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La trama e due commenti, in italiano
25 Aprile 2004
Marcel Carné, Les Enfants du Paradis (Amanti perduti)
La trama e la critica nei testi di Morando Morandini e Roberto Nepoti, da Il Morandini - Dizionario dei film, ed. Zanichelli e da da Marcel Carné di Roberto Nepoti, ed. Il Castoro Cinema

Roberto Nepoti, La trama

Una compagnia d'artisti ottiene seralmente grande successo in un teatrino popolare della Parigi ottocentesca. Vi agisce, tra gli altri, un mimo, Battista, artista dal temperamento romantico e sentimentale, che s'innamora romanticamente di una ragazza belloccia ed equivoca, Garance. Questa l'ama a modo suo e sarebbe disposta a divenirne l'amante; ma non comprende l'amore spirituale del mimo. Della situazione approfitta un amico di Battista, l'attore Federico, artista geniale, ma d'animo grossolano, che non esita a farsi di Garance un'amante. Ma un bel giorno Garance fugge con un ricco conte. Passano alcuni anni: Federico è diventato un grande e celebrato attore, Battista ha sposato senza amore una compagna d'arte, che l'adora, e ne ha avuto un figlio. Garance ritorna al teatrino popolare per rivedere Battista; questi sente rinascere in sé l'antico sentimento. I due s'amano appassionatamente, ma al sopraggiungere della moglie e dei figli, Garance se ne va. Il ricco conte viene ucciso nel bagno da uno sconosciuto; Federico continua a mietere effimeri allori; la vita continua a scorrere tumultuosa e implacabile, mentre ciascuno dei personaggi sopravvissuti continuerà a inseguire una felicità irraggiungibile.

[da «Marcel Carné» di Roberto Nepoti, ed. Il Castoro Cinema]

Morando Morandini, La trama

Con Alba tragica è il capolavoro della coppia Carné-Jacques Prévert. Al di là delle discussioni critiche che suscitò (con accuse di un'esaltazione della forma in bilico su un formalismo di splendore raggelato e di decadentismo troppo compiaciuto), il film vanta una galleria di personaggi memorabili, una sontuosa e raffinata ricostruzione d'epoca, una fertile dialettica drammatica tra la vita e la finzione (il teatro), figure storiche e personaggi inventati, tragedia e pantomima, il muto e il parlato. Girato a Nizza e a Parigi tra il 1943 e il 1944 con due lunghe interruzioni per ragioni belliche, uscì a Parigi nel maggio 1945. In Francia fu distribuito in 2 parti, l'edizione italiana, ridotta della metà.



Da: “Il Morandini - Dizionario dei film”, Zanichelli]

Roberto Nepoti, La critica

Il successo economico di «Les visiteurs du soir» permise a Carné di ottenere fondi eccezionali per quella che resta la sua opera più complessa, impegnativa e grandiosa: «Les enfants du paradis».L'idea del film nacque un giorno a Nizza. Carné e Prévert avevano allora in mente un altro progetto che si doveva chiamare "Jour de sortie". Il caso volle che Jean-Louis Barrault raccontasse loro un episodio della vita del mitico mimo Dubureau, processato per l'uccisione di un uomo, colpevole di averne insultata l'amante. Il regista e il suo sceneggiatore furono tentati dall'argomento e sottoposero ai produttori un soggetto che, pur non avendo alcuna relazione con l'episodio narrato da Barrault, era tematicamente centrato sulla figura del mimo e soprattutto sul contesto storico in cui questi aveva agito: l'epoca del teatro romantico. Le riprese del film furono iniziate nell'agosto del 1943 presso gli stabilimenti della Victorine, a Nizza, per concludersi nel 1945, dopo che ad André Paulvé, produttore di «Les visiteurs du soir» si era sostituita la società Pathé, per intervento della direzione del cinema. La lavorazione fu interrotta, con grave danno economico, allo sbarco degli alleati in Sicilia, quando la Direzione ordinò a tutti di rientrare a Parigi. Nel febbraio del '44, essendo l'avanzata alleata assai lenta, Carné tornò a Nizza per concludere le riprese. Fu lui stesso, questa volta, a rallentare la lavorazione, perché il suo fosse il primo film presentato all'indomani della Liberazione. Le riprese furono terminate negli studi Pathé-Francoeur di Parigi. All'ultimo istante intervenne un nuovo contrattempo perché Robert Le Vigan, che interpretava il ruolo di Jéricho, era stato condannato per collaborazionismo, la sua apparizione nel film risultava sconsigliabile. Il regista fu allora costretto a rifare le scene in cui Le Vigan compariva, dopo aver sostituito l'attore con Pierre Renoir.

