loader
menu
© 2024 Eddyburg
James Kessenides
La trasformazione dello spazio commerciale
11 Dicembre 2005
Articoli del 2004
Recensione a un libro dello storico dell'architettura Richard Longstreth Una specie di mitologia del rapporto commercio-società, con molto commercio e poca società. Da H-Urban dicembre 1999 (fb)

Recensione a: The Drive-In, the Supermarket, and the Transformation of Commercial Space in Los Angeles 1914-1941, MIT Press, Cambridge, Mass., London 1999 – traduzione di Fabrizio Bottini

”L’architettura commerciale americana” osservava Richard Longstreth più di dieci anni fa “sta solo cominciando ad essere compresa”. Se oggi ne cogliamo i contorni con qualcosa in più di una nascente profondità, è certamente in gran parte merito dello stesso Longstreth. In particolare, il suo ultimo lavoro su Los Angeles merita speciale attenzione, perché rappresenta uno sforzo maturo e imponente per capire l’ambiente costruito entro il quale gli americani hanno comprato e venduto beni e servizi. L’altro lavoro di Longstreth, Dal centro città al centro commerciale regionale: l’architettura, l’automobile e il commercio a Los Angeles, 1920-1950, fu pubblicato due anni fa, e ora è seguito da questo Il Drive-In, il Supermarket, e la trasformazione dello spazio commerciale a Los Angeles, 1914-1941. Come il volume precedente, anche questo è enciclopedico per quanto riguarda la ricerca, e acuto nel distillare i risultati di questa ricerca: un lavoro indispensabile, un grande contributo alla storia dell’architettura, da considerarsi come una aggiunta alla storia delle città e dei suoi suburbi d’America.

Il Drive-In esplora come il fare la spesa arrivò, negli anni Cinquanta, ad essere strutturato precisamente, coordinato secondo due tipi di esperienza spaziale: quella dello spazio esterno di un parcheggio, e quella dello spazio interno di un’area commerciale, esse stesse via via definite nel corso di circa quarant’anni, a partire dagli anni Dieci, e solo dopo la Seconda Guerra Mondiale pienamente riconciliate, con l’avvento dello shopping center. Lo studio di Longstreth è, ed è importante sottolinearlo, contemporaneamente tipologico e genealogico; identifica tre forme di architettura commerciale alle quali lo shopping center deve qualcosa, e le considera separatamente, dedicando un capitolo a ciascuna, e procedendo più o meno cronologicamente con ciascuna nuova forma architettonica.

Il libro comincia con una considerazione di quanto denominato negli anni Venti “ super service station”. Il suo predecessore, il comune distributore di benzina, rappresentava già un “lavoro rivoluzionario” perché alterava lo “schema a saturazione del lotto, orientato alla strada, che definiva chiaramente il confine fra spazio pubblico e privato, verso un altro in cui lo spazio era continuo, la separazione fra i due ambiti minimamente percepibile, e l’edifico vero e proprio un oggetto nel mezzo dello spazio, ad occupare solo una frazione dell’insieme” (p. 8). Là dove la stazione di rifornimento trafficava solo in benzina e olio, la super service station offriva una varietà di servizi automobilistici, comprese “ auto-lavanderie”. Per dirla con Longstreth, “Il servizio all’automobile entrava così nel campo del commercio moderno come attività integrata” (p. 10).

Entro la metà degli anni Trenta, le grandi compagnie di carburanti e pneumatici avevano costretto la super service station, di solito proprietà di un operatore indipendente, ad una versione condensata di sé stessa, ma nondimeno essa aveva stabilito un precedente, nell’incorporare l’automobile nel progetto di una struttura commerciale. Il secondo capitolo di Longstreth continua il racconto con un’analisi di quello che verso la fine degli anni Venti inizia ad essere chiamato il “ drive-in market”. Con un piazzale anteriore dove gli automobilisti parcheggiano, e un edificio a forma di “L” sul fondo, dove i clienti possono scegliere fra vari negozi alimentari, il drive-in market spesso si localizza ad un angolo tra due strade, per avere una certa visibilità. Se nel caso della super service station il piazzale costituiva lo spazio “principale” sperimentato dai clienti, quello del drive-in forma “una zona intermedia, il luogo da cui la gente può entrare nell’edificio da molti punti” (pp. 46-47). Una volta superato il lungo fronte aperto, ed entrati nell’edificio, dove i punti vendita si fondono l’uno con l’altro, i clienti sono portati a sentirsi più liberi che se stessero facendo acquisti negli spazi “cavernosi e limitati” di un tradizionale grocery store (p. 45).

