reciproco decadimento, ricomporsi ad un livello in cui uno favorisce lo sviluppo dell’altro.

Il soddisfacimento dei bisogni è un’attività sociale e come tale può essere strumento per favorire il progressivo distacco da quella mostruosa macchina che è il consumismo tout court.

Non è che per caso che il commercio abbia perso la sua vocazione, e assieme ad essa anche la propria anima? Ritrovare il filo conduttore della sua funzione e della sua storia non per nostalgiche e romantiche reminescenze che non porterebbero a nulla ma la capacità di coniugare la funzione propria dello scambio con le esigenze del mondo di oggi sono più individuabili tra i cercatori di sogni e gli inguaribili utopisti.

Il commercio può e deve rappresentare il nuovo che avanza, il desiderio di cambiamento, l’aspirazione a un nuovo ordine del mondo, quello che faticosamente si esprime nelle molteplici forme del desiderio di affrancamento e di giustizia sociale, questo il commercio deve esprimere, perderà sicuramente in profitto a favore di pochi ma guadagnerà nel segno dell’equità a favore di tutti .

In effetti rappresenta una attività ineliminabile tra quelle umane perché è l’essenza stessa del rapporto sociale mi sia concessa da non marxista una piccola citazione in “lingua” quando si nota che il rapporto di produzione connatura di se il rapporto sociale che diventa rapporto sociale di produzione che, a sua volta riproduce rapporti sociali di produzione, è tutto qui. Rompere questa catena è l’aspirazione di ogni uomo che aneli al progresso individuale e sociale. Può il commercio e, in modo particolare le forme aggregative che lo hanno sempre accompagnato, nelle diverse forme e culture, essere strumento attivo di questo possibile cambiamento? Fortunatamente non pianificato ma semplicemente desiderato.

Penso di si, se è vero che sono stati abili a trasformare i bisogni primari una volta soddisfatti in desideri, camuffandoli a noi stessi in bisogni spesso inutili e deleteri; dobbiamo tutti imparare a desiderare il necessario .

Nuove forme aggregative del commercio devono al proprio interno comprendere quei prodotti che oltre ad essere commercializzabili, quindi utili, siano soprattutto realizzati in modo da non risultare soggiogati dal principio nefasto del profitto. E’ molto difficile perché, occorre sottolineare, il lavoro deve produrre ricchezza, per definizione, ma quando questa è sociale è molto meglio e sopratutto quando il momento transativo relaziona tra loro soggetti che hanno valori di riferimento più alti e più ampi, socialmente condivisi, si realizza un piccolo passo verso la emancipazione sociale, non necessariamente violenta, ma determinata si.

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