Carné e Prévert si erano documentati ampiamente sull'epoca, lavorando al museo Carnavalet e alla Biblioteca Nazionale. Il boulevard du crime, centro fisico dell'azione del film, fu interamente ricostruito a Nizza sulla scorta di stampe dell'epoca: un'autentica strada lunga più di centocinquanta metri che costò la somma, enorme per l'epoca, di cinque milioni di franchi. Il costo complessivo del film assommò a 60 milioni di franchi. L'edizione integrale, divisa in due parti («Le boulevard du crime » e «L'homme blanc») misurava 5593 metri, pari a tre ore e un quarto circa di proiezione. In seguito, essa fu arbitrariamente amputata, per esigenze commerciali, fino a ridursi alla durata di due ore. In Italia la versione completa di «Les enfants du paradis» comparve solo nel 1969 sugli schermi televisivi. Fino ad allora non si conosceva altro che una copia mutila, privata, tra l'altro, di tutte le pantomime e presentata con l'insulso titolo di "Amanti perduti".

Con «Les enfants du paradis» Carné sembra aver raggiunto un nuovo e compiuto sentimento del tempo. Il respiro narrativo del film è ampio come quello dei grandi romanzi della tradizione ottocentesca francese. Regista e sceneggiatore trovano qui la loro dimensione più congeniale. La scrittura dell'autore si libera da quanto di retorico e convenzionale era solito appesantirne il tratto e il consueto pessimismi appare quasi decantato. Come indica la didascalia iniziale, la morale del film è di ascendenza shakespeariana: «Il mondo è un palcoscenico in cui uomini e donne sono gli attori. Essi vi fanno i loro ingressi e le loro uscite.»Da qui il classico rapporto vita reale/vita immaginaria (teatro), fondato sul principio dell'arte che crea la vita. È sostanzialmente un film di contrasti da cui prende origine la felice coesistenza di generi diversissimi fra loro. Il film infatti oscilla costantemente fra dramma e commedia, senza iati né dissonanze, ma anzi toccando disinvoltamente le corde del grottesco come del sublime, del comico come del terrificante. Se mimo, melodramma e tragedia realizzano insieme la trama compositiva, l'intercambiabilità dei ruoli ne sottolinea l'eclettismo. Tanto che Frédérick, il grande attore, può strappare fragorose risate al pubblico del melodramma, mentre Baptiste, il mimo, induce i suoi spettatori alle lacrime.

L'assunto che muove l'operazione registica è quindi quello di mostrare la vita come una rappresentazione che gli uomini inscenano nell'illusione di vivere. La scrittura eletta per questo aleph di tutte le vicende umane è di impronta decisamente realistica. Rinunciando ai simbolici contrasti di luce e all'espressività marcata delle strade bagnate o delle albe caliginose, Carné adotta questa volta una fotografia unitaria di rara sobrietà ed eleganza plastica. Il film fluisce in una prosa piana, semplice e diretta, priva di angolature ricercate o di effetti a sensazione. La tecnica è usata con una misura e un equilibrio così perfetti da costituire un esempio classico di cinema.

[da «Marcel Carné» di Roberto Nepoti, ed. Il Castoro Cinema]

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