Questo senso di libertà raggiunge la propria penultima espressione nel terzo tipo di architettura commerciale trattato da Longstreth: il supermarket. In questo caso la Ralph Grocery Company emerge come pietra di paragone. Con il suo negozio su Wilshire Boulevard, aperto nel 1928, Ralph “crea un nuovo tipo di spazio alto, imponente, ma non gerarchico e che induce al passeggio, consentendo ai consumatori di scegliersi il proprio percorso di spostamento, e i propri acquisti. In nessun caso, prima, uno spazio commerciale tanto vasto era sembrato percettivamente così aperto e liberatorio” (p. 92). Nella quantità dei suoi reparti, nella natura dei suoi modi di vendita (centrati sui grandi volumi, i generi a basso prezzo e il self-service), nel progetto dei suoi parcheggi e negozi, Ralph era davvero notevole. Ma forse, Ralph fornisce solo l’esempio più visibile di un impulso, un impulso che cerca di farsi strada lungo tutto il racconto di Longstreth: presentare Los Angeles come eccezionale, rivendicandone il ruolo di vivaio di una costellazione di prototipi per l’America del Ventesimo secolo. Naturalmente, LA si è davvero dimostrata particolarmente influente in molti modi, durante questo secolo, e Longstreth ne ha convincentemente illuminata una non piccola frazione. In più, ha magnificamente contenuto l’impulso all’eccezionalismo che molti, se non tutti, i losangelini provano di tanto in tanto. Ma l’impulso non è stato contenuto del tutto. All’inizio del capitolo su supermarket, si afferma che questa forma di spazio commerciale ha ricevuto “un maggiore contributo nell’area metropolitana di Los Angeles, che in ogni altra parte del paese”, riconoscendo allo stesso tempo come “strutture che saranno prototipi chiave per il supermarket emergono in modo indipendente in parecchie città durante gli anni Venti” (p.79). Alla fine del capitolo, Longstreth propone una formula leggermente diversa: “I precedenti della California meridionale sono probabilmente i più importanti per la definizione del tipo, mentre si avvicinava alla maturità nei primi anni Quaranta. Comunque, gli eventi catalizzatori che spingono il supermarket sotto i riflettori dell’attenzione pubblica in tutto il paese, non hanno luogo né a Los Angeles, né a Houston, dove esisteva il più importante prototipo, ma nell’area metropolitana di New York, dove non si conosceva niente del genere prima della Depressione” (p. 121). Le linee delle influenze tracciate dal Longstreth possono certo essere contestate, ma qui vorrei contestare semplicemente i modi di questa influenza: ovvero, il linguaggio a base di superlativi che ha saturato lo scrivere su Los Angeles. Se un linguaggio di questo tipo sembra preoccupare molto meno – o in effetti, distrarre – gli storici di altri luoghi, sembra però ostacolare una maggior comprensione di Los Angeles.

Il Drive-In

Né i pensieri e le sensazioni degli americani riguardo ai luoghi e spazi che abitano non saranno più gli stessi. Ma, per quanto la divisione fra interno ed esterno scorra lungo tutto lo studio di Longstreth, il mondo interiore di idee e valori che hanno imbevuto di senso le esperienze degli americani negli edifici commerciali, non riceve molta attenzione. Occasionalmente Longstreth si infila in queste idee a valori, a volte in modo suggestivo, come quando cita le conclusioni di un losangelino, secondo cui “Sta diventando una cosa tanto gradevole, andare al mercato, che molte donne che non sono mai state entusiaste dei lavori di casa dovranno tra non molto cedere all’incantesimo” (p. 93). Nel capitolo finale del libro, comunque, potemmo chiederci se Longstreth abbandona la natura fluida del senso storico, a favore della sua tipologia preferita, visto che sembra insistere sulla distinzione fra il drive-in e lo shopping center pur ammettendo che “la distinzione tra i due non sembra grande, secondo molti osservatori. Carl Feiss, architetto e urbanista, allora professore alla Columbia, non era probabilmente l’unico a descrivere i complessi di mercato drive-in a Washington, D.C., come tipi di shopping centers” (p. 159).

Comunque, Il Drive-In troverà certamente uno spazio sugli scaffali dello storico dell’architettura e, più in generale, degli storici delle città e suburbi d’America. Insieme a City Center to Regional Mall, ci si presenta come niente di meno che una grande opera.

Nota: per un confronto, si veda ad esempio un'altra recensione riportata su Eddyburg, molto più attenta agli aspetti di uso sociale degli stessi spazi, "consumati dallo shopping". (fb)

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg