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L'Economist: è stato il Lodo a metterci in moto
11 Aprile 2004
I tempi del cavalier B.
“City. Il direttore del settimanale spiega perché si è deciso a scrivere al premier”: con questo occhiello il Riformista fornisce una “interpretazione autentica” delle ragioni del dossier dell’Economist.

Non sarà forse che il gruppo Pearson, azionista di controllo dell'Economist, ce l'ha con Mediaset, magari perché il Biscione, che ha la maggioranza della spagnolaTelecinco, si oppone alla vendita di un pacchetto azionario detenuto dalla Dresdner Bank agli inglesi? O è tutta opera di Tana De Zulueta, l'ex corrispondente da Roma del settimanale britannico, che oggi siede come senatrice nei banchi dei Ds? Oppure, come ripetono dalla Fininvest, non si tratta che di «materiale di importazione» in cui si riconoscerebbero le «tesi colpevoliste» dei «professionisti dell'informazione ideologizzata specializzata in anti-berlusconismo»? E invece no, il dossier su Berlusconi del settimanale The Comunist (come lo definisce Nando Dalla Chiesa, quando fa la parodia del Cavaliere) non ha nulla a che fare con i complotti della finanza o le imboscate della sinistra. «Già a pensarla così, dimostrate di essere italiani», taglia corto il direttore Bill Emmett, che ha firmato la «lettera aperta» recapitata personalmente al presidente del Consiglio con qualche giorni di anticipo rispetto alla pubblicazione.

Al Riformista Emmett chiarisce innanzitutto che «le decisioni editoriali non sono mai discusse con i nostri azionisti, incluso il gruppo Pearson. Io ho tutto il diritto di prendere le mie decisioni in piena autonomia». Dunque la proprietà non c'entra, come non c'entra Tana De Zulueta. «Naturalmente abbiamo lavorato con fonti italiane», continua il direttore, «ma l'inchiesta è stata interamente gestita da Londra». A coordinarla è stato Tim Lackson, uno degli investigative reporter di punta del giornale, che parallelamente sta scrivendo un libro su Tangentopoli. «Quanto tempo ci abbiamo messo? Direi che abbiamo lavorato ininterrottamente sul tema dalla nostra prima inchiesta dell'aprile 2001 (quella della celebre copertina Fit to run Italy?, ancora oggetto di una querela per diffamazione, ndr), ma solo negli ultimi mesi abbiamo deciso di ricorrere alla forma di una lettera aperta». Emmett respinge ogni dietrologia: «Abbiamo pubblicato adesso il dossier semplicemente perché ci sentivamo pronti, perché avevamo delle notizie che ce lo consentivano». Ma a far scattare l'iniziativa è stato il lodo Maccanico: «Quando la legge sull'immunità ha messo fine alla possibilità che Berlusconi potesse rendere conto di tutti questi interrogativi davanti ad un tribunale, ci siamo convinti che sarebbe stata una buona idea fargli delle domande per mezzo di una lettera aperta». Una procedura insolita anche per l'Economist, che pure in passato aveva attaccato con inchieste al vetriolo capi di Stato come Boris Eltsin o Jacques Chirac. «Ma il caso di Berlusconi è diverso - insiste il direttore - perché nessuno prima si era messo al riparo dalla legge così come ha fatto lui». Dunque, anche tenuto conto degli standard di moralità italiani (che devono apparire assai bassi, giudicati da lassù), gli inglesi hanno ritenuto che la misura fosse colma e sono usciti con una nuova copertina sul Cavaliere (la seconda da maggio). Consultando ovviamente prima i loro uffici legali, che sono già impegnati in una causa per diffamazione a Roma, il cui esito è atteso per la fine dell'anno.

E nemmeno è esatto parlare di «materiale d'importazione», ribattono da Londra, perché almeno un elemento nuovo nel dossier dell'Economist c'è. Lo si individua alla quinta domanda, disponibile solo sul sito Internet del giornale (Your other trials), nel paragrafo dedicato ai processi per falso in bilancio, quando si scrive che l'avvocato londinese David Mills, contrariamente a quanto sostenuto nelle sue deposizioni ai magistrati italiani, avrebbe intrattenuto un rapporto professionale con la Fininvest già a partire dal 1980 (e non nel '89 o '90 come dichiarato sotto giuramento). In base ai registri camerali consultati dal settimanale, Mills avrebbe infatti iniziato in quello stesso anno a mettere in piedi una rete di società off-shore (come la All-Iberian) nota come «Fininvest-B», allo scopo di accantonare fondi neri, da impiegare successivamente anche per il pagamento di tangenti. Uno schema che tramite Mills e il suo mandante, Giancarlo Foscale, cugino di Berlusconi e manager della holding di famiglia, avrebbe sottratto oltretutto al fisco inglese tasse su utili lordi per 75 milioni di dollari, solo nel periodo '80-'87. L'avvocato Mills, in sostanza, a detta dell'Economist, sarebbe un evasore fiscale. Piccolo particolare: il legale è il marito di Tessa Jowell, ministro della Cultura di Tony Blair. Se l'accusa dovesse dimostrarsi vera, il premier inglese si troverebbe ancora di più sulla graticola. E forse è lui il vero obiettivo di questo attacco.

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