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Dario Predonzan
Friuli-V. Primo commento al ddlr “Norme in materia di Piano Territoriale Regionale”
24 Settembre 2005
Proposte e commenti
Una legge "urbanistica" per costruire infrastrutture senza lacci e lacciuoli: cancellate le province, ridotta la pianificazione regionale all'ipsedixit. Con il testo allegato e una postilla.

Il testo del ddlr, approvato dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia nella seduta del 29 agosto 2005, ricalca in sostanza la bozza già divulgata informalmente da alcuni mesi e disponibile nel sito della Regione (sezione “Trasparente”).

Gli aspetti di maggior problematicità, dovuti anche ad una stesura assai carente sotto il profilo della tecnica legislativa, paiono essere i seguenti.

L’indeterminatezza

Il Titolo I (artt. da 1 a 8), secondo quanto dichiarato al c. 2 dell’art. 1, “esercita la sua efficacia nelle more del riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”, ma non è chiaro in cosa consista tale “efficacia”, poiché gli artt. da 1 a 8 consistono sostanzialmente in una serie di dichiarazioni di principio o di intenti, da riempire di contenuti mediante successivo provvedimento normativo “di riordino organico della normativa regionale in materia di pianificazione territoriale e urbanistica”. Per quest’ultimo non vengono neppure indicate scadenze temporali di sorta.

L’art. 2 elenca ad esempio le “risorse essenziali di interesse regionale”, che appaiono tali (aria, acqua ed ecosistemi ; paesaggio e documenti della cultura ; sistemi infrastrutturali e tecnologici ; sistemi degli insediamenti) da esaurire di fatto l’intero ambito della pianificazione territoriale e che vengono attribuite (art. 3, c. 1), alla competenza della Regione, salvo poi aggiungere che la successiva legge regionale stabilirà “i criteri per individuare le soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di cui al comma 1 per mezzo del Piano Territoriale Regionale”. Anche il PTR, quindi, in funzione del quale apparentemente il ddlr è stato redatto, viene così rinviato ad un imprecisato domani, come del resto conferma anche l’art. 8, c. 1.

Assolutamente incomprensibile appare tuttavia il c. 2 dell’art. 8, che sembrerebbe sancire l’abrogazione delle procedure di formazione del PTRG previste dalla L.R. 52/1991 (artt. 5 e 6), senza però che tale abrogazione sia esplicita. Né d’altronde è pensabile si possano abrogare norme vigenti, mediante il semplice rinvio alle “disposizioni della presente legge” che, come detto, nulla dicono in merito alle procedure relative al PTR, in quanto si limitano a rinviarle ad una successiva futuribile legge regionale.

Per quanto concerne i livelli di pianificazione, si dichiara d’altronde (art. 1, c. 1) che “la funzione della pianificazione intermedia è svolta dai Comuni”. Concetto ribadito dal successivo art. 4, cc. 2 e 3, che tuttavia non aggiungono nulla in merito alle modalità attraverso le quali il Comune (singolo ? associato ?) potrà esercitare la funzione della pianificazione sovraccomunale, salvo aggiungere l’indicazione circa la possibilità che ciò avvenga “anche con enti pubblici diversi dal Comune”. Enti (anche economici ?) che peraltro non vengono individuati, essendo la materia rinviata alla successiva legge regionale.

Sia la definizione dei confini delle competenze pianificatorie tra Regione e Comuni, sia la strutturazione del ruolo comunale nella pianificazione sovraccomunale, vengono perciò rinviate al successivo atto normativo.

L’economicismo “sviluppista”

L’art. 5, elencando le “finalità strategiche del PTR”, delinea un’impostazione della politica territoriale in Friuli Venezia Giulia completamente sbilanciata sul versante – alquanto obsoleto –dello sviluppo economico inteso in senso tradizionale, cioè come crescita (del PIL).

Vengono infatti citate, nell’ordine, le seguenti finalità :

“le migliori condizioni per la crescita economica del FVG e lo sviluppo della competitività del sistema regionale ;

le pari opportunità di sviluppo economico per tutti i territori della Regione ;

la coesione sociale della comunità nonché l’integrazione territoriale, economica e sociale del FVG con i territori contermini ;

il miglioramento della condizione di vita degli individui, della comunità, della fauna, della flora e in generale l’innalzamento della qualità ambientale;

la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, storico e paesaggistico”.

Balza altresì agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a :

- criteri di sostenibilità ambientale dello “sviluppo” (che comporterebbero l’adozione di opportuni indicatori nell’attività di pianificazione e soprattutto nella valutazione degli esiti della pianificazione stessa) ;

- l’individuazione e la tutela delle “reti ecologiche” e del patrimonio naturalistico in genere (che non coincide con il patrimonio “culturale, storico e paesaggistico”) ;

- la necessità di arrestare il consumo di suolo non urbanizzato, agricolo e naturale o semi-naturale, privilegiando per converso il riuso di aree già urbanizzate e degradate o sottoutilizzate.

L’equivocità

Il PTR avrebbe altresì (art. 6, c. 2) valenza di piano paesaggistico, ai sensi del D. Lgs. 42/2004, ma è evidente che l’indeterminatezza su tempi e modalità di redazione (v. sopra) è tale da vanificare alla radice questa indicazione. Nulla si dice, invece, rispetto al destino degli strumenti con valenza di piano paesaggistico già predisposti ai sensi della L.R. 52/1991, come in particolare il PTRP per la costiera triestina. Nulla si dice neppure rispetto alla valenza del PTR, in quanto piano paesaggistico, rispetto agli strumenti di pianificazione di livello locale, laddove il rapporto tra (mancata) pianificazione sovraordinata – in particolare quella con contenuti paesaggistici – e PRGC rappresenta nei fatti uno degli elementi più critici della concreta pratica urbanistica in FVG (come gli esempi della baia di Sistiana e dell’intera costa triestina dimostrano ad abundantiam).

Del tutto privo di effetti concreti appare altresì il richiamo (una sorta di “pro memoria”) alla Direttiva 2001/42/CE sulla V.A.S. ed alle “metodologie di Agenda 21”, che dovrebbero presiedere (art. 7) alla formazione del PTR. Non si comprende, d’altro canto, perché tale richiamo non venga esteso – come la logica e lo stesso contenuto della Direttiva citata vorrebbero – a tutti gli strumenti di pianificazione territoriale.

Balza ancora agli occhi l’assenza di qualsiasi riferimento a norme di salvaguardia, assolutamente indispensabili nel contesto dell’annunciata redazione di uno strumento con valenza di piano paesaggistico, per evitare che lo stesso intervenga “dopo che i buoi sono già scappati dalla stalla”.

Tale assenza è tanto più vistosa ed inspiegabile, alla luce di quanto previsto al Titolo II (“Norme in materia di localizzazione di infrastrutture strategiche”), laddove la salvaguardia – sotto forma di “sospensione temporanea dell’edificabilità” – è prevista (art. 10, c. 1) per tre anni, al fine di salvaguardare da edificazioni incompatibili i progetti dichiarati “di interesse regionale”.

Norme cogenti sono cioè previste nel ddlr, soltanto allo scopo di favorire la realizzazione di opere infrastrutturali (prescindendo, a quanto sembra, dalla compatibilità ambientale delle stesse e dall’esito delle relative procedure di VIA e/o valutazione di incidenza), mentre invece non sono previste per il PTR, nella parte diretta a tutelare valori ambientali e paesaggistici.

Le infrastrutture (di ogni tipo e natura)

Il vero contenuto normativo del ddlr in questione è infatti quello rappresentato dal Titolo II, il cui scopo è chiaramente dichiarato all’art. 9 (“preservare la possibilità di realizzare infrastrutture strategiche ovvero dotare la Regione di strumenti che ne facilitino la realizzazione”).

L’individuazione dei progetti “strategici” (non meglio identificati e non necessariamente soltanto relativi ad infrastrutture) di interesse regionale, viene rinviata a successive delibere della Giunta regionale, previa intesa con i Comuni interessati (art. 10, c. 2). Intesa che dev’essere raggiunta mediante una “conferenza con i soggetti interessati” (art. 10, c. 3). Non viene precisato in alcun modo chi siano tali soggetti, potendosi quindi ipotizzare trattarsi sia – ipotesi “di minima” - dei proponenti (anche privati) dei progetti stessi, sia – ipotesi “di massima” – di tutti i portatori di interessi (compresi quindi gli interessi diffusi), in qualche modo coinvolti dai progetti stessi.

Non viene neppure precisato se la “conferenza” di cui sopra sia da intendersi strutturata e con i poteri di una conferenza dei servizi, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, ovvero rivesta altra natura.

Né viene in alcun modo contemplata l’ipotesi che l’intesa di cui al citato art,. 10, c. 2 non venga raggiunta. Parrebbe quindi di poter dedurre che il mancato raggiungimento dell’intesa comporti l’archiviazione del progetto. Si stabilisce invece (art. 10, c. 4) che l’individuazione dell’”interesse regionale” relativamente ad un progetto, costituisca variante rispetto alle destinazioni d’uso del PRGC (nulla si dice invece rispetto a quelle del PTR).

A sua volta, l’approvazione del progetto (non è chiaro in base a quali procedure) costituisce accertamento di conformità urbanistica e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 10, c. 5).

Appare evidente che scopo principale del ddlr è quello di costruire una “corsia preferenziale” per qualsivoglia progetto (anche privato) si decida, in sede prettamente politica, di qualificare come “di interesse regionale”, consentendone una sollecita realizzazione anche – ove necessario – in difformità dai PRGC. Sia pure, a quanto sembra, soltanto previa intesa “obbligatoria” (come detto sopra) con i Comuni. Sicuramente la norma è stata pensata anche in funzione dei progetti di nuovi elettrodotti (oltre 20 in FVG), proposti da vari soggetti per lo più privati, per l’importazione di elettricità da Austria e Slovenia. Progetti che, nei casi in cui è già iniziato l’iter di valutazione, stanno incontrando forti resistenze soprattutto da parte delle comunità locali principalmente per ragioni di impatto ambientale e paesaggistico.

Del tutto anomala, ed in alcun modo motivata, appare invece la previsione esplicita (art. 10, c. 1) di norme di “salvaguardia” – sospensione per un massimo di tre anni di ogni determinazione su concessioni o autorizzazioni edilizie in contrasto con i progetti - relativamente ai progetti “di interesse regionale” che si riferiscano alle “opere ferroviarie di attuazione del Corridoio V e quelle ad esso complementari” ed alle “opere del nuovo collegamento stradale Cervignano-Manzano e quelle ad esso complementari”.

Sfugge il motivo per cui un collegamento stradale di caratteristiche abbastanza modeste venga posto sullo stesso piano dell’imponente infrastruttura ferroviaria AV/AC compresa nel Corridoio 5, salvo l’ipotesi maliziosa che si tratti una sorta di “merce di scambio” in vista dell’acquisizione del consenso da parte di alcuni Comuni interessati dal tracciato dalla nuova linea ferroviaria. Attualmente è infatti ancora aperta la procedura di VIA (ex D.Lgs. 190/2002) sul progetto preliminare della linea AV/AC, tratta Ronchi Sud – Trieste (opera di circa 35 km., prevalentemente in galleria, con un costo complessivo di almeno 1.930 milioni di €), mentre si sta lavorando al progetto preliminare della tratta Venezia – Ronchi-Sud (circa 120 km., per un costo approssimativo di almeno 4.200 milioni di €), tratta che attraverserebbe l’intera pianura friulana interessando sia il Comune di Cervignano, sia altri Comuni della “Bassa”.

Va però detto che sul progetto della Ronchi Sud – Trieste è stato espresso, nell’ambito della citata procedura di VIA, parere nettamente contrario da parte del ministro dei beni culturali e ambientali, mentre risulta che anche la Commissione speciale VIA presso il ministero dell’ambiente abbia predisposto un parere decisamente negativo. Da ciò, tra l’altro, la diffida inviata lo scorso luglio dal WWF Italia al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro dell’ambiente ed a quello delle infrastrutture, affinché la procedura di VIA tuttora aperta (ben la di là dei limiti temporali previsti dal D.Lgs. 190/2002) venga conclusa con esito – necessariamente - negativo.

La previsione della “salvaguardia” per tre anni, in funzione di un progetto il cui iter appare quanto mai lungo e incerto, potrebbe perciò interpretarsi come un mezzo per guadagnare tempo, in vista della futura approvazione del PTR, che dovrà vincolare definitivamente – sottraendole alla competenza comunale - le aree interessate dal progetto della linea ferroviaria in questione (così come altre aree interessate da “sistemi infrastrutturali e tecnologici”, secondo quanto previsto all’art. 2, c. 1, lett. a), n. 3).

Le STUR

Dulcis in fundo, il ddlr prevede (art. 11) la possibilità che la Regione costituisca Società di Trasformazione Urbana Regionale (STUR), nella forma giuridica della spa (art. 11, c. 3), con il compito di “conseguire gli obiettivi di cui all’art. 3, c. 2” (si tratta probabilmente – almeno si spera ! - di un refuso, trattandosi della norma che rinvia alla futura legge regionale i criteri per l’individuazione delle soglie oltre le quali la Regione svolge le funzioni di pianificazione territoriale con il PTR sulle “risorse essenziali di interesse regionale”), nonchè di “attuare i progetti di interesse regionale di cui all’art. 10”. Vale a dire quelli dichiarati di interesse regionale.

La STUR (art. 11, c. 2) acquisisce gli immobili interessati dall’intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione degli stessi. L’acquisizione può avvenire consensualmente o tramite esproprio. Alle STUR possono partecipare anche azionisti privati (non viene precisato se i privati possano eventualmente acquisire la maggioranza delle azioni…).

Dario Predonzan, Responsabile settore territorio WWF Friuli Venezia Giulia

31 agosto 2005

Postilla

Ho partecipato ad alcune riunioni di un gruppo di lavoro che ha "affiancato" l'assessore Sonego. Inserisco in allegato una nota che avevo redatto quando ho visto la prima stesura della legge. Alcune parti del primiitivo disegno sono state soppresse, ma mi sembra che rimangano immutate nel didegno di legge quattro elementi gravissimi: la subordinazione d'ogni valore, qualità, risorsa all'idolo dello sviluppo quantitativo delle infrastrutture; l'abolizione delle province come ente cui è attribuita la responsabilità di pianificazione territoriale; l'asservimento del comune alla Regione; la riduzione della pianficazione regionale a mera copertura delle decisioni, prese volta per olta, dalla Regione.

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